13 febbraio 2011

L’ADDIO DI BERLUSCONI

Il “giornale”, quotidiano di famiglia è listato di nero. Il titolo a tutta pagina: “SILVIO ABBANDONA L’ITALIA”; il sottotitolo: “Non lo meritiamo. Dopo Bettino, ora tocca a Silvio. La magistratura e il golpe”.
Nella serata di ieri, recita l’articolo di fondo, nella villa presidenziale di Arcore - nel salone delle feste - si è tenuto un concitato e pietoso consiglio di gestione del Pdl.
I membri – assolutamente in abito blu scuro i maschi, in tailleur celeste le donne – hanno incominciato ad affluire sin dal primo pomeriggio. Nel loro volto traspariva la serietà dei grandi eventi, di quegli eventi che segnano la storia.
Il ministro Bondi fa da apripista. Il viso dolente, guarda con orgoglio il papiro arrotolato che stringe nella mano sinistra, forse un’ode al capo (è stato Ferrara qualche giorno fa a chiamarlo “il capo dell’Italia”) scritta di getto sull’auto di servizio, mentre da Pompei, a sirene spiegate, correva verso Arcore. Il sottosegretario Gianni Letta si è fermato a dormire in villa. Poi arrivano, come una processione, la Santanché – si, proprio la signora dal “medio anchilosato” – che tra le mani ha ancora il cartello mostrato davanti al Palazzo di giustizia di Milano, sul quale si può leggere il motto della casa, “giudici eversivi”. Poi è la volta del ministro La Russa in tuta mimetica ed elmetto portato a mo’ di borsa con la mano sinistra, mentre con la destra porta vicino alla bocca un megafono. “Lasciatemi passare”, urla … ma davanti a sé c’è la scorta del presidente e uno stordito portavoce Capezzone che legge e rilegge il comunicato stampa in attesa che … la stampa si faccia viva. Ferrara, alle prese di un extralarge mutandone a pois e un libro su Kant, dono de Umberto Eco; Cicchitto sembra invecchiato di vent’anni, forse pensa nostalgicamente alla sua esperienza d’iscritto alla Loggia P2; l’avvocato e parlamentare Ghedini – si, il mavalà, mavalà confutativo – che trascina un carrello di fascicoli e di codici, capofila della schiera di avvocati, anch’essi onorevoli, di cui si avvale il presidente; il coordinatore nazionale Verdini, l’ex ministro Scajola, quello cui hanno intestato una casa senza che lui lo sapesse; i ministri Fitto, Romani e Sacconi; il capogruppo Gasparri, sorridente come se stesse rilasciando delle dichiarazioni; ecco, quindi la fila delle ministre, delle sottosegretarie e delle parlamentari europee, laureate e belle, anche l’occhio vuole la sua parte; Fede, l’Emilio, Minetti, l’igienista dentale del presidente, e Mora, l’esperto organizzatore e scopritore di giovani talenti; Minzolin e troupe, in qualità di cronista Rai; infine, trafelate escono da un’auto ACI il ministro Brambrilla e l’europarlamentare Zanicchi, seguiti da Belpietro, Sallustri, Porro e altri che nella calca non siamo riusciti a riconoscere.
“Ci sono tutti”, ha gioiosamente gridato al microfono di Rete Quattro un euforico, passata l’emozione, Capezzone.
La stampa di parte e quella straniera sono state bloccate dal servizio d’ordine azzurro all’ingresso di Arcore per evitare, come ci hanno abituati, provocazioni.
Il parlamentino azzurro si situa disciplinatamente nell’emiciclo costruito per l’occasione, in legno pregiato: è meglio di Montecitorio, mi viene spontaneo pensare.
Il dibattito, preceduto da un commovente intervento dell’onorevole Quagliarello, di svolge correttamente, con toni molto bassi, anche se qualche volta giustamente indignati e provocatori verso chi ingiustamente ha deciso di eliminare per via giudiziaria il più grande statista avuto dall’Italia a partire dalla sua unità, rispettato da tutti i capi di Stato e che gli Italiani rimpiangeranno … ma avranno quello che si meritano …
Lo schieramento dei falchi, capitanato dal duo Ferrara- Santanché, il capo cinto da mutande, penso personali, dai più svariati colori con scritte inneggianti a Silvio, spinge per l’organizzazione in tutte le piazze di tutti i paesi e le città d’Italia – e se servisse anche della Libia o di Santa Lucia - adunate oceaniche per il rispetto del voto degli Italiani perché la Provvidenza arriva una sola volta, mentre il demonio della procura è sempre in agguato.
Letta, che osa dire che il conflitto istituzionale è ormai giunto a un punto oltre il quale c’è l’anarchia, viene rumorosamente fischiato, come poi succede ai moderati presenti.
- È vero, tutti noi, e non solo, dobbiamo la nostra posizione e la nostra notorietà a Silvio, però ciò che abbiamo costruito per le nostre famiglie non possiamo abbandonarlo. Non dobbiamo abbandonare i nostri interessi non torneranno più. Non torneranno più i nostri privilegi e altri si sostituiranno a noi.
A questo intervento, accorato e vero, seguono alcuni istanti di silenzio assoluto, interrotto da un lungo applauso al coro di “Silvio, Silvio”.
E Silvio, un irriconoscibile Silvio, quasi avesse perso la sua verve combattiva, prende la parola:
- Dobbiamo trattare la resa. Non ci rimane altro. Non dobbiamo mettere a rischio i nostri patrimoni … abbiamo famiglia e poi … col nostro patrimonio di voti, la nostra straboccante presenza nell’informazione e la nostra capacità di condizionamento e di attrazione, dopo un breve periodo, trascorso in un limbo dorato, ritorneremo più forti di prima, richiesti a gran voce dal popolo. Il nostro motto sarà “panem et circenses” …
Un’ovazione accompagna Silvio sul trono dorato, dove l’aspetta il fido Bonaiuti, maestro di lealtà e coerenza politica.
- Avete sentito la proposta del nostro amato presidente, grida al microfono il portavoce Bonaiuti. L’assemblea è chiamata a esprimersi, attraverso un applauso.
Nessuno si sottrae all’invito. L’entusiasmo, anche in un momento di cedimento, che si spera momentaneo, è alle stelle. Tutto è salvo! Ritorneremo più forti che prima, più determinati.
Fuori dalla villa tutto è silenzio: né giornalisti né telecamere.
Gli ospiti si fermano per annegare le passate, ormai, preoccupazioni, in una ricca cena offerta dal presidente e allietata dal bravissimo Apicella, perché, come iniziava un’antica trasmissione radiofonica degli anni sessanta, “l’allegria di ogni male è il rimedio universale”.

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