18 febbraio 2009

UNA DOMANDA

L’avvocato inglese Mills è stato condannato dal Tribunale di Milano a quattro anni e sei mesi per corruzione. Aveva ricevuto 600 mila dollari dalla Fininvest per dichiarare il falso nei processi che vedevano coinvolto Berlusconi. Nello stesso procedimento è imputato il premier Berlusconi che però, grazie al lodo Alfano, un altro provvedimento ad personam, vede stralciata la sua posizione almeno finché ricoprirà una delle quattro maggiori cariche dello Stato.
Se Mills è stato condannato perché corrotto, vuol dire che c’è un corruttore e, quindi, un responsabile di reato, o presunto tale, rimane impunito e ricopre tra l’altro la carica di Presidente del Consiglio. Senza una sentenza di condanna , nessuno è colpevole, ma perché Berlusconi non si fa giudicare come un normale cittadino, se , come sostiene, non ha commesso il fatto?
La legge del governo sul fine vita viola i diritti umani
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I professori di diritto civile contestano punto per punto le aberrazioni della proposta di legge governativa.

1. Nelle ultime concitate settimane si sono verificate attorno al caso Englaro forzature istituzionali molto preoccupanti in sé e per sé, ma assolutamente inaccettabili quando si controverte di valori fondamentali della persona come il significato del diritto alla vita, la dignità dell’uomo, l’habeas corpus, il diritto all’autodeterminazione: temi che per rispetto delle radici stesse della convivenza civile in una società pluralistica richiedono di essere affrontati, in sede normativa, sulla base di approfondite e documentate conoscenze, di mediazione ed ascolto delle diverse posizioni etiche, e con procedure adatte a consentire la discussione, il confronto, la ricerca di un attento bilanciamento.

2. Ora il Parlamento sta per approvare in tempi stretti una legge in materia di direttive anticipate (c.d. testamento biologico). A quanto è dato di conoscere, la maggioranza pare intenzionata ad una discussione rapida di un testo fortemente limitativo del fondamentale diritto all’intangibilità del corpo. Verso questo obiettivo si procede a passi spediti, senza tener conto dei principi costituzionali di diritto interno e sovranazionale ed ignorando l’esigenza di rispetto di posizioni morali diverse.

3. Sembra quindi necessario richiamare alcuni capisaldi giuridici in materia:

a) La Convenzione di Oviedo, che l’Italia ha sottoscritto e di cui è stata approvata la legge di ratifica, dispone all’art 5, che “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”. La previsione non riguarda solo le terapie in senso stretto, ma ogni “intervento nel campo della salute”, espressione più ampia che può corrispondere a quella di “atto medico”, vale a dire qualsiasi atto che, anche a fine non terapeutico, determini un’invasione della sfera corporea.
All’art 9 si prevede che “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”, ove se da un lato non si qualificano i “desideri” come vincolanti, dall’altro è evidente che il rispetto va dato non soltanto alle “dichiarazioni di volontà” (men che meno alle sole dichiarazioni solenni come l’atto pubblico) ma ad ogni espressione di preferenze comunque manifestata.

b) La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea protegge il diritto alla vita (art.2) e il diritto all’integrità della persona (art.3) nel titolo dedicato alla Dignità, che è anche il primo, fondamentale diritto della persona (art.1). All’integrità della persona, in ragione della dignità, è consustanziale il principio di autodeterminazione stabilito nel secondo comma dell’art. 2, secondo il quale “Nell'ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge, ecc.” Ancora una volta il principio non è limitato ai trattamenti terapeutici, ma riguarda la libera determinazione nel campo medico-biologico.

c) La Costituzione italiana, che tutela l’autodeterminazione all’art. 13, configura all’art. 32 il principio del consenso come elemento coessenziale al diritto alla salute, e prevede che anche nei casi in cui il legislatore si avvalga del potere di imporre un trattamento sanitario, “in nessun caso possa violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Tale dignità non può essere intesa solo in un senso affidato a criteri oggettivi, ma implica il rispetto dell’identità senza la quale cade la ragion d’essere della dignità dell’uomo.

d) Il principio che consente il rifiuto di atti medici anche benefici è un’acquisizione consolidata della giurisprudenza europea, a valle di una evoluzione che risale alla fine dell’800; e più volte si è confermato che anche di fronte allo stato di necessità il libero, consapevole, lucido dissenso dev’essere rispettato. Un tale diritto di rifiutare le terapie, anche di sostegno vitale, non ha nulla a che fare con l’eutanasia, che consiste invece in una condotta direttamente intesa a procurare la morte.

e) Egualmente estraneo all’eutanasia è il principio condiviso in bioetica e in biodiritto per cui l’interruzione delle cure, anche senza volontà espressa del paziente divenuto incapace, debba essere praticata non solo quando le cure sono sproporzionate (c.d. accanimento terapeutico) ma anche quando esse siano inutili o abbiano il solo effetto del mantenimento in vita artificiale (cfr. l’art. L 1110-5, 2° comma, del Code de la santé publique, modificato dalla L. n. 2005-370 del 22 aprile 2005 “Relativa ai diritti del malato ed alla fine della vita”, e l’art. R 4127-37 del Code de la santé publique, modificato dal decreto n. 2006-120 del 6 febbraio 2006).

Confidiamo che il legislatore italiano saprà e vorrà tenere in conto questi principi e adeguare ad essi la disciplina delle direttive anticipate, evitando di espropriare la persona del diritto elementare di accettare la morte che la malattia ha reso inevitabile, di combattere il male secondo le proprie misure e - se ritiene - praticando soltanto il lenimento della sofferenza, senza rimanere prigioniera, per volontà di legge, di meccanismi artificiali di prolungamento della vita biologica.

Il documento è sottoscritto dai seguenti Professori di diritto civile:
(in ordine alfabetico)

Guido Alpa - Università di Roma La Sapienza
Giuseppe Amadio - Università di Padova
Tommaso Auletta - Università di Catania
Angelo Barba - Università di Siena
Massimo Basile - Università di Messina
Alessandra Bellelli - Università di Perugia
Andrea Belvedere - Università di Pavia
Alberto Maria Benedetti - Università di Genova
Umberto Breccia - Università di Pisa
Paolo Cendon - Università di Trieste
Donato Carusi - Università di Genova
Maria Carla Cherubini - Università di Pisa
Maria Vita De Giorgi - Università di Ferrara
Valeria De Lorenzi - Università di Torino
Raffaella De Matteis - Università di Genova
Gilda Ferrando - Università di Genova
Massimo Franzoni - Università di Bologna
Paolo Gaggero - Università di Milano Bicocca
Aurelio Gentili - Università di Roma Tre
Francesca Giardina - Università di Pisa
Biagio Grasso - Università di Napoli Federico II
Gianni Iudica - Università Bocconi Milano
Gregorio Gitti - Università di Milano Statale
Leonardo Lenti - Università di Torino
Francesco Macario - Università di Roma Tre
Manuela Mantovani - Università di Padova
Marisaria Maugeri - Università di Catania
Cosimo Marco Mazzoni - Università di Siena
Marisa Meli - Università di Catania
Salvatore Monticelli - Università di Foggia
Giovanni Passagnoli - Università di Firenze
Salvatore Patti - Università di Roma La Sapienza
Paolo Pollice - Università di Napoli
Roberto Pucella - Università di Bergamo
Enzo Roppo - Università di Genova
Carlo Rossello - Università di Genova
Liliana Rossi Carleo - Università di Napoli
Giovanna Savorani - Università di Genova
Claudio Scognamiglio - Università di Roma “Tor Vergata”
Chiara Tenella Sillani - Università di Milano Statale
Giuseppe Vettori - Università di Firenze
Alessio Zaccaria -Università di Verona
Mario Zana - Università di Pisa
Paolo Zatti - Università di Padova

