20 gennaio 2010

L'ombra dell'incostituzionalità sull'euforia del Pdl

Berlusconi vuole la legge sul processo breve a febbraio
"Napolitano me la firmerà di certo". Ma i finiani frenano

di LIANA MILELLA

Gasati. Convinti di farcela. Incuranti delle avvisaglie e degli ostacoli. Sicuri di loro stessi. Dal grande capo, ai luogotenenti. Berlusconi si vanta: "Napolitano? Tranquilli. So per certo che il processo breve me lo firma". Ma dai finiani e dal Quirinale spira già il forte vento dell'incostituzionalità. Volutamente inascoltato nel giorno del successo al Senato, messo accuratamente da parte. Per 48 ore meglio illudersi che tutto filerà liscio. Ecco che Giacomo Caliendo, l'ex toga di Unicost passata con il Cavaliere e sottosegretario super attivo alla Giustizia, alle due esce dall'aula di palazzo Madama e sornione prevede: "'Sto processo breve, a metà febbraio, possiamo averlo approvato alla Camera". Esattamente la stessa affermazione fatta dal capo del governo con i suoi collaboratori coi quali s'è detto convinto che il processo breve può essere legge per la metà del prossimo mese. Due stanze più in là il vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello dice soddisfatto: "Tutto ci favorisce: Napolitano su Craxi, il Pd che vira sull'immunità ed era favorevole pure al decreto-Consulta, i voti segreti in aula convergenti con noi, siamo sulla strada giusta".

Alla Camera i berluscones già si apprestano a gestire, fatto mai visto, ben due leggi ad personam contemporaneamente, il legittimo impedimento e il processo breve, con l'intento di "regalare" al premier la sorpresa della corsa tranquilla verso le regionali.
Ma la brutta sorpresa è già dietro l'angolo. Ben materializzata. E potente nei suoi effetti. Il processo breve, nella nuova versione tutta decisa ad Arcore, non piace per niente ai finiani. E così com'è stato votato ieri al Senato, quel disegno di legge è indigesto anche per il Quirinale. Ufficialmente, non trapela un fiato. L'unica ammissione è questa: "Come sempre, i tecnici stanno studiando". Ma i dubbi degli esperti giuridici del Colle e quelli dei finiani ancora una volta, com'è avvenuto per le intercettazioni e per la norma blocca processi, convergono. Tre capitoli da declinare: le disposizioni transitorie che salvano Berlusconi da Mills e Mediaset, ma affondano altre migliaia di dibattimenti, il processo corto per la Corte dei conti e per le persone giuridiche.

I finiani ne fanno questione sia politica sia tecnica. Loro avevano esaminato un ddl differente, su cui già avevano espresso dei dubbi. Poi tutto è cambiato. E Fini non è stato avvisato per tempo. A casa del premier ne hanno discusso Niccolò Ghedini, Angelino Alfano, il relatore Giuseppe Valentino, il leghista Roberto Castelli. Pronti a dire che Valentino è uomo di Fini. Ma se così era in passato, oggi non è più. Tant'è che il presidente della Camera si è lamentato perfino con lo stesso Berlusconi nell'ultimo incontro. "Silvio, quel testo è incostituzionale" gli ha detto. Ma lui non gli ha dato peso.

Il premier ha volutamente ignorato l'avvertimento di Fini e i boatos che nel frattempo gli sono giunti dal Colle. Al punto che ancora ieri, a chi gli metteva sotto gli occhi il rischio di una bocciatura dall'alto, lui rispondeva con noncuranza con quel "state tranquilli". E invece tutto lascia intendere che il cammino futuro del processo breve è irto di trappole. Se ai finiani non piace affatto un rito corto allargato anche ai reati erariali, in quanto non se ne vede affatto il bisogno e c'è il rischio che lo Stato arrechi un danno a se stesso, e il risvolto penale sulle persone giuridiche, il Colle si concentra soprattutto sulle conseguenze della norma transitoria. La contraddizione che sconfina nell'incostituzionalità è evidente: fulminare i processi per reati commessi prima del maggio 2006, già coperti dall'indulto, equivale di fatto a un'amnistia, che però non sarà votata in Parlamento con i due terzi.

Ma il Cavaliere pensa ad altro. Con Ghedini e Alfano lavora per incassare subito il legittimo impedimento e costruire al più presto, per questa legge ponte, il necessario approdo costituzionale. Qui entra in scena il Pd e il tam tam dell'immunità. Spiegano gli uomini del premier: "Stiamo aprendo dei varchi al loro interno. Sono divisi, molti sono favorevoli allo scudo per tutti. Alla fine però, proprio per non spaccarsi, per uscirne uniti, ripiegheranno su un nuovo lodo costituzionale per le alte cariche. E noi, in un anno, avremo definitivamente risolto il problema non solo per gli attuali, ma anche per gli eventuali processi a venire".

da Repubblica.it del 20/01/2010

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