30 dicembre 2006

CI SONO TROPPI FANNULLONI

Afferma il presidente Montezemolo che l’Italia è “una barca in cui una metà frena mentre l’altra è seduta a poppa, ringrazia, non produce e succhia le ruote di chi rema. Ci sono troppi fannulloni”.
Coglioni, pazzi, fannulloni…meno male che l’altra metà degli italiani (i furbi, gli assennati, , i lavoratori indefessi) si danno da fare, anzi si sacrificano. Se così non fosse saremmo colati a picco da chissà quanto tempo.
Coglioni sì, pazzi pure, ma essere chiamati fannulloni dal presidente della Confindustria è inaccettabile.
Ma come, il presidente che rappresenta l’industria italiana, da sempre assistita, in ogni modo assistita, che non rischia mai niente di proprio, che fa del ricatto l’arma per richiedere vantaggi (basta minacciare licenziamenti dovuti, per carità, a ristrutturazioni…), che delocalizza, si permette, volevo scrivere “osa” ma non ho osato, chiamarci fannulloni (dal dizionario Garzanti: persona oziosa, che non vorrebbe far mai nulla / perdigiorno).
Ne ha per tutti il presidente, per i politici (il sistema politico e burocratico ostacolano, frenano, la crescita del Paese) e per i sindacati che invita afare dei viaggi studio all’estero…per vedere come funzionano bene le aziende italiane delocalizzate.
Sarebbe interessante sapere se il presidente tra i fannulloni includa buona parte degli industriali nostrani che non investono né in innovazione né in ricerca.
Ma dove sta scritto che deve essere solo lo stato a fare ricerca? Altrove, negli altri Paesi da visitare, dove la concorrenza è reale, le industrie destinano perte dei loro profitti alla ricerca che si sviluppa o nei loro centri o nelle università cui si rivolgono.
Perché, dunque, non invita anche i suoi colleghi a investire in viaggi di studio nei Paesi più avanzati? Considerata la perspicacia che lo contraddistingue, sicuramente avrà già provveduto.
Avremmo così una classe impr4enditoriale intraprendente e di qualità, il cui forte apparato produttivo avrebbe evitato allo Stato di investire su di loro 5 miliardi, il cosiddetto cuneo fiscale, che avrebbe potuto destinare alle infrastutture, alla lotta all’evasione, a rendere efficiente la pubblica amministrazione.
Il Centro studi della Confindustria afferma che il PIL non sarà di 1,4 ma più basso dello 0,3, quindi sarà dell’1,1 , chiedendo altri interventi a sostegno.
Avranno pure ragione, ma è strano che proprio adesso, dopo cinque anni di mancata crescita o recessione, , quando si pronostica una crescita del PIL al di sopra dell’unità, viene fuori una tale presa di posizione che appare quanto meno ptetestuosa (a Berlusconi certi discorsi non si dovevano fare; li avrebbe chiamati disfattisti, visto il suo smisurato ottimismo).
A questo punto viene spontanea una domanda: dove sono stati Montezemolo e i suoi colleghi dal 2001 al 2005?
Forse è vero, come afferma il ministro Padoa Schioppa che “Confindustria si sia comportata come un partito…Non c’è una Legge finanziaria che favorisce più di questa le imprese a livello di numeri”.
Sta agli industriali approfittare del cuneo fiscale. Oppure prenderanno, come sempre; chiederanno, come sempre; licenzieranno, come sempre; delocalizzeranno, come sempre?
Signor presidente, quanto guadagna un lavoratore italiano (netto in busta paga, senza straordinari) rispetta a un lavoratore del club dei sette?

