Il sottosegretario Mantovani, ex AN, propone di estendere il Daspo (nato per i tifosi di calcio violenti) ai manifestanti – cioè per gli studenti che hanno annunciato una manifestazione in occasione dell’approvazione della riforma Gelmini – come limitazione di presenza. Subito la proposta esalta il ministro Maroni.
Intanto il sindaco di Roma Alemanno si dice sconcertato dall’azione della Magistratura, tanto che Il ministro della giustizia Alfano invia immediatamente i suoi ispettori (a far che, dato che non è un atto intimidatorio?).
Il capogruppo del Pdl al senato Gasparri propone l’arresto preventivo di noti facenti parte dei centri sociali di tutta Italia. Per chi non avesse capito, insiste rivolgendo un appello ai genitori di tenere a casa i figli perche “quelle manifestazioni sono frequentate da potenziali fascisti”.
Un riferimento al ministro La Russa e il quadro è completo, direste.
Manca, invece, la voce autorevole del Presidente del Consiglio. Approva o non approva?
Chi tace acconsente – dice un vecchio detto - o reputa meglio restare in silenzio e aspettare gli eventi per esprimer tutto il suo rammarico o tutta la sua gioia, pronto a impossessarsi dell’esito della manifestazione se servirà alla sua immagine?
Al di là di ogni supposizione, legittima per capire cosa pensa il capo del governo elle dichiarazioni piuttosto forti, per non dire violente – perché anche le parole possono esprimere violenza – dei suoi ministri, come cittadino, desidererei che il “mio” presidente del consiglio esprimesse una chiara e netta posizione di condanna, ora e subito. E non solo!
Vista, infatti, la certezza della manifestazione, che sicuramente sarà molto numerosa, e considerati i motivi della protesta che si ripete da mesi, il capo del governo, avrebbe dovuto prendere in considerazione la possibilità di fermare l’approvazione della riforma per il tempo necessario ad ascoltare le ragioni degli studenti e degli operatori scolastici in merito alla riforma.
Una soluzione di buon senso e di disponibilità al dialogo, sicuramente apprezzata dai manifestanti, non sarebbe stata una sconfitta del governo ma un passo avanti verso il dialogo e il ritorno della serenità.
Le dichiarazioni sopraesposte vanno nella direzione opposta, come a cercare consapevolmente lo scontro. Cercare lo scontro non conviene a nessuno, né al governo né agli studenti, e un governo responsabile quanto meno non sarebbe entrato a gamba tesa.
L’augurio è che gli studenti non cadano nella trappola che è stata loro tesa. Il minimo accenno alla violenza sarà usato strumentalmente contro di loro. Gasparri e compagnia non aspettano che questo perché sanno che non è facile scoprire né isolare i “violenti di professione”, quelli che prima, in relazione a chi organizzava la manifestazione, erano definiti “infiltrati” – ora non esistono più, ci dicono.
Nei Paesi civili e di forti tradizioni democratiche il dissenso è una ricchezza della democrazia e i governanti, che ciò sanno, non fanno precipitare la protesta, non la criminalizzano ma la controllano, cercando di capirne le motivazioni.
La protesta più civile e pacifica spesso ha una forza tale da far cadere governi, specie se rappezzati e in crisi d’identità.
20 dicembre 2010
18 dicembre 2010
LA RUSSA SHOW: annozero può cominciare!
Il povero ministro, circondato da studenti violenti e “vigliacchi” e da ospiti “di sinistra” è caduto in un’imboscata crudele e vergognosa. L’impari confronto ha scatenato nel ministro una forte crisi d’identità, scatenando la sua proverbiale e alta retorica. Ci ha fatto capire, a noi telespettatori, cosa è “l’apologia di reato”, quando stare “zitto”, quanto tempo concedere alla controparte in un confronto, quando si può dare del “vigliacco” a una persona e come affermare l’orgoglio di essere stato fascista e di aver chiamato “rosse” le forze dell’ordine che oggi rappresenta e dalle quali è stato non solo contestato ma anche fischiato, se non erro la stessa mattina del voto di fiducia.
Lavoratori che protestano al mattino e difensori delle istituzioni al pomeriggio, qualunque sia il governo in carica. Questa è una lezione di responsabilità e un grande senso dell’appartenenza alla Repubblica, non a un governo.