17 febbraio 2009

W LA SARDEGNA

Elezioni regionali in Sardegna. Il presidente uscente Soru vince schiacciando il suo avversario: un distacco di ben dodici punti. Il PD scavalca il Pdl lasciandolo ad oltre 10 punti, un miracolo.
Il grande sponsor di Cappellini ne è uscito con le ossa rotte. Finalmente l’Italia tutta può tirare un sospiro di sollievo. Gli italiani incominciano ad alzare la testa, hanno capito che il cavaliere e la sua schiera di cortigiani non sono in grado di risolvere i gravi problemi della recessione economica; che l’ordine pubblico, nonostante l’uso dell’esercito, continua ad essere un punto non risolto e a nulla valgono i proclami televisivi; che la democrazia è in pericolo per il cinismo con cui si usano le istituzioni. Il successo non può essere attribuito solo al coraggio di Soru, ma anche alla solida struttura del PD e all’intraprendenza politica e organizzativa del suo leader Walter Weltroni.
Il centrosinistra da oggi può riprendere a sognare. Il suo progetto di società nuova, fondata su un nuovo Rinascimento culturale e politico e, grazie all’opera continua di diffusione attuata in umiltà dai “vecchi” (Rutelli, D’alema, Binetti…), già cammina. Vedremo i giovani alla guida non più di un partito bicefalo, ma di un monolite che, pur mantenendo delle diversità, riuscirà, nel rispetto della costituzione e del patto di appartenenza, ad avere un’unica posizione su i problemi più determinanti della politica a partire dalla bioetica.
Ma che cos’è questo trillo continuo? È la sveglia che, bruscamente mi fa saltare giù dal letto.
Senza nemmeno prendere il caffè, accendo la Tv e mi sintonizzo sul televideo: le elezioni i Sardegna sono state vinte da Berlusconi, Soru si è fermato al 42%, il Pd di Veltroni & company ha perso solo 11 punti rispetto alle politiche.
Il mio sogno è stravolto, eppure gli antichi sui sogni vedevano un’anticipazione della realtà, gli oracoli erano potentissimi, nessuna impresa veniva intrapresa senza consultarli.
Si vede che la nostra realtà è dura da scalfire…ci contentiamo della realtà onirica che, tra l’altro, possiamo realizzarla come vogliamo.
È ovvio, a questo punto, che alcune riflessioni politiche vanno pure fatte, che sicuramente saranno diverse dai soliti vecchi commenti dei soliti vecchi e soliti uomini di partito commentatoti a loro sodali. La destra osannerà il suo leader Berlusconi, il Pd se la prenderà con l’invadenza dei media e della campagna elettorale fatta da Berlusconi “sempre in Sardegna e con i soldi dello Stato”. Meschine giustificazioni che tentano di nascondere il vuoto profondo di proposta politica su tutti i principali problemi all’ordine del giorno dall’economia, alla giustizia, dalla democrazia in pericolo al testamento biologico, dalla laicità dello stato all’ingerenza delle gerarchie ecclesiastiche…e potremmo continuare all’infinito.
Soru e il Pd hanno perso, senza appello. La sconfitta è netta, tanto netta che la domanda da farsi è una sola: Cosa ci sta a fare un partito che naviga a vista, che non ha un progetto da contrapporre a quello demagogico e distruttivo della destra, se su ogni singolo argomento le due anime, la cattolica
e la laica (?), e non trovano una sintesi, una compattezza di contrasto, senza rifugiarsi sul voto di coscienza, di comodo?
Occorre che il Pd esca dall’ambiguità programmatica, lasciando l’improvvisazione, e dando certezza ai suoi elettori, cercando di conquistare le numerosissime schede bianche, non illudendosi che siano solo di sinistra e che prima o poi ritorneranno all’ovile. Sarebbe una pia illusione se il Pd non riuscirà a recepire la disillusione di quanti avevano scommesso sul nuovo soggetto. Nuovo in tutti i sensi, nelle proposte e negli uomini, perché, lo ricordino bene i boss del Pd, se l’Italia va alla deriva, una colpa determinante e anche loro.

12 febbraio 2009

INTERVISTA A ZAGREBELSKY

Pubblico l'intervista rilasciata dal costituzinalista Zagrebelsky, esempio laico di equilibrio e di rispetto per tutte le posizioni,che immagina lontane dai dogmi, causa di scontri che non si sa mai dove andranno a finire.
La politica non deve essere succube della Chiesa, ma deve rivendicarne l'autonomia, così come la Chiesa non deve invadere il campo della politica, anche se nessuno le vieta di dire la sua in ordini ai principi che le sono propprie, senza pretese egemoniche.


Parla l'ex presidente della Consulta
"Dialogo sull'etica è impossibile con lo scontro tra dogmi"
Zagrebelsky: "Se il potere nichilista
si allea con la Chiesa del dogma"
di GIUSEPPE D'AVANZO


L'Avvenire, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana, ha definito Beppino Englaro "un boia". Credo che debba partire da qui, da un insulto atroce, il colloquio con Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte Costituzionale.

Beppino Englaro, "un boia"?"
In un caso controverso dove sono in gioco dati della vita così legati alla tragicità della condizione umana è fuori luogo usare un linguaggio violento, così impietoso, così incontrollato, così ingiusto. Non ho ascoltato, sul versante opposto, che vi sia chi ragiona dell'esistenza di un "partito della crudeltà" opposto a "un partito della pietà". Credo che in vicende così dolorose debbano trovare espressione parole più adeguate e controllate, più cristiane".

E tuttavia, presidente, i toni accusatori, le accuse così aggressive e definitive sembrano indicare che cosa è in gioco o a contrasto nel caso di Eluana Englaro. I valori contro i principi, la verità contro il dubbio. Questioni da sempre aperte nelle riflessioni dei dotti che avevano trovato, per così dire, una sistemazione condivisa nella Costituzione italiana. Che cosa è accaduto? Perché quell'equilibrio viene oggi messo di nuovo in discussione dopo appena sessant'anni?
"Le posizioni in tema di etica possono essere prese in due modi. In nome della verità e del dogma, con regole generali e astratte; oppure in nome della carità e della com-passione, con atteggiamenti e comportamenti concreti. Nella Chiesa cattolica, ovviamente, ci sono entrambe queste posizioni. Nelle piccole cerchie, prevale la carità; nelle grandi, la verità. Quando le prime comunità cristiane erano costituite da esseri umani in rapporto gli uni con gli altri, la carità del Cristo informava i loro rapporti. La "verità" cristiana non è una dottrina, una filosofia, una ideologia. Lo è diventata dopo. Gesù di Nazareth dice: io sono la verità. La verità non è il dogma, è un atteggiamento vitale. Quando la Chiesa è diventata una grande organizzazione, un'organizzazione "cattolica" che governa esseri umani senza entrare in contatto con loro, con la loro particolare, individuale esperienza umana, ha avuto la necessità di parlare in generale e in astratto. È diventata, - cosa in origine del tutto impensabile - una istituzione giuridica che, per far valere la sua "verità", ha bisogno di autorità e l'autorità si esercita in leggi: leggi che possono entrare in conflitto con quelle che si dà la società. Chi pensa e crede diversamente, può solo piegarsi o opporsi. Un terreno d'incontro non esiste. ".

Che ne sarà allora dell'invito del capo dello Stato a una "riflessione comune" ora che il parlamento affronterà la discussione sulle legge di "fine vita"?
" Una legge comune è possibile solo se si abbandonano i dogmi, se si affrontano i problemi non brandendo quella verità che consente a qualcuno di parlare di "omicidio" e "boia", ma in una prospettiva di carità. La carità è una virtù umana, che trascende di gran lunga le divisioni delle ideologie e dei credi religiosi o filosofici. La carità non ha bisogno né di potere, né di dogmi, né di condanne, ma si nutre di libertà e responsabilità. Dico la stessa cosa in altro modo: un approdo comune sarà possibile soltanto se prevarrà l'amore cristiano contro la verità cattolica".

Lo ritiene possibile?
"Giovanni Botero nella sua Della Ragione di Stato del 1589 scriveva, a proposito dei Modi di propagandar la religione: "Tra tutte le leggi, non ve n'è alcuna più favorevole a' Prencipi, che la Christiana: perché questa sottomette loro, non solamente i corpi e le facoltà de'sudditi, dove conviene, ma gli animi ancora; e lega non solamente le mani, ma gli affetti ancora e i pensieri". Botero era uomo della controriforma. Purtroppo, c'è chi pensa ancora così, tra i nostri moderni "prencipi". Essi potrebbero far loro il motto di un discepolo di Botero che scriveva: "questa è la ragion di stato, fratel mio, obbedire alla Chiesa cattolica". Ora, se l'obbedienza alla Chiesa cattolica è la ragion di stato, è chiaro che i laici non troveranno mai un approdo comune con costoro.

Dobbiamo allora credere che il conflitto di oggi tra mondo laico e mondo cattolico, che ha accompagnato il calvario di Eluana, segnali soprattutto la fine della riflessione del Concilio Vaticano II e, per quel che ci riguarda, la crisi di quella "disposizione costituzionale" che è consistita, per lo Stato, nel principio di laicità contenuto nella Costituzione, e per la Chiesa nella distinzione tra religione e politica?
"Il Concilio Vaticano II ha rovesciato la tradizione della Chiesa come potere alleato dello Stato, ha voluto liberarla da questo legame tutt'altro che evangelico. Non si propose di proteggere o conservare i suoi privilegi, ancorché legittimamente ricevuti, e invitò i cattolici a un impegno responsabile nella società, uomini con gli altri uomini, con la fiducia riposta nel libero esercizio delle virtù cristiane e nell'incontro con gli "uomini di buona volontà", senza distinzione di fedi. Fu "religione delle persone" e non surrogato di una religione civile. Il cattolicesimo-religione civile sembra invece, oggi, essere assai gradito per i vantaggi immediati che possono derivare sia agli uomini di Chiesa che a quelli di Stato".