28 dicembre 2006

I PRIVILEGI n. 6: GLI STIPENDI DEI MANAGER PUBBLICI

Venerdì 1 Dicembre 2006 “la Repubblica” così titolava: “Sempre più d’oro i manager italiani” e aggiungeva (sottotitolo) che “In tre anni +80% i compensi degli ad (amministratori delegati) delle società quotate”.
Non mi scandalizzo se le aziende private pagano così tanto i loro ad , allargando sempre più la distanza retributiva tra il dipendente e il manager con un rapporto spesso di 1 a 40.
In un’economia di mercato in cui la competitività è l’arma vincente, è ovvio che le aziende facciano a gara per assicurarsi i manager migliori alzando, quindi, il prezzo d’ingaggio,legato agli obiettivi.
Non parliamo poi delle stock optino o delle liquidazioni milionarie! E’ un altro pianeta.
Tuttavia la questione morale si pone.
Non è possibile, infatti, che le stesse aziende costringono i loro dipendenti (operai e impiegati) a ricorrere a diverse giornate di sciopero per avere riconosciuta almeno l’inflazione (si calcola che le buste paga dei manager sono cresciute del 7%, molto più dell’inflazione ufficiale), dimenticando che se l’azienda tira non è solo merito del manager ma di quanti concorrono alla realizzazione del prodotto (manufatto o servizi)
Non è moralmente corretto constatare come negli ultimi tre anni i compensi degli ad sono lievitati fino all’80% (il mito americano è stato sostituito dal mito italiano in quanto i manager d’oltre oceano si sono fermati alla miseria del 57%).
Ma è scandaloso che anche i manager pubblici hanno partecipato all’abbuffata.
Qualche esempio, è necessario: Giancarlo Cimoli (Alitalia) è passato da 1,61 milioni di euro (maggio 2004) a 3,00 milioni nel 2005 con un incremento dell’86%, per quale merito mi è difficile capire vista la situazione disastrosa in cui versa l’Alitalia; P. Francesco Guarguaglini (Finmeccanica) da 1,11 milioni nel 2003 a 2,65 nel 2005 con un incremento del 138%; Paolo Scaroni (Enel) dal 3,10 nel 2003 a 4,68 con un incremento del 50%.
Non ho dati circa le liquidazioni, ma basta il dato relativo a Elio Catania (FS) che ha ricevuto ben 7 milioni di euro.
Ma il dato che mi ha lasciato di stucco riguarda lo stipendio di Tronchetti Provera (Telecom) che si è permesso un aumento del 76%, da 2,95 milioni di euro a 5,21.
Ma dove sarebbe arrivato se il bilancio di Telecom fosse stato migliore?
“Ci vuole coraggio”, avrebbe detto mio nonno.
“Ci vuole una gran faccia tosta”, dico io.
Ma se Telecom è in crisi, perché il su ad raddoppia quasi lo stipendio? Non c’è nessun rapporto tra l’andamento dell’azienda e lo stipendio del suo ad? Non sarebbe stato più signorile fermarsi a quei già tanti 2,95 milioni di euro?
Perché, se un manager pubblico non raggiunge l’obiettivo, invece di essere licenziato per incapacità passa da un’azienda a un’altra gratificato da una liquidazione milionaria?
Il processo mi rimane molto oscuro, eppure una spiegazione ci sarà.
Forse si ha paura che altre aziende possano ingaggiarli…mi vien da ridere… tanto noi italiani abbiamo un gran senso dell’umorismo e stiamo agli scherzi, come le intercettazioni, anche se qualche spicciolo siamo costretti a scucilo.
Dato lo scalpore, in finanziaria era previsto un tetto massimo di 250 mila euro ma il comma originale poi si è perso. Nella sua ultima versione, quella definitiva, è previsto un tetto massimo di 500 mila euro che può arrivare a 750. Sicuramente avevamo capito male perché un tetto di 250 mila euro c’è, ma è quello degli impiegati pubblici.

27 dicembre 2006

VICENDA MEOCCI n. 3: IL CONSIGLIO DI STATO

Anche il Consiglio di Stato ribadisce che Mocci non poteva essere nominato direttore generale della RAI perché incompatibile e conferma le multe: Meocci dovrà pagare 373 mila euro (9 mesi di stipendio), la RAI 14.3 milioni (…tanto il canone è stato aumentato e i cittadini utenti si ritroveranno a ripianare i debiti da altri prodotti)
Il diessino Fabrizio Morri fa ricadere la colpa della multa sui cinque consiglieri nominati dal centro destra che votarono Mocci.Giusto, ma non basta perché, se è vero quello che successe nei giorni 4 e 5 Agosto d2l 2005, il rappresentante dell’azionista di maggioranza (cioè il tesoro) si è reso responsabile della nomina di Meocci, concedendo, dopo aver dato l’imput (suggerimento?), la copertura assicurativa anche in caso di rischi gravi (la nomina di Mocci, data la riconosciuta incompatibilità, rappresentava un rischio grave. Per me ha rappresentato un grave atto di abuso d’ufficio).
Come dire: attenti, la responsabilità della nomina è vostra, ma l’attuale copertura assicurativa non prevede i rischi gravi (incompatibilità)…chiedete l’estensione, dopo averla deliberata, e vi sarà concessa…
“Ma allora c’è frode”, suggerisce il mio amico.
Non sta a noi stabilirlo. C’è la magistratura.
Risulta che il pm D’Ippolito, nell’ambito di un’inchiesta sugli stipendi d’oro dei manager pubblici, sta raccogliendo documenti su sette aziende tra cui la RAI e abbia già iniziato l’indagine proprio dalla RAI.
Ribadisco quanto da me già scritto: “Le responsabilità e i nomi dei cattivi amministratori sono chiari quanto i danni arrecati all’azienda e chiari devono essere le conseguenze.”

