11 ottobre 2008

REGOLE ETICHE

In questi ultimi giorni, da quando, cioè, la crisi economica è esplosa con tutta la sua virulenza, tutti i maggiori operatori della politica e dell’economia, parlano di regole e di etica.
Etica nella politica, etica nell’economia, etica negli affari, etica nel lavoro etica nell’informazione. Il tutto condito con regole certe da rispettare.
Il nostro Presidente della Repubblica ha unito le due categorie e ha detto, nel suo discorso per la “Giornata dell’informazione”, che “servono regole etiche nelle banche”.
Finalmente qualcuno l’ha detto, ma, purtroppo, troppo tardi.
Se l’odierna crisi delle banche è dovuta alla mancanza di regole etiche, vuol dire che hanno operato, e operano, in mancanza di regole e di etica (ridiviso le due categorie).
Sorge, quindi, spontanea una domanda: come mai il potere politico non si è mai accorto, nonostante le numerose crepe che spesso comparivano e le numerose denunce dei risparmiatori (clienti?), che il sistema bancario ha sempre operato con regole unilaterali, per loro vantaggiose e capestro per i clienti, se escludiamo i privilegiati, s’intende?
Parlare di regole e di etica oggi, riconoscendone la mancanza, non serve a niente, è puro formalismo retorico. Per intenderci, c’è stato in queste ore un manager, dico uno, che, vista la crisi, ha rinunciato alla ricompensa milionaria o abbia deciso una consistente decurtazione?
Tra l’altro la crisi mette a nudo non solo le speculazioni perpetrate a danno di un’intera società, fatta per quasi la totalità, di lavoratori-dipendenti, piccoli artigiani, ma anche l’arroganza e la pochezza amministrativa dei super manager strapagati.
Per avere un’idea delle loro retribuzioni, ne cito solo alcuni, scusandomi con gli altri: Profumo (Unicredit) € 9,42; Bernheim (Generali) € 5,19; Ligresti (Fondiaria Sai) € 4,5; Auletta Armenise (Ubi Banca) € 4,24; Passera (intesa) € 3,5.
Lo Stato, cioè noi, per tamponare le voragini da questi signori provocate interverrà per evitare il fallimento delle banche e l’effetto domino che si ripercuoterà nelle imprese e nell’occupazione.
Giusto, giustissimo, ma lo Stato non può dare e non intervenire nella gestione, lasciando i manager al loro posto, gli stessi che hanno provocato il disastro.
In altri termini: le regole saranno quelle di sempre, l’etica, individuale e soggettiva.
Parole al vento, signor Presidente, come l’invito ai giornalisti a “non alimentare allarmismo”, aggiungendo che “è un dovere che certamente anche chi fa giornalismo avverte e sa di essere chiamato ad assolvere”, precisando che in questi frangenti si deve avere “senso della misura e del limite e lucida coscienza di tutte le ricadute di quel che si scrive e del come s’informa e si commenta”, e che ciò non può “significare conformismo, censura o autocensura, rinuncia spontanea o subita all’esercizio della libertà di giudizio…”.
Nel momento in cui l’etica prevarrà con le regole nelle categorie sociali tutte, avremo un altro Stato, ma ci vorrebbero altri uomini.

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