Ieri mentre finiva l'esistenza di Eluana Englaro e il Paese era scosso dalle emozioni, dalla pietà e, sì, anche da una rabbia cieca, dieci milioni di italiani hanno voluto vedere il Grande Fratello. E' difficile non osservare che l'artefice della macchina spettacolare televisiva del reality e di ogni altra fantasmagorica vacuità - capace di distruggere ogni identità reale, alienare il linguaggio, espropriarci di ciò che ci è comune, di separare gli uomini da se stessi e da ciò che li unisce - è lo stesso leader politico che pretende di dire e agire in nome dell'Umanità, della Vita, addirittura della Verità e della Parola di Dio. Le appare più tragico o grottesco, questo paradosso? Come spiegarsi la dissoluzione di ogni senso critico dinanzi a questo falso indiscutibile?
"Non è questo il solo paradosso. Non è la sola contraddizione che si può cogliere in questa vicenda. Il mondo cattolico enfatizza spesso il valore della dimensione comunitaria della vita, soprattutto nella famiglia. E' la convinzione che induce la Chiesa a invocare a gran voce la cosiddetta sussidiarietà: lo Stato intervenga soltanto quando non esistono strutture sociali che possono svolgere beneficamente la loro funzione. Mi chiedo perché, quando la responsabilità, la presenza calda e diretta della famiglia, nelle tragiche circostanze vissute dalla famiglia Englaro, dovrebbero ricevere il più grande riconoscimento, la Chiesa - con una contraddizione patente - chiude alla famiglia e invoca l'intervento dello Stato; alla com-passione di chi è direttamente coinvolto in quella tragedia, preferisce i diktat della legge, dei tribunali, dei carabinieri. Sia chiaro: lo Stato deve vigilare contro gli abusi - proprio per evitare il rischio espresso dal presidente del consiglio con l'espressione, in concreto priva di compassione, "togliersi un fastidio" - ma osservo come la legge che la Chiesa chiede assorbe nella dimensione statale tutte le decisioni etiche coinvolte: questo è il contrario della sussidiarietà e assomiglia molto allo Stato etico, allo Stato totalitario".

Lei è il primo firmatario di un appello che ha per titolo Rompiamo il silenzio. Vi si legge che "la democrazia è in bilico". Le chiedo: può una democrazia fragile, in bilico appunto, reggere l'urto coordinato di un potere politico invasivo e senza contrappesi e di un potere religioso che agita come una spada la verità?
"Oggi la politica è succuba della Chiesa, ma domani potrebbe accadere l'opposto. Se la politica è diventata - come mi pare - mezzo al solo fine del potere, potere per il potere, attenzione per la Chiesa! Essa, la Chiesa del dogma e della verità, può essere un alleato di un potere che oggi ha bisogno, strumentalmente, di legittimazione morale. Il compromesso convince i due poteri a cooperare. Ma domani? Il potere dell'uno, rafforzato e soddisfatto, potrebbe fare a meno dell'altra. ".

Qual è l'obiettivo del suo appello?
"'Rompiamo il silenziò è già stato sottoscritto da centosessantamila cittadini. È la dimostrazione che, per fortuna, la nostra società non è un corpo informe, conserva capacità di reazione. L'appello ha tre ragioni. E' uno sfogo liberatorio, innanzitutto: devo dire a qualcuno che non sono d'accordo. E' poi un autorappresentarsi non come singoli, ma come comunità di persone. Il terzo obiettivo è rendersi consapevoli, voler guardare le cose non in dettagli separati, è un volersi raffigurare un quadro. A volte abbiamo la tendenza a evitare di guardare le cose nel loro insieme. E' quasi un istinto di sopravvivenza distogliere lo sguardo dalla disgrazia che ci può capitare. L'appello prende posizione. Si accontenta di questo. Se mi chiede come e dove diventerà concreta questa presa di coscienza, le rispondo che ognuno ha i suoi spazi, il lavoro, la scuola, il partito, il voto. Faccia quel che deve, quel che crede debba essere fatto per sconfiggere la rassegnazione".
(11 febbraio 2009) da "la Repubblica"

11 febbraio 2009

LA VIOLENZA DELLE PAROLE E LA PRESUNZIONE DELLA VERITA’

Eluana è stata uccisa. È questa la triste certezza del signor Marco Tarquinio, giornalista di punta dell’Avvenire, l’organo della CEI. Ne è talmente convinto che usa l’intercalare all’inizio di ogni periodo, come atto d’accusa certo. È un’accusa che ha dei destinatari ben individuati cui si rivolge con linguaggio da “Santa” inquisizione, violento e arrogante, in un momento in cui la riflessione dovrebbe guidare le nostre pulsioni.
“Se non gridassimo questa…verità, non avremmo più titolo morale per parlare ai nostri lettori, ai nostri concittadini, ai nostri figli”. Non capisco a quale verità si riferisce il signor Tarquinio, se alla sua o a quella divina, perché, nell’un caso e nell’altro deve dimostrarlo e se è proprio convinto che Eluana è stata uccisa e conosce i nomi dei suoi assassini, e li conosce, come si evince dalla lettura dell’articolo, ha una sola strada da percorrere, quella della denuncia circostanziata alla Magistratura, proprio per non “consentire menzogne e tollerare mistificazioni”. Una tale azione gli darebbe “titolo morale” per parlare a lettori, cittadini e figli (ma non sarebbe stato meglio invertire l’ordine dei destinatari?). Sulla verità divina, cioè rivelata, avrei molte perplessità, viste le manipolazioni a cui è stata sottoposta la Bibbia, come sul titolo morale, considerando che nel “Nuovo catechismo della Chiesa cattolica, 1999” si legge “l’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude (…) il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani…”.
Parla, l’articolista, di Eluana “strappata all’affetto e alle competenze di vita delle suore, contrapposta a una competenza di morte messa in campo a Udine”. E l’affetto dei genitori quello che li ha legati per diciassette anni al calvario di Eluana, a quanto ho capito, si trasforma in “competenza di morte”, poiché i nostri figli “rinunceranno a ragionare della vita e della morte con chi gli è padre e madre (…) e gli potrebbe diventare testimone d’accusa e pubblico ministero e giudice e boia?”. Linguaggio violento e farneticante!
Concordo nella richiesta che la politica s’impegni a colmare il vuoto legislativo in merito, elaborando una legge che tenga conto della volontà chiaramente espressa dal paziente che verrebbe a trovarsi in una condizione di stato vegetativo o di coma irreversibile prevedendo, altresì, strumenti di aiuto per le famiglie coinvolte, proprio per dare un senso a quella che viene definita “cultura della vita”.
Il signor Tarquinio, conclude chiedendo ai giudici, prima chiamati a correo, “che si faccia giustizia” e ci dicano “come è stata uccisa Eluana”.
Ecco, come insegna la Chiesa e la sua gerarchia, emerge sempre la visione dualistica della realtà divisa tra il bene e il male, tra l’assolutismo dogmatico e il relativismo, tra il giusto e ciò che giusto non è. Ovviamente la verità sta sempre dalla loro parte, gli altri di adeguino alla legge divina se non vogliono finire all’Inferno e patire mille pene, come la giustizia divina ci insegna, poiché quella umana è lontana assai dalla perfezione. La perfettibilità della legge umana è certezza di rispetto della dignità e della libertà dell’uomo, di una ricerca che va verso il divino senza certezze assolute ma con il desiderio di conoscenza.
Invito, infine, il signor Tarquini, a non chiedere perdono in mia vece al suo Dio. Innanzitutto perché non credo di dover chiedere perdono perché ho condiviso la posizione di Eluana e della famiglia, e poi perché il perdono è un atto personale e non delegabile. Lo chieda per sé per quanto a scritto e per le pietre che ha lanciato senza dimenticare quello che dice Gesù in Giovanni1, 8-7: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro…”. Oppure lo chieda per tutti i morti dovuti all’integr5alismo cattolico in secoli di massacri.
Segue l'articolo di prima pagine del signor Tarquini che invito a leggere


10 Febbraio 2009
Non morta, ma uccisa
Adesso però vogliamo sapere tutto
Eluana è stata uccisa. Davanti alla morte le parole tornano nude. Non consentono menzogne, non tollerano mistificazioni. E se noi – oggi – non le scrivessimo, queste parole nude e vere, se noi – oggi – non chiamassimo le cose con il loro nome, se noi – oggi – non gridassimo questa tristissima verità, non avremmo più titolo morale per parlare ai nostri lettori, ai nostri concittadini, ai nostri figli. Non saremmo cronisti, e non saremmo nemmeno uomini.

Eluana è stata uccisa. Una settimana esatta dopo essere stata strappata all’affetto e alla «competenza di vita» delle sorelle che per 15 anni, a Lecco, si erano pienamente e teneramente occupate di lei. In un momento imprecisato e oscuro del «protocollo», orribile burocratico eufemismo con il quale si è cercato di sterilizzare invano l’idea di una «competenza di morte» messa in campo, a Udine, per porre fine artificialmente ai suoi giorni.

Eluana è stata uccisa. E noi osiamo chiedere perdono a Dio per chi ha voluto e favorito questa tragedia. Per ogni singola persona che ha contribuito a fermare il respiro e il cuore di una giovane donna che per mesi era stata ostinatamente raccontata, anzi <+corsivo>sentenziata<+tondo>, come «già morta» e che morta non era. Chiediamo perdono per ognuno di loro, ma anche per noi stessi. Per non aver saputo parlare e scrivere più forte. Per essere riusciti a scalfire solo quando era troppo tardi il muro omertoso della falsa pietà. Per aver trovato solo quando nessuno ha voluto più ascoltarle le voci per Eluana (le altre voci di Eluana) che erano state nascoste. Sì, chiediamo perdono per ogni singola persona che ha voluto e favorito questa tragedia. E per noi che non abbiamo saputo gridare ancora di più sui tetti della nostra Italia la scandalosa verità sul misfatto che si stava compiendo: senza umanità, senza legge e senza giustizia.

