10 luglio 2008

ATTENTI AL GATTO E ALLA VOLPE

Alcuni giorni or sono la neo-presidente della Confindustria Marcegaglia, a conclusione della relazione del Centro Studi confindustriale sulla situazione economica italiana e sulle prospettive di sviluppo, ha rivolto un appello alle forze politiche e alle parti sociali perché privilegino il dialogo perché “la gravità dei nostri problemi ci impone non un clima di contrapposizione e di insulti reciproci, ma di confronto e di dialogo forte, vero, aperto”.
La situazione in cui versa l’economia italiana è grave e con l’inflazione che corre verso il 4%, oggi siamo al 3,6%, le famiglie italiane stanno vivendo il periodo peggiore del nuovo secolo e le industrie con la stagnazione dei consumi ne risentono.
Il problema è grave perché investe la comunità internazionale, ma con un’evidente e sostanziale stonatura: i dati Eurostat ci dicono che nel primo trimestre del 2008 il Pil dell’Italia è cresciuto dello 0,2 contro il 2,1 della zona euro. Ciò significa che in Italia c’è stato qualcosa che non ha funzionato come avrebbe dovuto e che ora con l’”avvento” del deus ex machina” alle finanze tutto ritornerà a posto, purché lo lascino lavorare in serenità senza critiche giornaliere e soprattutto senza premura. Naturalmente è lo stesso invito rivolto dalla Marcegaglia alle forze politiche d’opposizione: non provocate, non scendete in piazza, noi (Confindustria e Deus…) sappiamo quello che dobbiamo fare).
La ricetta del ministro-scrittore, già artefice dell’ultimo miracolo italiano prima dell’attuale crisi petrolifera e contemporaneo del processo intentatoci dall’Europa (per errore, s’intende!), è complicata e di non facile comprensione date le parole “ad alta intensità semantica e politica”.
Quanto ci propone la Confindustria è di parte e rappresenta la solita ricetta del padrone che dice all’operaio di stringere la cinghia e di non parlare d’aumenti salariali per combattere l’inflazione. Sarebbe ancora peggio e poi, secondo i loro studi, dal 1997 al 2007 “il lavoratore italiano medio ha visto accrescere il valore reale della sua busta paga annuale lorda di 1.787 euro. Come dire: i lavoratori hanno avuto fin troppo e noi “non possiamo legare l’aumento dei salari all’inflazione. Questo ci porterebbe alle scale mobili, con tassi d’inflazione fino all’8% che è un dato pazzesco”.
La strada da seguire per la Marcegaglia è, quindi, quella di collegare la crescita retributiva alla produttività a spese dell’occupazione e con un uso spregiudicato della forza lavoro, cioè dell’uomo.
E’ importante rilevare la convergenza tra Confindustria e Tremonti sul tasso d’inflazione programmato (come se la gente può programmare di cosa avrà bisogno tra due anni) all’1,7% che rappresenta l’attuale inflazione depurata del 2% delle variabili estere, quali il prezzo del petrolio.
Se il caro petrolio non determina l’inflazione, cos’è che la determina?
Se alla pompa il costo della benzina aumenta ogni giorno, così come i prodotti derivati, come fa il lavoratore a mantenere lo stesso tenore di vita, perché gli autotrasportatori hanno minacciato lo sciopero e il governo ha stanziato nella manovra finanziaria 116,5 milioni di euro?
C’è in studio una manovra subdola tra la Confindustria e il sindacato: si cerca di stabilire i nuovi indici d’inflazione assumendo come base di definizione quello che viene chiamato “l’indice armonizzato europeo”. I lavoratori italiani per definire l’inflazione reale italiana si avvarranno di un indice che può valere per stati in cui l’inflazione reale è molto bassa se rapportata a quella italiana, ma non per noi, dove ancora oggi l’inflazione reale, quella che si percepisce quando si fa la spesa è più alta di quella del paniere.
Un altro tradimento del sindacato, che ha smarrito il ruolo per cui nacque.
P. S.: il governatore della Banca d’Italia, Draghi all’assemblea dell’ABI ha sostenuto, diversamente dalla Marcegaglia, che gli stipendi sono fermi da 15 anni, mentre il costo del lavoro è aumentato del 30%, individuando in questi due fattori la “stagnazione dell’economia”.

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