Telecom prima annuncia l’aumento del canone a partire da gennaio 2002 e poi, ma solo dopo l’intervento dell’Autorità per le comunicazioni, torna indietro, almeno per ora.
Per le famiglie non sarebbe stato certo un salasso (ritocco dell’1,57 %) ma è la protervia con cui Telecom agisce che dimostra, ancora una volta, il vero volto dell’imprenditoria italiana, imbelle e arrogante insieme. I maggiori introiti non sarebbero derivate da nuove proposte industriali o da innovazioni tecnologiche che possono giustificare l’aumento del canone, retaggio medioevale che sarebbe ora di eliminare, ma dall’esigenza di fare cassa. Del servizio e della sua efficienza e delle tariffe, che inducono molti utenti a cambiare azienda, manco a parlarne.
Ora io mi chiedo, come facciano le altre aziende telefoniche, nonostante l’aggravio dell’ultimo chilometro, a proporre tariffe più basse, alcune senza l’aggravio del canone.
Inoltre, se viviamo in un Paese liberista, come è possibile essere concorrenziali in una situazione di monopolio?
In questo settore che oggi riguarda anche l’informazione (internet) occorre una immediata e vera liberalizzazione. E gli imprenditori nostrani non possono amministrare aziende così essenziali e strategiche con poco più dell’1 % di possesso.Devono imparare a investire i propri soldi non quelli dei cittadini e se non sono in grado di farlo facciano qualcosa d’altro e passino la mano, non a cordate bancarie per ripetere lo stesso circolo vizioso, ma a impresari seri, anche stranieri, purché disposti a rischiare in proprio e diano un servizio adeguato al XXI secolo.
Ciò, nel mondo immobile della incartapecorita politica e dell’impresa italiana, sarebbe una novità, una discontinuità: eliminazione dei privilegi e premio per chi rischia in proprio.
15 dicembre 2006
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