Eluana è stata uccisa. E noi vogliamo chiedere perdono ai nostri figli e alle nostre figlie. Ci perdonino, se possono, per questo Paese che oggi ci sembra pieno di frasi vuote e di un unico gesto terribile, che li scuote e nessuno saprà mai dire quanto. Con che occhi ci guarderanno? Misurando come le loro parole, le esclamazioni? Rinunceranno, forse per paura e per sospetto, a ragionare della vita e della morte con chi gli è padre e madre e maestro e amico e gli potrebbe diventare testimone d’accusa e pubblico ministero e giudice e boia? Chi insegnerà, chi dimostrerà, loro che certe parole, che le benedette, apodittiche certezze dei vent’anni non sono necessariamente e sempre pietre che gli saranno fardello, che forse un giorno potrebbero silenziosamente lapidarli. Ci perdonino, se possono. Perché Eluana è stata uccisa.

Sì, Eluana è stata uccisa. E noi, oggi, abbiamo solo una povera tenace speranza, già assediata – se appena guardiamo nel recinto delle aule parlamentari – dalle solite cautelose sottigliezze, dalle solite sferraglianti polemiche. Eppure questa povera tenace speranza noi la rivendichiamo: che non ci sia più un altro caso così. Che Eluana non sia morta invano, e che non muoia mai più. Ci sia una legge, che la politica ci dia subito una legge. E che nessuno, almeno nel nostro Paese, sia più ucciso così: di fame e di sete.

Ma che si faccia, ora, davvero giustizia. Che s’indaghi fino in fondo, adesso che il «protocollo» è compiuto e il mistero di questa fine mortalmente c’inquieta. Non ci si risparmi nessuna domanda, signori giudici. Ci sia trasparenza finalmente, dopo l’opacità che ci è stata imposta fino a colmare la misura della sopportazione. E si risponda presto, si risponda subito, si risponda totalmente. Come è stata uccisa Eluana?
Marco Tarquinio

10 febbraio 2009

LETTERA A PAPA’ PEPPINO

Signor Peppino,
non lo conosco, ma voglio unirmi al suo dolore lungo diciassette anni, durante i quali ha dato un’alta immagine di padre, stando vicino alla sua unica e amata figlia, quella splendida ragazza di vent’anni.
Il suo atto di coraggio lo rende un gigante di fronte all’ipocrisia di chi in nome della sacralità della vita, giorno dopo giorno la calpesta in tutte le sue manifestazioni spostando su altri le responsabilità.
Istituzioni politiche e morali non hanno avuto l’umiltà del silenzio e della comprensione, ma hanno inscenato uno spettacolo indegno, strumentalizzando ai propri fini un dramma familiare che non può vivere chi non lo prova.
Un padre non diventa un mostro dopo diciassette anni, come dopo diciassette anni, di colpo, ci si accorge di Eluana…con violenza, cercando di dividere le coscienze invece di unirle attorno alla sofferenza immensa, sua, Peppino, e della sua famiglia.
Cinici sepolcri imbiancati, mercanti che Gesù aveva buttato fuori dal tempio, osano parlare di due culture, quella della vita e quella della morte, cercando di impadronirsi impropriamente della prima. Non hanno capito, o non l’hanno voluto, che non spetta a loro, come a nessuno, stabilire la linea di confine tra ciò che è bene e ciò che non lo è, che non possono entrare nel tempio che è in ognuno di noi senza dissacrarlo, calpestando il diritto che ogni essere umano ha di decidere del proprio destino.
La verità assoluta ed esclusiva, anche se esistesse, conterrebbe il rispetto per la “sua” verità e, quindi, del suo modo di porsi nei confronti della vita.
Mi scusi Peppino dello sfogo, ma ho vissuto questi ultimi giorni con angoscia.
Mi permetta di abbracciarlo da fratello e di versare una lacrima e unirla alle sue.
Giuseppe Governanti


Di seguito riporto integralmente l’articolo del direttore di “la Repubblica”, che meglio di ogni altro ha espresso i sentimenti di vicinanza verso la famiglia Englaro, evidenziando l’indignazione verso la politica che non ha saputo stare in silenzio, invadendo con la sua ipocrisia e cinismo il triste campo del dolore e della sofferenza.
Solo un appunto, dottor Mauro. In questa triste vicenda un ruolo importante, forse determinante, hanno avuto le gerarchie vaticane. È cosa opportuna, oltre che giusta, sottolinearne, non solo l’invadenza, fino al limite estremo dell’ingerenza, ma anche la continua accusa di omicidio rivolti verso chi si è stretto al dolore della famiglia e la famiglia stessa, alimentando il fuoco dello scontro ideologico. Sono evidenze che è giusto riprendere, com’è giusto riaffermare la laicità dello Stato così come recita la Costituzione, sottolineando le numerose prebende (l’8 per mille, il 5 per mille, i finanziamenti alle scuole cattoliche a scapito della scuola statale sempre più in rovina…) e i numerosi privilegi di cui gode, come una religione di stato.



La morte e la politica
di EZIO MAURO

Il nuovo Calvario su cui è salita Eluana Englaro e dove è morta ieri sera, è questa fine tutta politica, usata, strumentalizzata, quasi annullata nella riduzione a puro simbolo e pretesto feroce di una battaglia di potere che è appena incominciata e nell'usurpazione del suo nome segnerà la nostra epoca.

Il vero sgomento è nel dover parlare di queste cose, davanti alla morte di Eluana. Bisognerebbe soltanto tacere, riflettere su quell'avventura umana, sulla tragedia di una ragazza diventata donna adulta nella perenne incoscienza del suo letto d'ospedale, su quelle vecchie fotografie piene di vita e di bellezza rovesciate nella costrizione immobile di un'esistenza minima, inconsapevole. Voleva vivere, quel corpo che respirava? O se avesse potuto esprimersi, avrebbe ripetuto la vecchia idea di volersene andare, come aveva detto da ragazza Eluana a suo padre, molti anni fa, quando poteva parlare e pensare?

È la domanda che si fa ognuno di noi, quando è accanto ad un malato che non può più guarire, in un ospedale o in una clinica. È un'angoscia fatta di carezze e interrogativi, dopo che le speranze si sono tutte dissolte. Di giuramenti eroici - fino alla fine, pur di poterti ancora vedere, toccare, pur di immaginare che senti almeno il tepore del sole, che stringi una mano, e non importa se nei riflessi automatici dell'incoscienza. Ma è un'angoscia fatta anche di domande sul futuro, che si scacciano ma tornano: fino a quando? E come, attraverso quale percorso di sofferenza, di degenerazione, di smarrimento di sé? E alla fine, perché? C'è una vita da conservare, o in queste condizioni è un simulacro di vita, un'ostinazione, una costrizione? È per lei o è per noi che la teniamo viva?

Quegli atti inconsapevoli che in certe giornate rasserenano, e sono tutto - il respiro, naturalmente, un tremito di ciglia - altre volte sembrano una condanna meccanica, soprattutto inutile. Perché la vita è un bene in sé, ma deve pur servire a qualcosa, avere un senso.
Questo è stato per 17 anni il dramma di un padre. Accanto al letto della sua Eluana, lui è vivo, vede, ama, soffre, s'interroga, si dispera e ragiona. Diciassette anni sono lunghissimi, la speranza fa in tempo ad andarsene senza illusioni, c'è il realismo dei medici, l'evidenza quotidiana. Una figlia che ogni giorno si allontana dall'immagine della vita mentre resiste, ogni giorno è presente nel suo bisogno di assistenza ma non sente più l'amore, lo sconforto, la presenza. Nulla. È lontana e tuttavia respira, mentre il padre la guarda. Lui ricorda quel che la figlia voleva, quel che avrebbe voluto. Non so che cosa pensi, come arrivi alla decisione, se gli faccia paura l'idea di un futuro in cui lui potrebbe non esserci più, con la madre gravemente malata. Se ha ceduto, facendo la sua scelta, o se invece ha dovuto farsi forza. So che in quel padre, in questi 17 anni, si somma il massimo del dolore e dell'amore per Eluana. Questo non significa automaticamente che tutto ciò che lui decide sia giusto. Ma significa che lui ha un diritto, il diritto di raccogliere la volontà di un tempo di Eluana e di confrontarla con la sua volontà, com'è venuta maturando accanto a quel letto d'ospedale, in un percorso che lui solo conosce, e che nasce dal rapporto più intimo e più autentico di un uomo con sua figlia, nei momenti supremi.

Il padre potrebbe risolvere il problema nell'ombra, come fanno molti e come vogliono i Pilati italiani, pur di non vedere e di non sentire. Potrebbe cioè chiudere l'esistenza di Eluana nel moderno, silenzioso, neutro "rapporto" tra medico e familiare del paziente terminale. Bastano poche parole, poi un giorno uno sguardo d'intesa, un cenno del capo, e tutto finisce senza clamore. Ma quello del padre, in questo caso, non è "un problema". È la sua stessa esistenza, congiunta con quella di sua figlia, che non sanno come procedere e come sciogliersi. È una cosa infinitamente più grande di lui, che tutto lo pervade e lo domina, altro che "problema", altro che "rapporto" tra un medico e una famiglia, altro che scelte silenziose e sbrigative, purché nulla sia detto davvero, niente chiamato col suo nome. Ciò che molti dicono tragedia, in questi casi, quel padre la vive davvero, al punto da urlarla. Vuole che gli altri sappiano. Vuole che gli dicano se quel che fa è giusto o sbagliato. Lui ha deciso di chiedere allo Stato di lasciar andare Eluana. Chiede che lo Stato risponda, dunque si faccia carico, non se ne lavi le mani. Solo così, portata in pubblico, la tragedia di quella figlia servirà a qualcosa, a qualcuno, e quei 17 anni acquisteranno un senso per tutti, quasi un insegnamento. Non so se sia giusto o sbagliato. A me sembra un gesto d'amore, supremo, che nasce dal profondo di una desolazione e di un abbandono, perché l'una e l'altro non siano del tutto inutili, visto che già sono purtroppo inevitabili.

