Quando un leader organizza delle manifestazioni oceaniche, lo fa per dimostrare all’altra Italia che è in grado di mobilitare la piazza e ala coalizione di essere ancora lui il padre- padrone.
Delle due ipotesi, la preminente è quella ad uso interno perché qualcuno ha osato mettere in discussione la leadership; l’altra non si pone neppure in quanto per il centro sinistra rappresenta il punto di riferimento più importante e strategico, il collante maggiore di una coalizione molto ampia e per ciò eterogenea.
Il malessere e le invidie all’interno della CdL ci sono sempre stati e a testimonianza si possono citare numerosi episodi. Ma bastano la defenestrazione di Tremonti e l’emarginazione di Follini.
Ogni grido, ogni sussurro, e sono stati tanti, veniva messo a tacere con interventi decisi del capo e della sua potenza di fuoco. Basta sfogliare i giornali d’epoca per averne conferma.
E i numerosi di fiducia a cui una maggioranza ampia nei due rami del parlamento ricorreva non erano dovuti né all’ostruzionismo dell’opposizione né ad una strategia di contenimento della stessa, ma ai disturbatori interni.
Certo nessuno obbligava i partiti minori ad accettare le mortificazioni, talvolta gravi, inflitte dal capo. Ma governare è stato un collante fortissimo , che ha fatto passare in secondo (…sesto…) piano anche quelle che venivano chiamate con molta enfasi questioni di principio per il buon funzionamento della democrazia.
I tanti vertici che hanno preceduto la campagna elettorale hanno partorito il classico topolino delle tre punte o delle pari opportunità: uno barava, gli altri si illudevano che la vittoria avrebbe risolto il problema.
Perse le elezioni, il collante governativo finisce e inizia la fase di posizionamento. E così, mentre il capo parlava di brogli e di ritorno immediato al potere, iniziano ad arrivare i distinguo, prima timidi e via via sempre più vivaci fino all’offesa della non partecipazione dell’UDC all’osanna di Piazza San Giovanni, preferendo il Palazzo dello sport di Palermo.
Così, nel giorno in cui la piazza incorona Berlusconi imperatore, questi ha perduto un pezzo importante della coalizione, senza il quale, nonostante i recenti sondaggi positivi, non potrà vincere.
Certo, conoscendo i precedenti, è possibile che alle parole di Casini (“Avanti da soli a schiena dritta”.) e di Cesa (“…Ormai è chiaro che ci sono due opposizioni, conviene prenderne atto al più presto”.) non seguano i fatti e la comune nostalgia del potere compierà l’ennesimo miracolo della riconciliazione. Ma oggi la Casa delle Libertà (una libertà limitata come limitato è il concetto di casa) non c’è più e da osservatore esterno penso che la posizione dell’UDC di un’opposizione costruttiva (Casini: “Non possiamo contrapporre a Prodi solo slogan. La piazza se non ha sbocchi politici è destinata a rimanere sterile”.) in una condizione, finalmente, di legittimazione istituzionale, sia la vera svolta politica che si lascia alle spalle anni di sfascio e di demagogia in cui la comunicazione mediatica, fatta di slogan e di retorici confronti salottieri, sostituiva gli atti politici, costringendo gli italiani a tifare come in un derby.
Viceversa, i cortigiani Bossi e Fini per opposte ragioni (federalismo e delfinato) con la loro fedeltà assoluta non contribuiranno a far crescere il consenso ( i sondaggi recenti si devono leggere situandoli nel momento contingente della finanziaria) e a corsa lunga il centro sinistra giocherà per intero le sue carte, purchè non si perda in discussioni di parte e dimostri all’elettorato coesione e spirito di sacrificio nel risolvere i problemi del Paese. Ma, soprattutto, informi il Paese, parli con i cittadini.E’ questo il messaggio che la sinistra deve ricavare dalla manifestazione del 2 di dicembre.
10 dicembre 2006
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