21 dicembre 2006

L’EVASIONE E’ UN FURTO

L’evasione fiscale è un’azione tra le più indegne. L’evasore con la mancata dichiarazione dà un vantaggio a sé stesso e colpisce in modi diversi i veri contribuenti e lo Stato.
Se tutti pagassero le tasse, ne pagheremmo tutti meno e avremmo servizi migliori. L’imposta evasa l’anno scorso è di 100 miliardi di euro. Rappresenta il 7% del PIL, l’intera spesa sanitaria.
Perché si evade in così alta misura?
La risposta è complessa, ma di certo non si evade per l’elevata tassazione. Stando all’Europa, nei Paesi a più alto reddito la tassazione su l’imponibile è più elevata che da noi.
C’è più senso dello stato, visto come la casa comune, più rispetto dell’altro, visto come cittadino, più solidarietà…forse un po’ di tutto questo.
Da noi lo Stato è visto come un’entità astratta. Compare quando ne abbiamo bisogno. Solo allora reclamiamo i nostri diritti (scuola, sanità, trasporti…) e lo vorremmo perfettamente funzionante.
Con quali soldi? Ma con quelli degli altri, per diamine!
Gli evasori sono dei ladri (Padoa Schioppa afferma che “chi evade viola il settimo comandamento) che si arricchiscono a spese dei “virtuosi”. Ciò nonostante sono considerati da molti dei furbi che, se potessero, imiterebbero.
Vediamo perché gli evasori arricchiscono sé stessi e danneggiano i contribuenti virtuosi.
Tranne gli ET (evasori totali; la Finanza ha dichiarato proprio oggi che sono stati “trovati” 6950) ogni cittadino che produce reddito fa una dichiarazione che sarà il suo biglietto da visita per accedere ai servizi erogati dagli enti pubblici: servizi sanitari, assistenza domiciliare agli anziani e invalidi, pre e post scuola, mensa scolastica, buoni libri, tasse scolastiche e universitarie, detrazioni fiscali, assegni familiari, colonie estive o invernali, ICI, IRPEF…
Tutto ciò scavalcando nel diritto i lavoratori a reddito fisso che pagano le tasse alla fonte e i famosi contribuenti virtuosi, quelli che hanno veramente bisogno.
Quindi, oltre a evadere, incamerando l’imposta dovuta, vengono premiati dalle agevolazioni predate, risparmiando sui costi, soldi che si aggiungono a quelli non versati all’erario.
I Comuni, le Regioni, lo Stato in conseguenza di tutto ciò (gli sprechi sono un capitolo a parte che sarà ripreso) non incassano quanto serve per dare ai cittadini servizi di qualità con costi accettabili.
Così sono costretti ad aumentare le tasse e le tariffe che, come si è visto, non riguardano gli evasori che conducono con i loro cari una vita di tenore elevato, non facendosi mancare nulla, dalla villa all’auto di lusso, dagli abiti firmati alle crociere e alla seconda casa…alla faccia di chi non può.
L’evasione per i danni apportati ai cittadini e all’economia del Paese, accertato che è un furto, deve essere perseguita come grave reato penale, né pattuibile né condonabile.
I controlli, gli accertamenti e la sentenza devono essere velocizzati al massimo, a differenza di quanto accade oggi (processi decennali), con i costi di procedura a carico dei ladri e le pene che devono andare fino alla confisca dei beni.
Certezza dei controlli e delle pene: non c’è bisogno di decenni ( sentenza e un appello sono più che sufficienti) per provare che c’è stato un furto alla comunità, proprio come accade quando un povero affamato ruba una mela al supermercato.
Il governo deve fare uno sforzo finanziario robusto potenziando la lotta all’evasione con uomini e strumenti tecnici adeguati, in qualità e in quantità, ma, soprattutto, con regole certe, brandendo ogni tipo d’impunità (eliminazione della legge che depenalizza il falso in bilancio) e cancellando ogni tipo di condono o aspettativa di condono che non ha mai risolto il problema ma lo ha aggravato (…tanto ci sarà, prima o poi, un condono…).