C'è qualcosa di più. Quel gesto verso lo Stato - violento: dimmi cosa devo fare, dimmi come posso fare, dimmi qualcosa, io sono solo ma resto cittadino e ho il diritto d'interpellarti - è un gesto che nasce dall'interno di una famiglia. Strano che nessuno lo abbia detto. Quel padre fa la spola tra una moglie malata gravissima e una figlia incosciente da un numero d'anni che non si possono nemmeno contare. Nessuno ha nemmeno il diritto, da fuori, di immaginare il suo tormento, il filo dei pensieri, la disperazione che deve tenere a bada mentre guida, mentre telefona, quando prova a dormire. Tra moglie e figlia, giorno dopo giorno, lui tiene insieme la sua famiglia. Ciò che resta, certo. Ma anche: ciò che è. Esiste forse una famiglia italiana, in questo 2009, più "famiglia" di questa? Lui parla con le sue due donne, ogni tanto con parole inutili, più spesso nella mente. Provano a ragionare insieme, è finzione, certo, ma è la cosa più vicina alla realtà, è l'unica possibile perché la famiglia esista non solo a livello fisico, delle due presenze malate in clinica con l'uomo lì accanto, ma anche a livello spirituale, come comunione possibile: anni insieme, gioie, speranze, amore, abbracci, progetti, un modo di pensare, di sentire, un modo di essere comune. La decisione che il padre prende, la prende in nome della sua famiglia. Non per sé, per tutti. Fa spavento pensare a questo, e poi pensare al futuro, ma è l'unica verità possibile. L'unica cosa autentica.

Quella famiglia, a un certo punto, dice che l'esistenza di Eluana, così com'è ridotta, deve finire. Nessuno può sapere se nella sensibilità acutissima della sua solitudine tra le due donne il padre ha deciso così perché lo ritiene un ultimo gesto d'attenzione, una cura estrema e finale per quella figlia; oppure perché non ce la fa più. Se lui non ce la fa più, è la famiglia che si ferma, che non può andare oltre. Loro sono insieme: ancor più negli ultimi diciassette anni. L'unico modo per non prendere su di sé tutto il peso di questa decisione, per il padre è quello di decidere in pubblico. Come se questo Paese fosse in grado - ben al riparo dalla tragedia, naturalmente - non solo di compatire, come sa fare benissimo, soprattutto in televisione. Ma per una volta, di condividere.

Il padre si aspettava la discussione, la polemica, gli attacchi e anche gli insulti. Aveva scritto una lettera a "Repubblica", l'altro giorno, che poi ha voluto rinviare ancora. Chiedeva di attaccarlo liberamente, purché si accettasse di discutere davvero la grande questione del cosiddetto caso Englaro. Domandava soltanto di risparmiare la morbosità degli sguardi e delle curiosità sugli ultimi istanti di Eluana. Negli ospedali, diceva, nelle corsie, a un certo punto si tira una tenda per riparare il momento finale di chi sta morendo.

Quel che il padre non poteva prevedere, era l'altra morbosità, più feroce: quella della politica, della destra italiana. Prima l'inverosimile conferenza stampa di Berlusconi, che usava più di metà del tempo per attaccare il Capo dello Stato in nome della potestà suprema e incondizionata del governo, e quando parlava di Eluana - dopo aver detto di non volersi assumere la responsabilità della sua morte - arrivava a pronunciare frasi offensive: il "figlio" che la ragazza potrebbe avere, il "gravame" a cui il padre vorrebbe rinunciare. Poi l'attacco alla Costituzione, come se una tragedia fosse fondatrice del diritto. Infine, ieri, alla notizia della morte di Eluana, il peggio, qualcosa a cui non volevamo credere. Berlusconi che punta dritto sul presidente Napolitano come responsabile diretto della tragedia ("l'azione del governo per salvare una vita è stata resa impossibile"), un gesto di violenza politica senza precedenti in democrazia, nel linguaggio tipico dei regimi contro i dissenzienti, quando si mescola politica e criminalità. Subito seguito dall'amplificazione di personaggi minori e terribili, come Quagliarello che parla di "assassinio", Gasparri che minaccia dicendo quanto pesino "le firme messe e non messe". Borghezio che chiama in causa i "dottor morte" colpevoli di "omicidio di Stato", anche da "altissime cariche istituzionali".

È miserabile sfruttare una morte per trarne un vantaggio politico. È vergognoso trascinare il Capo dello Stato sul terreno della vita e della morte per aver esercitato i suoi doveri di custode della Costituzione. È umiliante assistere a questo degrado della politica. È preoccupante scoprire qual è la vera anima della destra italiana, feroce e crudele nella cupidigia di potere assoluto, incurante di ogni senso dello Stato, aliena rispetto alle istituzioni e allo spirito repubblicano, con l'eccezione ogni giorno più forte e più netta del presidente della Camera Fini.

Con la strumentalizzazione di una tragedia nazionale e familiare, e con gli echi cupi di chi tenta di trasformare la morte in politica, è iniziata ieri sera la fase più pericolosa della nostra storia recente per le sorti della Repubblica.

(10 febbraio 2009)

09 febbraio 2009

IL MEDIOEVO

Il Medioevo è tra di noi. Basta sintonizzarsi in un canale qualsiasi di MediaRai per averne ampia conferma. Un ritorno al passato che annebbia uomini e istituzioni che li rappresentano, mentre il Paese assiste attonito al degrado etico-politico, costretto a parteggiare per l’uno o l’altro soggetto, dando colpe e ragioni con riferimento alle pulsazioni incontrollate della simpatia più che alle ragioni del vivere civile nel rispetto delle persone e degli strumenti che ne regolano i comportamenti per evitare l’imbarbarimento della vita comune.
Le tante colpe, ormai evidenti agli occhi di tutti, sono attribuibili, ognuno in rapporto al ruolo che ricopre, a soggetti sia religiosi sia politico-istituzionali, seguiti a breve distanza dalla cultura e dall’informazione.
La dolorosa vicenda di Eulana viene usata cinicamente da tutti i soggetti suindicati che hanno coinvolto in modo vergognoso il Presidente della Repubblica solo per puramente strumentale, in quanto il vero obiettivo, com’è facile verificare, è l’attacco alla Costituzione ed equilibri istituzionali che da essa derivano.
Andiamo con ordine.
Fino a venerdì il premier non aveva mostrato grande interesse per la vicenda di Eluana, come altri ministri (la signora Prestigiacomo il giovedì aveva rilasciato in Tv una dichiarazione che andava in senso contrario), se escludiamo l’ex socialista Sacconi e alcuni sottosegretari.
Giovedì al senato la maggioranza aveva approvato il disegno di legge del governo (Sacconi ne fa parte) sulla sicurezza che prevede la denuncia da parte dei medici degli irregolari che ricorrono alle cure mediche. Gli irregolari, temendo il rimpatrio, difficilmente ricorreranno alle cure mediche, tranne in situazioni gravi che possono compromettere la loro stessa vita: è, per fare qualche esempio, il caso di una partoriente o di un ammalato di Aids. In questi casi la sacralità della vita non conta, possono rendere l’anima a Dio che, anzi…li accoglierà in paradiso. Come martiri?
Come mai il governo è passato dall’indifferenza alla difesa della vita, in così breve tempo?
Venerdì mattina il Presidente della Repubblica invia una lettera al premier con la quale motiva le ragioni che lo porterebbero a non firmare un decreto d’urgenza che imporrebbe la sospensione del protocollo che porterà Eluana verso la morte e ciò in ragione di una manifesta incostituzionalità dello stesso.
Ecco l’occasione tanto attesa, direi auspicata, dal premier che, nella conferenza stampa serale, annuncia che un ddl (disegno di legge) che sarà approvato dal parlamento in due, tre giorni, in sostituzione del decreto che il presidente non vuole firmare.
Ha voluto provocare, come vedremo senz’altro un conflitto d’interesse e, vista la virulenza della conferenza, dimostrare chi comanda. Infatti, dichiara che “non si può governare senza la decretazione d’urgenza” e minaccia (sic) di “tornare dal popolo per cambiare Costituzione e governo”.
Penso che tornare dal popolo sarebbe una buona soluzione. Finalmente il popolo potrebbe esprimersi alla luce di fatti certi che ne mettono in mostra l’inconcludenza e la vocazione alla dittatura, dandogli una forte delusione. Ma non lo farà perché questa volta rischierebbe e o sa!
Il conflitto con il Presidente è evidente, come la volontà di farla finita con le pastoie, per lui, della separazione dei poteri. Attacca, quindi la Costituzione che secondo lui va cambiata “perché è una legge fatta…sotto l’influsso di una fine della dittatura e con la presenza al tavolo di forze ideologizzate che hanno guardato alla costituzione russa come un modello”. Dichiarazioni farneticanti che, se ce ne fosse ancora prova, mettono in evidenza un uomo privo di scrupoli, pronto a calpestare anche la carta costituzionale per i propri fini.
La cosa più sconcertante, indegna per qualsiasi uomo, anche pensarla, è l’attacco al papà di Eluana, quando afferma che la fretta con cui è stato avviato il protocollo che sospende l’alimentazione e l’idratazione “sembra nascondere nient’altro che la volontà di togliersi una scomodità”. È solamente mostruoso pensare una cosa del genere, quando il calvario di Eluana dura da 17 anni. Nessun rispetto per la dignità e la sofferenza di un padre, vergogna!
Un gioco più sporco, per il ruolo che dice di sostenere, è quello del Vaticano e delle gerarchie che hanno ancora una volta sconfinato nel terreno della politica rilasciando dichiarazioni che mettono in risalto il disprezzo verso quanti non la pensano come loro su temi di cui pensano di avere l’esclusiva secondo un mandato divino mai dimostrato e che, comunque, hanno sempre disatteso nel corso della loro storia.
Subito dopo la conferenza stampa, mons. Fisichella si compiace col premier: “Il governo ha fatto un gesto di grande coraggio, che sarà apprezzato dalla grande maggioranza di tutti i cittadini”. Si può notare che parla come un politico, ha solo sostituito popolo con cittadini ma…imparerà. Non si fa attendere la dichiarazione critica verso il Napolitano del card. Martino che, dimentica che sta parlando di un capo di Stato cui deve rispetto assoluto: “Sono costernato che in tutte queste diatribe politiche si ammazzi una persona e sono profondamente deluso (dalla decisione del presidente di non firmare il decreto)”.
La Chiesa ha mobilitato davanti alla clinica schiere di fanatici con striscioni e ceri accesi che invocavano a voce alta Dio perché Eluana viva. Uno spettacolo deprimente che ci trasporta lontano nel tempo, anche di là dal fatidico anno zero. Mi chiedo perché non chiedano il miracolo della resurrezione, otterrebbero la certezza dell’esistenza di Dio e che nella sua immensa bontà ha ascoltato la preghiera del suo popolo. Forse il miracolo non sarà fatto perché poi se ne chiederebbero altri, magari la fine della guerra in Palestina, la salvezza di tanti bambini, proprio per la sacralità della vita, che giornalmente muoiono di fame o di malattia, Ma questa è un’altra storia…specie se cade di sabato, giornata di riposo.
In questa vicenda il premier, dicono, ha accettato il diktat khomeinista della chiesa di Ratzinger.
Io penso che il premier e la Chiesa, entrambi in difficoltà, si siano sostenuti reciprocamente, ognuno pensando di usare l’altro.
È indubbio che siamo in emergenza democratica e morale e quando le massime istituzioni entrano in crisi e pretendono di rimanere a galla comprimendo le libertà individuali e entrando con violenza nelle coscienze dei cittadini, allora è il medioevo.
Chiudo con due riferimenti storici illuminanti e ognuno faccia la sua riflessione.
Enrico di Borbone, ugonotto, per poter salire al trono di Francia, era il 1593, si convertì al cattolicesimo. All’uopo, gli si attribuisce la famosa frase: “Parigi val bene una messa”.
Il cardinale Carlo Maria Martini, parlando del caso Welby, affermò che nel decidere se un intervento medico è da interrompere “non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete, anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite, di valutare se le cure che gli vengono proposte, in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamente proporzionate”.

