05 gennaio 2007

QUALE “PRIMATO DELLA POLITICA”?

Il discorso di fine anno del Presidente Napolitano contiene due esortazioni, la prima rivolta ai due schieramenti politici, “dialogate”, la seconda ai cittadini, “non allontanatevi dalla politica”.
Entrambe attualizzate mai attuate. Le forze politiche, aiutate dai media e dai tanti talk show, ipocritamente, ne parlano, ne scrivono, ne discernono ma poi si accusano a vicenda per il mancato dialogo. Perché, allora, consumare energie? Non sarebbe meglio lasciar perdere e parlare d’altro?
E se il tradizionale e retorico messaggio presidenziale, preso a strumento dello scontro politico, fosse sostituito dalla lettura dei principali articoli della Costituzione?
Tornando alla prima esortazione, penso che in politica il confronto è importante e necessario ma non sufficiente, perché manca la legittimazione, senza la quale non può esserci dialogo alcuno.
Legittimazione significa rispetto dell’avversario e delle sue idee. Ma oggi è più semplice la loro demonizzazione, ricorrendo a figure retoriche forti e spesso lesive non solo della dignità dei destinatari ma anche e di più di chi le pronuncia.
I politici nostrani, sicuramente non mancano le eccezioni, hanno determinato con piena convinzione, questa che, insensatamente, chiamano strategia. Screditare gli avversari politici è ormai lo sport preferito dai politici. E’ come giocare alla playstation. Ma è solo un gioco al massacro dove a perdere è solo “la vita democratica”.
Tornare nei binari della correttezza democratica non è facile e con una simil classe politica è quasi impossibile in quanto l’interesse collettivo è subordinato a quello personale e più estesamente a quello di partito, considerato strumento di potere e di prevaricazione, rampa di lancio.
Diventa, quindi, sempre più difficile parlare di primato della politica, ormai vista dai cittadini come professione molto redditizia, come affare. I politici non più al servizio dei cittadini nel rispetto delle istituzioni ma al servizio di sé stessi con l’uso ad personam delle istituzioni.
“Fare politica”diventa un bisness ed entrare in politica significa risolvere la propria situazione economica.
A questo punto l’esortazione volta ai giovani di partecipare alla politica per rinnovarla e migliorarla diventa puro velleitarismo. E’ un pour parler, per non perdere l’abitudine.
Ma come si fa a dire, e per di più ai giovani, di partecipare alla vita politica quando, e lo sappiuamo tutti, non c’è possibilità di farlo, in quanto la strada è disseminata di ostacoli insormontabili, primo tra tutti l’alto grado gereontologico di tutto l’apparato dirigenziali (all’epoca di Breznev erano gia vecchi)?
Le più alte cariche dello stato sono ricoperte, in ordine d’importanza, da Napolitano, Prodi, Marini, Bertinotti, e molti segretari e presidenti di partito, a parte l’età, hanno sulle spalle più di tre o quattro legislature.
Ci si può iscrivere ad un partito, mostrare di valere e partecipare alla formulazione di progetti politici, ma senza dimenticare che la nomenclatura non accetta “eresie”, cioè contradditori, salvo non diventare un “azionista” di maggioranza (signore delle tessere).
Si può costituire un movimento politico, ma poi ci si accorge che, pur avendo idee condivise, non si hanno i mezzi (strutture, media, denaro) per diffonderli e incidere nelle scelte.
E se anche ciò fosse possibile…la vecchia politica ti stritola con i suoi sperimentati ingranaggi, specialmente se mostri di non accettare i suoi riti e le sue compromissioni.
Tutto ciò in barba alla costituzione e alle regole acclarate della democrazia.
“Homo homini lupus”, scriveva Thomas Hobbes e sembra che da allora niente sia cambiato.
Rimaniamo in attesa di un Rinascimento, se mai ci sarà (quando penso al dopo Berlusconi-Prodi e intravedo i successori, vivo un incubo…)
Dice il mio amico. “Dopo il disastro ci sarà la ricostruzione”.
Ma è proprio giusto aspettare il disastro?

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