19 dicembre 2006

IL CANONE COSTA € 104

In una delle mie divagazioni avevo posto il problema del pagamento del canone in rapporto al prodotto che viene proposto o meglio imposto.
La risposta non si è fatta attendere: il canone obbligatorio (Così è se vi pare…) passa da € 99,60 a 104…per un posto in prima fila.
Il ministro Gentiloni ci dice che rappresenta un recupero dell’inflazione - il canone è rimasto bloccato per tre anni - e, nello stesso tempo, bontà sua, chiede una maggiore qualità dei programmi.
Sulla futura qualità dei programmi è meglio lasciar perdere. Vedremo, infatti il solito palinsesto: mediocre in prima serata, con talk o reality show di infima qualità; o le solite vite romanzate di santi o papi, il tutto preceduto o seguito da giochi a quiz che mettono in risalto l’alto livello culturale dei partecipanti.
Dimenticavo i vari programmi di intrattenimento politico, indipendenti di destra o di sinistra, sempre condotti da inossidabili personaggi che sfornano libri a iosa…di storia o di costume. Il teatrino della politica in sostituzione delle rappresentazioni teatrali noiose e…incomprensibili. Pirandello, Goldoni, Shakespeare…chi sono costoro?
La qualità della televisione è direttamente proporzionale ai compensi: più alto è il compenso più la qualità si eleva!
Così, a me viene il dubbio che l’aumento del canone servirà a far fronte agli ingaggi stratosferici dei vari Vespa , l’instancabile, o Santoro, il resuscitato, e di tanti altri conduttori dispensatori di “pacchi”; o a pagare la multa di 14,3 milioni di euro del caso Meocci, mentre i veri responsabili sono sempre al loro posto decisionale; o a far fronte al rinnovo del contratto dei giornalisti, a proposito del quale, come nostri dipendenti, avremmo tutto il diritto di conoscere l’ammontare dei loro di certo magri stipendi.
Finché la RAI sarà parcellizzata tra i partiti (in nome del pluralismo, s’intende!) pagheremo il canone come un’ulteriore forma di finanziamento alla politi… spettacolo, con decine di politici e portavoce ( si potrebbe allestire per le feste natalizie un coro a più voci…finalmente avremmo la “grande coalizione”) a gara si sproloqui.
Il mio amico mi suggerisce che fanno meno danno al Paese di quando siedono in Parlamento.
Sarebbe, comunque, cosa buona e giusta se i partiti lasciassero la RAI.
Concludo con due perle:
- Romani (FI): “Al danno…le beffe visto che milioni di famiglie del centro destra dovranno finanziare la RAI succube delle sinistre (Il cda è a maggioranza CdL…caso Mocci docet.)”.Landolfi (AN): “Spero che i telegiornali pubblici sentano ora per intero il dovere del pluralismo (quell’”ora”suona come un’ammissione di colpa)”.

16 dicembre 2006

LA PRESCRIZIONE NON E' ASSOLUZIONE

Il comitato per le incompatibilità della giunta per le elezioni della Camera ha deciso all’unanimità che l’onorevole Previti deve decadere da deputato in quanto condannato con sentenza definitiva sei anni e all’interdizione definitiva dai pubblici uffici (affare Imi-Sir. Sarà, comunque, la Camera a dire la parola definitiva.
Previti ha tentato di evitare la decisione della commissioni con due motivazioni non accettate:
- il fumus persecutionis, inconsistente perché la sentenza della Cassazione che sposta il processo SME a Perugia lo ha salvato dalla condanna dopo due gradi di giudizio, dimostrando l’assenza di “fumus”;
- l’anticipazione dell’annullamento dell’interdizione perpetua in quanto assegnato, dopo l’indulto (sconto di tre anni sui sei), ai servizi sociali ; non concessa perché il beneficio s’incassa dopo aver scontato la condanna, non prima.
Una sentenza passata in giudicato e un’altra annullata dalla Cassazione perché la competenza territoriale non era Milano ma Perugia.
Meno male che la Cassazione se ne è accorta …dopo due ricorsi, così per 12 anni si è scherzato. Buon per l’imputato che certamente alla ripresa del processo godrà della prescrizione.
Si presentano tre scenari:
- i giudici di Milano sono degli incompetenti animati da fumus persecutionis;
- i giudici di Milano programmarono tutto perché sapevano che al terzo appello la Cassazione si sarebbe espressa per il trasferimento del processo a Perugina, rendendo inutile la condanna (cinque anni) e tutto l’iter giudiziario; si inizia il nuovo processo mentre si avvicina la prescrizione;
- i giudici milanesi avevano ragione….
Nel primo scenario i giudici vanno licenziati e condannati a risarcire l’imputato per “fumus”e lo Stato per la loro incompetenza.
Nel secondo scenario si può presumere l’esistenza di un piano diabolico tra Previti e i giudici che avrebbe condotto l’imputato prima a Perugina e poi alla prescrizione. Le vie del Signore ssono infinite e tutte praticabili…basta aver fede.
Il terzo scenario….
Resta il fatto che dopo anni di spreco di energie e di denaro e dopo che per due volte la Cassazione aveva confermato la competenza di Milano, solo ora la stessa Cassazione si accorge di aver sbagliato. Meglio tardi che mai.
C’è di che rimanere allibiti. Viviamo in un Paese in cui il diritto si esercita per competenza territoriale e non per il reato commesso e dove per la lungaggine dei procedimenti si arriva alla spugna della prescrizione (penso che l’innocente abbia tutto l’interesse ad essere giudicato).
“Di cosa ti lamenti?” (interviene il mio amico) “Ieri e toccato a Berlusconi chissà a quanti altri, oggi tocca a Previti e domani potrà toccare a te. La gente, comunque, sa che il trasferimento di un processo, come la prescrizione, non è assoluzione. E’ un processo non fatto e non conta niente se c’è una condanna a cinque anni, perché la la stessa è come se non fosse stata mai emessa e poi….altri giudici altra sentenza”.

