25 gennaio 2008

L’ALLOCUZIONE DI BENEDETTO XVI

E’ impossibile competere con l’immensa cultura del più grande teologo vivente che come acclarato è Papa Ratzinger, umiliato da “una laicità scomposta e radicalizzante (E.Galli della Loggia).
La sua allocuzione, che in milioni di copie ha ricoperto le università e le piazze d’Italia (non si è badato a pese!), merita alcune riflessioni.
Giornalisti di valore, molto superficialmente, hanno, certamente per necessità di sintesi, ridotto, mancando in tal modo di rispetto al Pontefice stesso, l’allocuzione ad una mera risposta ad una domanda retorica che lo stesso si è posta: “Che cosa deve fare o dire il Papa nell’università? Sicuramente non deve cercare d’imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà”.
Ma il “professore emerito” Ratzinger così continua: “…è suo compito invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro”.
Non penso che omettendo parte della conclusione dell’allocuzione, emerga lo stesso concetto di libertà nella ricerca della verità poco prima enfatizzato.
Il “professore” prima afferma che non è sua intenzione imporre la fede ma solo donarla, poi invita la ragione “a mettersi alla ricerca bel vero, del bene, di Dio”, quindi la sollecita a servirsi delle “utili luci sorte lungo la storia delle fedi cristiane, infine arriva il messaggio, quello vero, sfuggito alle grandi firme del giornalismo italiano: solo “Gesù Cristo…aiuta a trovare la via verso il futuro”.
Questo è il punto fondamentale del discorso papale che i commentatori hanno volutamente evitato, dal quale emerge quella “faziosità”, intrisa di presunzione culturale del solo detentore della verità, che docenti e studenti temevano.
Sul fatto che la ragione debba confidare in Dio “per trovare la via verso il futuro”, non si capisce come ciò possa accadere considerando che nel passato storico, anche prossimo, dell’umanità la Chiesa ha sempre ostacolato il progresso visto come un ostacolo.
E’ possibile dubitare per chi abbia una sufficiente conoscenza della storia della Chiesa delle “utili luci…” e confutare, quindi, l’affermazione di fondo.
Certamente nella storia della Chiesa ci sono stati, come ci sono, luci ed ombre, più le ombre, a partire dalle falsificazioni storiche accertate di documenti, proseguendo per le crociate (non solo contro gli “infedeli” ma anche contro gli stessi cristiani: crociata contro gli Albigesi), le persecuzioni contro gli Ebrei, trattati come fecero i Nazisti, la “Santa Inquisizione”, la colonizzazione delle Americhe e l’appoggio più o meno velato delle dittature di destra. E’ un discorso che interrompo perché richiederebbe molto inchiostro, ma sicuramente riprenderò.
Mi permetto, nella mia consapevole ignoranza, qualche altra riflessione.
Penso che non basta, in un discorso così alto, per dare valore alle proprie affermazioni, comunque contestabili, utilizzare prima Rawls e poi Socrate.
Rawls afferma, trasferendo in ambito politico la legge morale formale dell’imperativo categorico di Kant (“Agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale”.), che solo così si può costruire una Ragione pubblica che antepone i valori politici alle dottrine comprensive (le filosofiche e le religiose). Nel chiedersi come si può pretendere che i sostenitori delle dottrine religiose accettino una politica ragionevole che sostenga un regime democratico ragionevole, risponde che anche i “cittadini di fede” dovrebbero diventare membri convinti di un società democratica, aderire, in altre parole, agli ideali e ai valori di quella società. Con ciò non si chiede ai “cittadini di fede” di rinunciare alla loro fede, ma alla pretesa di cambiare la costituzione nel nome della loro religione o di cambiare i nostri doveri di cittadini con lo scopo di assicurare il successo della loro dottrina. Conservare queste pretese è opporsi all’idea che tutti i cittadini liberi ed eguali possano avere eguali libertà fondamentali. Rawls afferma, inoltre, che una società democratica, unita, stabile e tollerante, si può realizzare attraverso l’affermazione di una politica condivisa da tutti i cittadini, ma indipendente dalle dottrine filosofiche, morali e religiose.
L’uomo “vuole verità”, afferma Il professor Ratzinger.
Sicuramente non una verità rivelata che dà solo certezze e deve essere accettata per fede, ma la verità cercata, quella cui l’uomo tende, dall’alba della storia, attraverso una ricerca comprensiva che coinvolga tutte le scienze.
Il dialogo di Socrate con Eutifrone possiamo sì vederlo come impulso alla nascita dell’università occidentale, come la via per la ricerca del vero, ma è certamente pretestuoso affermare che “nella domanda di Socrate (“Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole…Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?”) “i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino” che “ hanno compreso (la loro fede) come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio…”.
Tutto ciò viene dedotto da uno scritto che risale a 400 anni prima di cristo, con un discorso che è una forzatura intellettuale.
Abbagnano afferma che “la religiosità socratica non ha nulla a che fare con il Cristianesimo, di cui Socrate nella vecchia storiografia è ritenuto l’antesignano. Non si può parlare di cristianesimo se si prescinde dalla rivelazione; niente è più estraneo allo spirito di Socrate di un sapere che pretende di essere rivelazione divina”.
Resta, comunque, il fatto che l’”Eutifrone” è un dialogo sulla santità.
Non è corretto costruire un castello su basi determinate da speculazione. Mettere al servizio della propria ideologia Socrate o altre grandi personalità della cultura non porta merito, anzi rappresenta un approccio sbagliato al dialogo, salvo che per dialogo non s’intenda imporre la propria fede, grazie ad una supposta egemonia culturale e morale.
Un’altra forzatura, abilmente celata in una retorica robusta e furba, consiste nell’indicare la filosofia “partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa” che però “deve vedere i suoi limiti” e, quindi, non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità come indicazione del cammino”.
Quanta santa umiltà, altro che metodo socratico per arrivare alla verità!
Dibattete, ricercate, illudetevi dell’autonomia della filosofia, perché la teologia (“riflesso della fede”) è l’unica scienza della verità.
Se la Chiesa accettasse il confronto si aprirebbero le porte di tante “Sapienza”!

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