06 febbraio 2009

SCHIAFFO A NAPOLITANO

Il presidente Napolitano si sveglia, ma il governo e il suo capo non ci fanno caso. Nonostante la lettera inviata dal Quirinale, non una semplice esternazione verbale, contro ogni forma di rispetto istituzionale e personale, l’uomo della Provvidenza, ora lo possiamo ben dire, incoraggiato e confortato dai suoi discepoli, ha fatto approvare un decreto che ferma la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale fin quando il Parlamento non provvederà ad approvare una legge sul testamento biologico che, naturalmente, affosserà le sentenze emesse e mortificherà violentemente il dramma di Eluana.
Una decisione grave che farà precipitare la Nazione nel caos istituzionale, in quanto ha di fatto aperto un grave disputa tra la Presidenza della Repubblica e la presidenza del Consiglio con la benedizione del Vaticano che esulta perché “ci hanno ascoltato”, in quanto “Eluana è viva, ha il diritto di vivere, e la comunità politica deve sostenere la sua vita con i mezzi che ci sono (Mons Sgreccia)”. Ecco l’imprimatur divino. Non c’è bisogno dell’”alzati e cammina” perché “Eluana è viva”, anche se i genitori in 17 anni non se ne sono accorti. E la divinità, nella sua imperscrutabilità, manda la Provvidenza servendosi del braccio secolare, per mostrare tutto il suo amore per la vita, non importa se in molte parti del pianeta la guerra, le malattie e la fame causano centinaia di migliaia di morti.
Berlusconi, non soddisfatto della prodezza, invia un chiaro messaggio verbale a Napolitano, indecente perché irrispettoso della persona e del ruolo che svolge, e vergognoso perché ricattatorio e minaccioso.
“Se il presidente della Repubblica non firmasse il decreto, dichiara, noi inviteremmo immediatamente il Parlamento a riunirsi ad horas ed approvare in pochissimo tempo , due o tre giorni, una legge che anticipasse quella legge che è già nell’iter legislativo, e cioè quella che contiene questa norma”.
Per dare maggior consistenza al provvedimento, l’unto chiama in causa Onida, il presidente emerito della Corte Costituzionale che si affretta a dichiarare che “…disconosco nella maniera più assoluta qualunque mia partecipazione alla stesura del testo di un decreto legge che non ritengo nemmeno di commentare”.
Caro presidente Napolitano poteva svegliarsi prima sia sul lodo Alfano sia sulle decisioni del CSM di cui è presidente perché, e mi meraviglio di Lei che stimo molto, il lupo perde il pelo ma non il vizio. Il premier è capace di tutto, come questo decreto dimostra. Spaccare l’Italia è una sua prerogativa, non c’e mediazione in lui ma solo contrapposizione, mai parole di pace ma sempre pronto alla polemica.
Il fuoco è acceso, mi auguro che si troverà il modo di spegnerlo. Fino a questo momento, non si vede come ma le vie del Signore sono infinite e in terra tutto è caduco, anche l’albero più robusto può essere abbattuto dal vento.
Mi auguro che il parlamento abbia un momento di orgoglio (non si sa mai) è si ribelli e smetta di procedere verso il baratro.

IL SILENZIO E' D'ORO

Pubblico l’editoriale di Ezio Mauro perché mi sembra il più esaustivo per comprendere una questione ormai divenuta sintomatica del decadimento morale in cui versano le due istituzioni più importanti che condizionano la vita pubblica italiana, la politica e la religiosa.
La prima disposta a tutto, anche a rimuovere le regole costituzionali per non dispiacere alla seconda e quest’ultima a entrare a piedi uniti nella vita dei cittadini, pretendendo di decidere del profondo mistero della vita e della morte (Cristo “ha scelto” in nome del Padre di morire sulla croce, ma poteva salvare l’umanità manifestando in altro modo, senza violenza, il suo amore per essa…ma sono altre considerazioni.), invadendo il campo della politica e del singolo cittadino che ha il diritto di scelta ultima, in quanto la sofferenza, come la felicità, è intima e individuale.
Entrambe le istituzioni, la politica e la morale (sic!) hanno un’unica strada da percorrere, lo dicevo nel post di ieri: un silenzio umile e rispettoso dell’altrui dignità e sofferenza.


L'EDITORIALE - La strada più semplice per l'esecutivo
è la più vile: quella dei provvedimenti amministrativi
La politica
gregaria
di EZIO MAURO

Fermiamoci un momento a ragionare, se possibile, sull'azione del governo nei confronti di Eluana Englaro. La ragazza è dentro una stanza a cui guarda tutta l'Italia, con i dubbi profondi e la trepidazione che questa tragedia provoca in ogni persona non accecata dall'ideologia, e con lei c'è il padre che non chiede affatto silenzio, ma anzi sollecita una discussione pubblica, accompagnata dal rispetto per quella particolare vicissitudine: come quando in ospedale si tira una tenda intorno alle ultime ore di un malato morente. In quella stanza, dopo rifiuti e ricatti, Beppino Englaro chiede allo Stato di poter porre fine ad un'esistenza vegetativa, dopo che per 17 anni si è registrata una situazione irreversibile. Lo fa in nome di una convinzione di sua figlia, di una sentenza della Corte d'Appello di Milano e della Cassazione, e soprattutto lo fa in nome dell'amore e del dolore che lui più di ogni altro prova per Eluana.

Fuori, passando definitivamente dalla testimonianza dei valori cristiani alla militanza, la Chiesa muove fedeli e obiettori, proteste contro l'"omicidio" e l'"assassinio", invocazioni ad Eluana perché si "risvegli", come se questa non fosse purtroppo una superstizione, e come se la scienza che dice il contrario fosse falsa, anzi complice, dunque colpevole.

Questo governo pagano, figlio di una cultura che ha paganizzato l'Italia, è diviso dalla religione dei sondaggi (i quali danno ragione alla scelta del padre di Eluana che vuole infine liberare il corpo di sua figlia da questo simulacro di vita) e il richiamo della Chiesa, che con quel corpo totemico vuole ribadire non solo i suoi valori eterni, ma anche il suo controllo della vita e della morte.