15 dicembre 2006

CANONE TELECOM BASSO: AUMENTIAMOLO

Telecom prima annuncia l’aumento del canone a partire da gennaio 2002 e poi, ma solo dopo l’intervento dell’Autorità per le comunicazioni, torna indietro, almeno per ora.
Per le famiglie non sarebbe stato certo un salasso (ritocco dell’1,57 %) ma è la protervia con cui Telecom agisce che dimostra, ancora una volta, il vero volto dell’imprenditoria italiana, imbelle e arrogante insieme. I maggiori introiti non sarebbero derivate da nuove proposte industriali o da innovazioni tecnologiche che possono giustificare l’aumento del canone, retaggio medioevale che sarebbe ora di eliminare, ma dall’esigenza di fare cassa. Del servizio e della sua efficienza e delle tariffe, che inducono molti utenti a cambiare azienda, manco a parlarne.
Ora io mi chiedo, come facciano le altre aziende telefoniche, nonostante l’aggravio dell’ultimo chilometro, a proporre tariffe più basse, alcune senza l’aggravio del canone.
Inoltre, se viviamo in un Paese liberista, come è possibile essere concorrenziali in una situazione di monopolio?
In questo settore che oggi riguarda anche l’informazione (internet) occorre una immediata e vera liberalizzazione. E gli imprenditori nostrani non possono amministrare aziende così essenziali e strategiche con poco più dell’1 % di possesso.Devono imparare a investire i propri soldi non quelli dei cittadini e se non sono in grado di farlo facciano qualcosa d’altro e passino la mano, non a cordate bancarie per ripetere lo stesso circolo vizioso, ma a impresari seri, anche stranieri, purché disposti a rischiare in proprio e diano un servizio adeguato al XXI secolo.
Ciò, nel mondo immobile della incartapecorita politica e dell’impresa italiana, sarebbe una novità, una discontinuità: eliminazione dei privilegi e premio per chi rischia in proprio.

