20 gennaio 2010

Schifaxi

di Marco Travaglio
Ieri abbiamo provato un sincero moto di
solidarietà per Cesare Previti e per la buonanima
di Bottino Craxi. Del primo, che tanto ha fatto per
la causa berlusconiana comprando giudici,
affrontando processi, subendo condanne, subendo
l’onta del carcere e dei domiciliari senza neppure
fuggire all’estero come i veri statisti, nessuno si ricorda
più. Nemmeno una fugace riabilitazione, un vicoletto
alla Magliana, un messaggino del capo dello Stato. Anzi,
una mazzata della Corte europea che ha giudicato
“eque” le sue condanne, inflitte dallo stesso Tribunale
di Milano che, secondo il capo dello Stato, riservò a
Craxi un processo iniquo. Quanto a Bottino, si può anzi
si deve pensarne tutto il male possibile. Ma non che
meriti di esser commemorato da Schifani: questo no,
questo è troppo anche per lui. Farlo ricordare da un ex
autista, già principe del foro del recupero crediti, per
giunta alla presenza di Del Turco e Sgarbi, denota un
accanimento inaccettabile, anzi – come direbbe
qualcuno – “una durezza senza eguali”. Un estremo
oltraggio che non auguriamo nemmeno al nostro
peggior nemico. Del resto di estremi oltraggi il povero
Bottino ne sta subendo parecchi: se l’altro giorno
avesse potuto balzare fuori dalla tomba di Hammamet,
non osiamo immaginare che ne sarebbe stato di
Fabrizio Cicchitto, proteso verso il tumulo a
pontificare nella certezza che l’illustre inquilino non
potesse più parlare. L’incappucciato piduista,
ultimamente in borghese, ha poi traslocato dal
cimitero tunisino a quello di Vespa. E lì s’è ritrovato di
fronte, sia pure in un’intervista registrata 14 anni fa con
Vespa, il Craxi autentico, che parlava con la massima
naturalezza dei conti esteri del Psi e non solo. Era un
Vespa inedito, quello modello 1996: un insetto
superaccessoriato, con molti più nei e molte più
domande di oggi. Pareva quasi un giornalista. Mostrava
financo di conoscere qualche fatto. E chiedeva conto
dei conti, dei prestanomi personali Tradati e Raggio del
tutto estranei al partito, delle ruberie, degli
arricchimenti. Parlava di Tangentopoli citando le
tangenti: roba da matti, oggi infatti ha smesso. Craxi
provava a giustificarsi con la scusa dei “costi esorbitanti
dei partiti” e della “legge ipocrita sul finanziamento
p u bbl i c o ” e l’insetto l’incalzava: “Perché non l’ave t e
cambiata? Che dovevano fare i giudici, visto che
violavate le vostre leggi? Possibile che decine di giudici
si siano messi d’accordo per perseguitarla”. In studio,
sconvolto, Cicchitto rinunciava alla litania sulla
persecuzione dell’innocente, visto che l’innocente
aveva appena confessato tutto. E, uscito fuori copione,
delirava: “Perché Craxi è stato condannato e Occhetto
e Scalfaro no?”. L’idea che Occhetto e Scalfaro non
rubassero, non si facessero portare le mazzette sul
letto, non avessero conti personali in Svizzera per
comprarsi case e aerei privati o regalare ville e alberghi
al fratello e all’amante, non lo sfiora. Per lui, vero
garantista, la giustizia giusta deve condannare tutti i
politici a prescindere dai reati e dalle prove, oppure
assolverli tutti. C’era anche il piccolo Bobo, ma quando
il dipietrista Donadi gli ha ricordato i versamenti che
papà faceva per lui dai conti delle tangenti (80 milioni
per affittargli un villino a Saint Tropez) è letteralmente
evaporato. E c’era pure Nick Latorre che, nonostante la
faccia e le intercettazioni Unipol, i vertici del Pd
continuano a mandare in tv per perdere qualche altro
voto. Pure lui, come tutti i politici della casta che
partecipano alla beatificazione di San Bottino,
lacrimava sincera sofferenza per la grave ingiustizia
subìta da Craxi visto che rubavano tutti. Questa gente
non si rende nemmeno conto del danno che fa
innanzitutto a se stessa. Vedendo un politico che
piange per le condanne di un ladro reo confesso e dice
che erano tutti come lui, qualcuno potrebbe porsi una
domanda semplice semplice: scusa, tesoro, ma hai
rubato anche tu?

tratto da Il fatto del 20/01/2010

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