La strada più semplice per l'esecutivo è la più vile, quella dei provvedimenti amministrativi, cioè di un diktat camuffato. Si minacciano ispezioni alla clinica, si chiedono informazioni ufficiali, si cavilla sulla convenzione tra la Regione e la casa di cura, immiserendo la grandezza della tragedia, che impone a tutti il dovere di essere chiamata col suo nome, e di essere affrontata con la responsabilità conseguente, nel discorso pubblico dove la famiglia Englaro l'ha voluta portare: probabilmente per rendere quella morte non inutile agli altri, meno priva di significato.

Quando la pressione aumenta, nella sera di mercoledì, il governo pensa ad un decreto. Uno strumento legislativo di assoluta necessità ed urgenza, che in questo caso sarebbero determinate da un caso specifico, da una singola persona. E soprattutto, contro una sentenza della magistratura passata in giudicato. Tutto ciò si verificherebbe per la prima volta nella storia della Repubblica, con un'anomalia che configurerebbe una vera e propria rottura dell'ordinamento costituzionale. Vediamo perché.

La sentenza della Cassazione non impone la fine della vita di Eluana Englaro: stabilisce che si può procedere con "l'interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale realizzato mediante alimentazione di sondino nasogastrico". Questo atto di interruzione chiesto da un padre-tutore per una figlia in stato vegetativo permanente dal 1992, per la giustizia italiana non rappresenta dunque un omicidio ma l'esecuzione di un diritto previsto dall'articolo 32 della Costituzione, il diritto a rifiutare le cure.

Con questa pronuncia, la Cassazione afferma con chiarezza che l'alimentazione forzata artificiale è un "trattamento sanitario", secondo la formula della Costituzione: mentre il decreto in un unico articolo che il governo ha pensato di varare nega proprio questo principio, e dunque non consente di seguire l'articolo 32, vincolando quindi il malato a quell'alimentazione artificiale per sempre. Per aggirare la Costituzione, si cambia il nome e la natura ad un trattamento praticato nelle cliniche e negli ospedali, lo si riporta dentro l'ambito del cosiddetto "diritto naturale", fuori dalla tutela dei diritti costituzionali.

Ma in questo modo, attraverso il decreto, saremmo davanti ad un aperto conflitto tra due opposte pronunce non solo sulla medesima materia, ma sullo stesso caso: una sentenza della magistratura e un provvedimento d'urgenza del governo con vigore immediato di legge. Solo che nel nostro ordinamento il legislatore può cambiare il diritto finché una sentenza non diventa irrevocabile, cioè non più impugnabile, vale a dire passata in giudicato. Non siamo dunque soltanto davanti ad un conflitto: ma al problema dell'ultima parola in democrazia, al principio dell'intangibilità del giudicato, alla regola stessa della separazione dei poteri. Senza quel principio e questa regola, una qualunque maggioranza parlamentare a cui non piace una sentenza "definitiva" la travolge con una nuova legge, modificando il giudicato, intervenendo come supremo grado di giudizio, improprio, dopo la Cassazione.

Naturalmente il Parlamento è sovrano nel potere di legiferare su qualsiasi materia, cambiando qualsiasi legge, qualunque sia stato il giudizio in merito della magistratura. Ma questo vale per il futuro, non per i casi in corso, anzi per un singolo caso, per un solo cittadino, e proprio per vanificare una sentenza. Si tratterebbe di un decreto contro una sentenza, definitiva: e mentre la si attua. Nemmeno nell'era di Berlusconi, dove si è cambiato nome ai reati, e si è creata un'immunità speciale del Premier, si era giunti fino a questo punto, che rende il legislatore giudice di ultima istanza - quando lo ritiene - e viola l'autonomia della funzione giudiziaria.

Per queste ragioni di patente incostituzionalità è molto probabile che il capo dello Stato abbia frenato ieri sia la necessità che l'urgenza del governo, invitandolo a riflettere. La falsa rappresentazione che vuole la destra capace di parlare della vita e della morte, e gli altri, i laici, prigionieri dei diritti e del diritto, si rovescia in questo cavillare anticostituzionale del berlusconismo gregario, che riprenderà da oggi la strada della viltà amministrativa, usando qualsiasi invenzione strumentale per bloccare la volontà del padre-tutore di Eluana.

Se il decreto salta, si salva il principio dell'autonomia tra i poteri dello Stato. Resta da chiarire, purtroppo, la capacità di autonomia della politica italiana, del suo governo, del Parlamento e di questa destra davanti alle pretese della Chiesa. Che ha tutto il diritto di dispiegare la sua predicazione e di affermare i suoi valori, ma non di affermare una sorta di idea politica della religione cristiana, trasformando il cattolicesimo italiano da religione delle persone a religione civile, con forza di legge.
(6 febbraio 2009)

LA NUOVA FRONTIERA DELLA CIVILTA’

Italia, 5 febbraio 2009, il senato approva con 154 si e 135 no il disegno di legge sulla sicurezza pubblica. Tra qualche giorno potrebbe diventare legge dello Stato, se la Camera l’approverà così com’è stata congedata dal Senato. In caso contrario ritornerà entro pochi giorni al Senato per l’approvazione definitiva.
Solo pochi giorni e finalmente avremo una legge moderna, degna, nonostante la Lega, di un Paese civile e religioso, i cui politici per legiferare al meglio uniscono la loro etica intransigente alla morale cattolica: una simbiosi che darà vita a un nuovo rinascimento, messianico ed egualitario, dove gli ultimi saranno i compagni dei potenti.
Il nuovo parlamento clerical-populista, guidato da un politico cattolico e da un cardinale indirizzati dalla divina sapienza, si riunirà una volta al mese in video conferenza per prendere atto all’unanimità di quanto deliberato nella camera caritatis illuminata dallo spirito (vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare). I cittadini tre volte al giorno saranno distratti dalle loro attività e al suono di angeliche trombe si avvieranno ai sacrati di competenza, dove riceveranno la giusta e caritatevole mercede e, dopo aver ringraziato l’Altissimo, ritorneranno piamente e celermente alle abitudini del quotidiano. La sera, la tivù e le radio si accenderanno automaticamente e il canale unico nazionale, dopo l’abituale benedizione serale, urbi et urbi, trasmetterà programmi di svago e di cultura incentrati su quiz e talk show di condanna di quella società precedente che il relativismo e il pluralismo stava distruggendo…meno male che Silvio c’è e Ratzinger...pure.
È un incubo, ma io ho paura di questo governo e di questo premier, ho paura di questa maggioranza e di questa opposizione emarginata e ininfluente.
Molti commentatori attribuiranno la colpa della deriva verso la quale precipitiamo alla Lega, ma lor signori dimenticano che i 154 si comprendono i voti di Forza Italia, di Alleanza Nazionale e di qualche altro partitino. Anche loro sono compartecipi e responsabili come e quanto la Lega. Anzi lo sono di più perché se volessero, potrebbero opporsi e riportare il Paese nell’alveo della Costituzione.
L’emendamento più vergognoso e irrazionale votato riguarda la denuncia dei medici degli irregolari che si rivolgono a loro per essere curati. I clandestini per paura di essere denunciati non si rivolgeranno all’istituzione sanitaria o si rivolgeranno a una struttura “clandestina” sicuramente non abilitata o rischieranno la vita. Senza dimenticare il rischio di epidemie per malattie di cui i clandestini sono possibili portatori e che da noi ormai sono debellate.
Un’altra perla riguarda le ronde padane istituzionalizzate dall’articolo 47. Con quest’articolo gli enti locali potranno avvalersi della collaborazione si associazioni tra cittadini per la sicurezza del loro territorio. Non potranno girare armate né svolgere attività di presidio…meno male che l’opposizione c’è.
Tra qualche mese, quindi, potremo vedere, per la sicurezza dei cittadini, ronde di…tutti i colori che, incrociandosi nelle vie cittadine, fraternizzeranno al grido di viva l’Italia.
Finalmente non vedremo più violenza o prostituzione, le nostre strade diventeranno sicurissime e gli stupri saranno un ricordo lontano. Grazie alla simbiosi combinata di forze locali, polizia di stato, carabinieri e ronde, potremo dormire con le porte aperte, come all’epoca della buon’anima.
Avremo anche il registro dei clochard, cioè la schedatura dei “barboni”, di quella povera gente che dorme nelle stazioni avvolta nel cartone. Meglio essere previdenti! Chissà quanti terroristi, rapinatori e stupratori si nascondono tra di loro!
Si passerà poi a schedare gli omosessuali, i divorziati, i sindacalisti non allineati, gli intellettuali impertinenti, i dimostranti o gli operai che reclamano sicurezza sul posto di lavoro.
La barbarie al governo! Benedetta barbarie al governo!
E tutti stanno zitti, intellettuali e giornalisti, politologi di fama e conduttori di talk show rinomati, religiosi e pie donne, cattolici e atei devoti, complici di un degrado culturale e morale mai visto, ma pronti a fare fronte comune in vicende dove il buon senso e la carità cristiana imporrebbero un rispettoso silenzio.
La rovina colpirà pure voi, ma quando vi sveglierete sarà troppo tardi, l’Italia, quella che lavorava e produceva, non ci sarà più, non tanto per vostra disgrazia, quanto per nostra disgrazia!