12 dicembre 2006

I BROGLI ELETTORALI

“Noi abbiamo il convincimento che abbiamo vinto noi: quindi bisogna ricontare tutte le schede, perché non si può in una democrazia assegnare una maggioranzxa per 24 mila schede che sono lo 0,6 per mille”.
Sono le parole del capo dell’opposizione ed ex presidente del consiglio che ancora non ha assorbito la sconfitta elettorale che, seppure col minimo scarto, sempre una sconfitta è stata.
E’ la regola della democrazia, non solo id quella italiana: chi ha un vot in più governa e gli sconfitti accettano (potevano risultare loro i vincitori) senza paventare brogli o colpi di statoin virtù sia di una maturità democratica consolidata sia di un rispetto assoluto delle istituzioni.
Legittimare la vittoria dell’avversario politico significa legittimare il ruolo istituzionale dell’opposoizione che non è solo contrapposizione strumentale ma costruzione di un possibile futuro governo.
Compito di uno statista non è far emergere dubbi ma produrre certezze, nel rispetto degli avversari e dei cittadini che li hanno votati. D’altro canto “il convincimento di aver vinto” non significa avere la certezza che deriva dalle prove; né lo 0,6 per mille è un limite troppo esiguo per poter parlare di democrazia.
Se queste regole non vanno bene, possiamo sempre modificarle, tanto è già successo: quando continua a persistere a distanza di mesi un convincimento si ricontano tutte le schede e il governo uscente, democraticamente eletto, rimane, a garanzia dello spoglio, fino alla certezza del risultato o quando la differenza di voti tra le due coalizioni è inferiore o uquale all’1 per mille, si ritorna a votare finché non si supererà il limite stabilito.
In tal modo adatteremmo il concetto di democrazia attualizzandolo: due piccioni con una fava.
I giornalisti Deaglio e Cremagnani, autori del film-inchiesta “Uccidete la democrazia”, vengono ingagati per “aver diffuso notizie false, esagerate e tendenziose, finalizzate a turbare l’ordine pubblico”.
Al di là delle buone ragioni dei pm Vitello e Loy, sarebbe stato doveroso, prima di iscrivere nel libro degli indagati i due giornalis, di procedere ad una verifica approfondita delle affermazioni contenute nel film, per non dare la sensazione di aver usato due pesi e due misure diversi.
Mi chiedo, infatti, come mai il presidente Berlusconi, che parla senza soluzione di continuità di brogli da Aprile (era ancora presidente del consiglio), non sia stato almeno sentito dalla Procura per una denuncia così grave divulgata a chiari e ripetuti titoli da tutti i mezzi di comunicazione, non per indagarlo ma per non lasciar cadere nel nulla il convincimento del presidente.
Credo che l’accusa rivolta ai due giornalisti sarebbe molto più grave se fosse estesa a Berlusconi che era ancora il presidente del consiglio ed oggi leader indiscussi dell’opposizione e capace, come si è visto, di portare 2 milioni di cittadini in piazza, con la possibilità di “turbare l’ordine pubblico” molto meno remota di quanto possano fare i due giornalisti.
E’ ovvio che il presidente Berlusconi non ha mai pensato di turbare la piazza perché è un democratico convitnto ma, in quanto presidente del consiglio uscemnte, non avrebbe dovuto fare quelle dichiarazioni, dovute certamente ad un momento di stanchezza.
Ma, associandomi all’onorevole Bonaiuti: “non poteva finire altrimenti”.

11 dicembre 2006

VICENDA MEOCCI: INDAGATI I CONSIGLIERI DEL CENTRODESTRA

I consiglieri RAI Urbani (ex ministro), Petroni, Malgeri, Staderini e Bianchi Clerici son0 iscritti nel
registro degli indagati, pm Adelchi D’Ippolito, per abuso d’ufficio in riferimento alla nomina di Meocci a direttore generale della RAI.
Mi ero interessato della vicenda perché trovavo ingiusto che la RAI, cioè i cittadini, venisse multata di 14,3 milioni di euro per responsabilità ascrivibili ai consiglieri RAI di maggioranza (5 Agosto 2005, governo Berlusconi) che votarono Meocci e allo stesso Meocci che, essendo stato fino a tre mesi prima componente dell’Autorità per le comunicazioni, non poteva non conoscere la normativa che lo indicava incompatibile col nuovo incarico.
Meocci si dice non responsabile e candidamente dichiara: “Un giorno…mi hanno offerto un contratto. Era un grande premio…da rirettore generale della RAI. Ma chi riceve un premio, senza peraltro chiederlo, non ha motivo di sentirsi in colpa e non matura certo responsabilità”.
Così, dopo essere stato per sette anni il controllore della RAI, ne diventa il direttore generale, considerandolo un grande premio senza porsi nessuna domanda ( per esempio, da chi e perché?).
Ma l’aspetto più grave della vicenda riguarda i comportamenti dei consiglieri, oggi indagati, e del rappresentante del ministrero del tesoro. Questi, durante l’assemblea degl iazionisti del 4 Agosto 2005, informava il cda che la questione dell’incopatibilità era propria del consiglio e che i consiglieri non erano coperti da assicurazione in caso di colpa grave.
Niente paura…chiedono poco dopo essersi visti come cda di estendere l’assicurazione alla colpa grave. Il rappresentante del ministero estende l’assicurazione come richiesto assumerndosi in tal modo la responsabilità dell’incompatibilità…tanto paga il contribuente.
Tutto ciò accade nello spazio di una giornata.
Sembra un fil grottrsco, ma è la realtà, estendibile ad ogni livello istituzionale: se non possiamo operare come nelle nostre intenzioni si possono cambiare le regole. Nessuna responsabilità, quindi, perche i consiglieri hanno agito nel rispetto delle nuove regole (estensione della copertura assicurativa per colpa grave), tra l’altro col suggerimento indiretto e la responsabilità, ben evidente, del rappresentante del ministero.
Aspettiamo, intanto , la sentenza definitiva del Consiglio di Stato del 19 Dicembre p.v..
Confermerà le sanzioni comminate dell’Autority e la successiva e identica sentenza del TAR del Lazio? O, come spesso accade, tutto finirà a tarallucci e vino?
Vcerto la vicenda rappresenta una grave dimostrazione di arroganza del potere che ricorre a banali trucchi per affermarsi senza remore e dignità, nel totale disprezzo dei cittadini.
Le reponsabilità e i nomi dei cattivi amministratori, ripeto oggi come allora (21/07/06), sono chiari quanto i danni arrecati all’azienda e chiari devono essere le conseguenze.
Il problema, comunque, si pone nella sua oggettività e riguarda i vari livelli delle istituzioni. Mai un responsabile individuato che ripari il danno procurato. E’ sempre il cittadino a pagare per le colpe d’altri, colpevoli del loro operato in quanto sono tenuti a conoscere le leggi relative al proprio ambito di lavoro.

10 dicembre 2006

LA MANIFESTAZIONE DEL 2 DICEMBRE n. 2

Quando un leader organizza delle manifestazioni oceaniche, lo fa per dimostrare all’altra Italia che è in grado di mobilitare la piazza e ala coalizione di essere ancora lui il padre- padrone.
Delle due ipotesi, la preminente è quella ad uso interno perché qualcuno ha osato mettere in discussione la leadership; l’altra non si pone neppure in quanto per il centro sinistra rappresenta il punto di riferimento più importante e strategico, il collante maggiore di una coalizione molto ampia e per ciò eterogenea.
Il malessere e le invidie all’interno della CdL ci sono sempre stati e a testimonianza si possono citare numerosi episodi. Ma bastano la defenestrazione di Tremonti e l’emarginazione di Follini.
Ogni grido, ogni sussurro, e sono stati tanti, veniva messo a tacere con interventi decisi del capo e della sua potenza di fuoco. Basta sfogliare i giornali d’epoca per averne conferma.
E i numerosi di fiducia a cui una maggioranza ampia nei due rami del parlamento ricorreva non erano dovuti né all’ostruzionismo dell’opposizione né ad una strategia di contenimento della stessa, ma ai disturbatori interni.
Certo nessuno obbligava i partiti minori ad accettare le mortificazioni, talvolta gravi, inflitte dal capo. Ma governare è stato un collante fortissimo , che ha fatto passare in secondo (…sesto…) piano anche quelle che venivano chiamate con molta enfasi questioni di principio per il buon funzionamento della democrazia.
I tanti vertici che hanno preceduto la campagna elettorale hanno partorito il classico topolino delle tre punte o delle pari opportunità: uno barava, gli altri si illudevano che la vittoria avrebbe risolto il problema.
Perse le elezioni, il collante governativo finisce e inizia la fase di posizionamento. E così, mentre il capo parlava di brogli e di ritorno immediato al potere, iniziano ad arrivare i distinguo, prima timidi e via via sempre più vivaci fino all’offesa della non partecipazione dell’UDC all’osanna di Piazza San Giovanni, preferendo il Palazzo dello sport di Palermo.
Così, nel giorno in cui la piazza incorona Berlusconi imperatore, questi ha perduto un pezzo importante della coalizione, senza il quale, nonostante i recenti sondaggi positivi, non potrà vincere.
Certo, conoscendo i precedenti, è possibile che alle parole di Casini (“Avanti da soli a schiena dritta”.) e di Cesa (“…Ormai è chiaro che ci sono due opposizioni, conviene prenderne atto al più presto”.) non seguano i fatti e la comune nostalgia del potere compierà l’ennesimo miracolo della riconciliazione. Ma oggi la Casa delle Libertà (una libertà limitata come limitato è il concetto di casa) non c’è più e da osservatore esterno penso che la posizione dell’UDC di un’opposizione costruttiva (Casini: “Non possiamo contrapporre a Prodi solo slogan. La piazza se non ha sbocchi politici è destinata a rimanere sterile”.) in una condizione, finalmente, di legittimazione istituzionale, sia la vera svolta politica che si lascia alle spalle anni di sfascio e di demagogia in cui la comunicazione mediatica, fatta di slogan e di retorici confronti salottieri, sostituiva gli atti politici, costringendo gli italiani a tifare come in un derby.
Viceversa, i cortigiani Bossi e Fini per opposte ragioni (federalismo e delfinato) con la loro fedeltà assoluta non contribuiranno a far crescere il consenso ( i sondaggi recenti si devono leggere situandoli nel momento contingente della finanziaria) e a corsa lunga il centro sinistra giocherà per intero le sue carte, purchè non si perda in discussioni di parte e dimostri all’elettorato coesione e spirito di sacrificio nel risolvere i problemi del Paese. Ma, soprattutto, informi il Paese, parli con i cittadini.E’ questo il messaggio che la sinistra deve ricavare dalla manifestazione del 2 di dicembre.