05 febbraio 2009

IL DONO DEL SILENZIO

Quanto rumore, quanta ipocrisia e quanta strumentalizzazione specie a proposito della sacralità della vita, quando la vita viene offesa giorno dopo giorno con morti violente, in guerre senza senso e in situazioni di povertà che l’Occidente ricco e religioso procura. Per non parlare della morte dovuta all’indifferenza e alle umiliazioni, morte procurata da decisioni dogmatiche, velate dall’amore ma che spesso è puro esercizio di potere del più forte sull’indifeso.
Grida assordanti si levano dalle istituzioni religiose e governative, pronte a decretare provvedimenti d’urgenza che ancor di più andrebbero a martoriare una donna che da diciassette anni in uno stato vegetativo senza ritorno.
Il silenzio, l’umile silenzio dell’amore e del rispetto della dignità di chi soffre per un affetto che se ne va!
Né i vescovi e i cardinali e tutti i loro degni orchestrali né i politici e i loro compari sono in grado di capirne il senso, sopraffatti dal rumore dell’apparire e dal possesso di una presunta verità che di fronte al persistere di simile situazione mostra tutta la sua impotenza e inattualità.
Preghino i religiosi, come hanno detto più volte, senza minacce perché Eluana si allontani da questo mondo con dignità e secondo il suo volere, preghino per una famiglia umiliata prima dalla disgrazia e poi dall’umana presunzione, spesso molto prossima al divino.
Si dedichino i politici a risolvere i problemi della quotidianità che assillano i cittadini italiani, tutti, soprattutto quelli che vivono ai margini della società, gli esclusi, senza dimenticare le numerose vittime del lavoro; decretino per risolvere le disuguaglianze e creare una società solidale e giusta.
Anch’io da questo momento farò silenzio, unendomi al silenzio di dolore e di speranza della famiglia Englaro.

04 febbraio 2009

INDAGATO IL MINISTRO FITTO

Il ministro Fitto è stato rinviato a giudizio. Il 12 maggio inizierà il processo che lo vede imputato in turbativa d’asta e interesse privato.
Il ministro sostiene di essere innocente e, pur dichiarando di essere “felice” della data certa dell’inizio del processo, annuncia “una opportuna iniziativa giudiziaria” poiché reputa di trovarsi “dinanzi al paradosso” di una vicenda costruita “su una presunta parentela …la cui inesistenza è stata verificata e ammessa in sede di udienza preliminare dallo stesso pm Nitti”.
Non spetta a me sostituirmi al pm o emettere una sentenza, come non lo può fare lo tesso “presunto” imputato perché…di parte.
Non conosco la vicenda. So soltanto che la vicenda che registra il presunto coinvolgimento del ministro, allora presidente della Regione Puglia, si riferisce alla vendita per 7 milioni di euro dei supermercati Cedis, a fronte di un valore stimato di 15,5 milioni.
Si tratta, stando alla difesa, di un “rinvio del proscioglimento.
Come al solito l’avvocato difensore, nel caso dei politici, diventa giudice.
Se il pm ha ritenuto necessario il rinvio a giudizio vuol dire che dagli interrogatori degli altri imputati è emerso qualche dubbio sui comportamenti del ministro…oppure no.
Siccome il nostro sistema giudiziario prevede la colpevolezza alla fine di tutti i gradi di giudizio e tutti sono innocenti o presunti colpevoli fino ad allora, comprendendo la premura del ministro nel vedere risolto velocemente il problema, lo stesso dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di lasciare l’incarico istituzionale che ricopre per meglio potersi difendere.
Ad ognuno il suo mestiere.

03 febbraio 2009

IL VATICANO LANCIA FRECCE

Pensavo che il Vaticano cogliesse l’occasione per stare zitto e lasciasse in pace Eluana e la famiglia che ha solo bisogno di solidarietà e di rispetto per un dolore immenso che solo può comprendere chi è padre e chi è madre. La gerarchia vaticana, capitanata da Ratzinger, chiusa nei suoi ricchi palazzi e lontana dalla quotidianità e dai problemi ad essa legati, ad un certo punto, dopo aver tanto imperversato sul dramma della famiglia Englaro, dovrebbe avere il pudore e l’umiltà del silenzio.
Come si può dare dell’assassino a un padre che è stato vicino alla figlia per 17 anni? Con quale diritto e quale carisma?
Le parole a volte sono pietre, diventano macigni quando a scagliarle è un’istituzione che nel corso dei secoli si è macchiata di delitti efferati che hanno coinvolto milioni di persone innocenti e che ha stravolto il vero insegnamento del Gesù, attraverso la mistificazione delle sue stesse parole. La stessa Chiesa che nel suo catechismo ammette ancora la pena di morte, che, circondata da un lusso sfrenato, amministra un patrimonio immenso mentre milioni di bambini di fame!
“Un momento triste per coloro che hanno a cuore la tutela della persona”, sostiene un comunicato della Sir. Quale tutela della vita, se da 17 anni Eluana vegeta grazie a strumenti tecnici. Questo stato è accanimento terapeutico oltremodo lesivo della dignità della persona, specie se nessuno ha compiuto il miracolo di farle superare almeno lo stato vegetativo. Com’è un atto imperdonabile l’accanimento con cui la Chiesa si rivolge alla famiglia e a quanti si stanno prodigando per realizzare le ultime volontà della donna. Una chiesa ormai secolarizzata, più adusa all’esercizio del potere che alla salvezza delle anime, osa dichiarare, per bocca del cardinal Barragan, che “è inconcepibile uccidere una persona in questo modo”, considerando assassini i familiari di ElUana e i medici che l’assisteranno con grande sofferenza in questi ultimi giorni.

IL RIPOSO DI ELUANA

AQuando una persona ci lascia, proviamo dolore e non compiacimento. A nessuno è permesso gioire in casi come quello di Eluana, ammantato di dolore e d’ipocrisia istituzionale, la peggiore.
La Chiesa, le Associazioni a essa legate, la politica, qualche ateo-devoto in cerca di pubblicità, opinionisti della carta e della TV spazzatura, tutti diranno quella che a noi sembra essere la loro opinione. Ma questi sepolcri imbiancati non hanno opinioni, si muovono tra l’ipocrisia e l’arroganza, pontificando quando dovrebbero stare zitti e scomparendo dal pubblico quando, per il loro ruolo, dovrebbero risolvere i problemi per cui occupano posti di responsabilità, spesso nominati invece che eletti. È il caso del ministro Sacconi con le sue improprie circolari dense di minacce che intervengono su quanto, in uno stato di diritto e in mancanza di un’apposita legge, spetta a un ordine diverso dal suo che, se non lo sapesse è solo esecutivo in quanto ministro o legislativo in quanto parlamentare nominato, sicuramente non giudiziario.
Il signor Gulisano, presidente del CAV di Lecco, manifestanti, sicuramente in buona fede, e politici locali hanno cercato di fermare l’ambulanza. “Un’iniziativa assolutamente spontanea”, tanto spontanea che sono stati esposti degli striscioni contro un diritto espresso dalla stessa Eluana che chiamano eutanasia, e “per dare una testimonianza di solidarietà” (se così fosse lascerebbero in pace Eluana e la famiglia, provvisti di quella carità cristiana che manca all’arcivescovo di Udine che continua a definire eutanasia un’espressione di volontà, com’è tata ampiamente dimostrato dalla lunga vicenda processuale).
Se il CAV e il monsignore indirizzassero i loro sforzi a lenire la sofferenza come l’insegnamento cristiano comanda, avrebbero più meriti nei confronti dell’Altissimo!
Anche l’OmceoMi (Ordine dei medici chirurgi e odontoiatri di Milano) prende posizione dichiarando, a proposito della sentenza del Tar di Milano, che la via giudiziaria rappresenta “una via sbagliata per risolvere un caso che attiene al sentire più profondo dell’animo umano”.
Se la via giudiziaria non è quella giusta, sarebbe opportuno e lodevole suggerire un’altra via più consona, come sarebbe sapere a quale animo umano si riferisce la “nota”. Se a quello di Eluana, a quello dei familiari, a quello dei politici, a quello della Chiesa a…potremmo ancora continuare. Quando si esprimono posizioni contro, occorre motivarle e indicare le proprie.
L’OmceoMi ha paura che nasca un “medico per sentenza: l’acritico esecutore di volontà sanitarie altrui”. Siamo al relativismo, lo stesso, ribaltando i riferimenti, di Benedetto XVI.
Chi detiene, in uno stato democratico e laico, fondato sulla costituzione, il diritto di decidere ciò che è giusto e ciò che giusto non è? Non certamente la coscienza individuale se tutti noi, cittadini italiani, accettiamo la Costituzione come la legge fondamentale dello Stato che è anche Stato etico.
I medici ospedalieri, dipendenti dello Stato, da cui percepiscono uno stipendio, possono nel loro intimo dichiararsi obiettori di coscienza, ma nella realtà di ogni giorno non possono essere guidati dal loro credo religioso. Devono garantire che le leggi dello Stato, anche rivolte a una minoranza di cittadini, siano rese esecutive. Paradossalmente, il diritto di obiezione, un compromesso tutto italiano, potrebbe fermare tanti interventi ospedalieri, in quanto nessuno di essi è privo di rischi.
Ma questo è un altro discorso che andrebbe affrontato con serietà, tanta umiltà e rispetto per chi soffre.