07 dicembre 2006

LA MANIFESTASZIONE DEL 2 DICEMBRE n. 1

Quella del 2 Dicembre è stata, al di là del solito balletto delle cifre (io credo, come sempre, al comunicato della questura: 700 mila manifestanti), una grande manifestazione di cui il governo e la maggioranza indubbiamente non possono non tenerne conto.
Niente, comunque, di straordinario. L’opposizione ha portato in piazza, con pieno diritto, i propri elettori per protestare contro la Finanziaria e quei provvedimenti che toccano privilegi ritenuti ormai diritti, ben salvaguardati dal governo amico Berlusconi-Tremonti che tra condoni e Finanziarie creative ha portato il bilancio dello Stato a non rispettare i parametri europei, meritandosi un richiamo ufficiale.
Ma al grido di “via Prodi” non è seguita una benché minima proposta, a dimostrazione che è facile protestare “contro” e molto difficile protestare “costruendo”.
Ma, in fondo, la politica economica del duo Berlusconi-Tremonti ha avuto un solo obiettivo: pascere quanti erano già sazi, ricorrendo a vari condoni, con sconti da liquidazione di cessata attività, o a leggi come la depenalizzazione del falso in bilancio (gli USA, il Paese di riferimento del duo per lo stesso reato hanno aumentato la pena).
Nessuna finanziaria, nemmeno quelle del duo, ha mai acceso grandi entusiasmi, ne ha mai accontentato tutti, per cui la manifestazione di Roma è servita ad incoronare Berlusconi re del centro destra, indipendentemente da ogni valutazione della finanziaria.
In primis, quindi, una manifestazione ad uso interno con Bossi e Fini nella solita veste di cortigiani in attesa, il primo dell’annoso federalismo (in verità, per non scomparire), il secondo dello scettro (Illusione: Figuriamoci se FI, il partito di maggioranza della CdL lascerà a Fini la leadership!).
Berlusconi grida dal palco: “E’ un governo contro l’economia, il risparmio, le professioni, la scuola, la ricerca, l’università…la famiglia, che istiga all’odio e all’invidia…”. Se non si conoscesse il contesto, sembrerebbe la solita contestazione del centro sinistra ad una finanziaria di Tremonti.
“Diciamo no – continua – alla mostruosa macchina fiscale per schedare tutti i cittadini anche con l’aiuto alla delazione”. Io, anche da pensionato non temo né di essere schedato né di essere spiato (per il fisco, s’intende, perché non bisogna confondere la libertà col fare quel che si vuole.) come penso che nessuno in Italia…tranne che non abbia qualcosa da nascondere o, meglio, che non ha nascosto al fisco godendo di agevolazioni altrimenti indirizzati. Parlo di evasori di professione che, pur godendo di un alto tenore di vita, usufruiscono sfacciatamente di interventi da cui i cittadini veramente bisognosi sono esclusi (rette scolastiche, ticket sanitari, ICI, mensa scolastica, assistenza agli anziani e a portatori di handicap…). In altri termini, grazie all’evasione e alla mancanza di schedatura fiscale, i poveri aggiungono ricchezza ai già ricchi. Bella giustizia sociale!
La perla (non poteva mancare!): “Per queste sinistre l’impresa è solo una macchina per lo sfruttamento, il profitto è una colpa e l’elevazione sociale e la proprietà rappresentano un atto di superbia da punire”. All’on. Berlusconi sfugge che già da un bel po’ di tempo viviamo in un Paese liberale in cui è riconosciuta la proprietà privata e il profitto purché non siano il frutto di atti illeciti e di prevaricazione perché in questi casi sono atti da punire.
L’elevazione sociale, infine, non si acquisisce, come purtroppo molti credono, con l’arricchimento (ciò che si vede) ma potendo usufruire di una scuola pubblica efficiente e formativa, di un’informazione libera e autonoma, di una classe imprenditoriale che rispetti i canoni economici ed etici dell’impresa (non aspettando l’intervento statale; cioè l’elemosina degli stessi lavoratori), di una classe politica che non passi il tempo a delegittimare l’avversario, creando confusione e la falsa certezza che chi grida di più, più ottiene.