La crisi d’identità del ministro deve preoccupare qualunque cittadino italiano, anche se elettore del Pdl. Non è una bella cosa vedere un proprio rappresentante arrivare a eccessi di quel genere, contestare e voler zittire, con una violenza verbale non pensabile in un rappresentante dello Stato, le ragioni degli studenti, invece di ascoltare e instaurare un dialogo civile. Ascoltare le ragioni degli altri, di quella parte che non è rappresentata in un’aula parlamentare, mentre si sta per approvare una riforma dell’Università che sarà determinante per il loro futuro, dovrebbe essere un atto di profonda responsabilità e di alto valore democratico.
Il popolo italiano ha dato a questo governo licenza di governare non licenza di imposizione. Riforme di tale portata vanno discusse a più voce e scritte a più mani.
Il passato che ritorna non sempre è buona cosa, specie se ammantato da nostalgia.
Lavoratori che protestano al mattino e difensori delle istituzioni al pomeriggio, qualunque sia il governo in carica. Questa è una lezione di responsabilità e un grande senso dell’appartenenza alla Repubblica, non a un governo.
La crisi d’identità del ministro deve preoccupare qualunque cittadino italiano, anche se elettore del Pdl. Non è una bella cosa vedere un proprio rappresentante arrivare a eccessi di quel genere, contestare e voler zittire, con una violenza verbale non pensabile in un rappresentante dello Stato, le ragioni degli studenti, invece di ascoltare e instaurare un dialogo civile. Ascoltare le ragioni degli altri, di quella parte che non è rappresentata in un’aula parlamentare, mentre si sta per approvare una riforma dell’Università che sarà determinante per il loro futuro, dovrebbe essere un atto di profonda responsabilità e di alto valore democratico.
Il popolo italiano ha dato a questo governo licenza di governare non licenza di imposizione. Riforme di tale portata vanno discusse a più voce e scritte a più mani.
Il passato che ritorna non sempre è buona cosa, specie se ammantato da nostalgia.
16 dicembre 2010
BONDI E L’ARROGANZA PERPETUA
Bondi scrive una lettera al Pd con la quale chiede che venga ritirata la mozione di sfiducia nei suoi confronti, “considerandola un atto parlamentare così spropositato”.
Uno pensa che un ministro che ha trovato la forza di chiedere al Pd il ritiro della mozione di sfiducia sia mosso da un minimo di umiltà. Basta, però, leggere la lettera per constatare tutto il contrario. Nemmeno in un momento così grave per la sua immagine, riesce, non solo a pensare ma nemmeno a esprimere un approccio di corretta modestia. Infatti, l’atto parlamentare per il ministro è “pretestuoso e dirompente sul piano umano e rappresenterebbe un’onta non per me che lo subisco ma per voi che lo proponete”. Poi accusa di acredine della sinistra nei suoi riguardi perché li ha lasciati per approdare in Forza Italia “per la consapevolezza dell’impossibilità di una evoluzione socialdemocratica del Pci”. Infine con un’ingenuità piena d’ipocrisia non si capacità che si possa chiedere la mozione di sfiducia per “i crolli avvenuti a Pompei” poiché “altri crolli sono avvenuti nel passato, e probabilmente (!) altri avverranno nel futuro, senza (ecco la ciliegina che esprime tutta l’arroganza e la supponenza di un ministro, espressione di un governo proiettato verso il culto della persona) che a nessuno passi per testa di chiedere le dimissioni del ministro …”.
Il ministro dovrebbe spiegare ai cittadini, mentre chiede loro di accettare i tagli come necessari per rafforzare l’economia, alcune sue scelte, come apprendiamo dai quotidiani, piuttosto discutibili, anche come casi umani, che sembrano ai nostri occhi inesperti degli sperperi:
- Vengono stanziati 400.000 euro per consegnare il premio “Action for women” all’attrice bulgara Michelle Bonev (chi?), arrivata con 40 (quaranta) connazionali al seguito. Forse per occupare due file della sala, arricchita dalla presenza della ministra Carfagna e del ministro Galan.
- Un posto al ministero per il figlio della compagna, l’onorevole del Pdl Emanuela Repetti.
- 25.000 euro dei fondi FUS (fondo unico per lo spettacolo) all’ex marito della compagna.
Poi sono stati stanziati per decreto 670.000 euro a Novi, dove il ministro ha trasferito la residenza, per lavori in due chiese; 285.000 euro per la compagnia teatrale di Mariano Anagni. Per carità tutto regolare, ma, visto i tagli alla cultura, il ministro potrebbe illustrarci, almeno come rispetto che si deve ai soci pagatori dello stipendio che percepisce, quali criteri usa nel destinare i residui fondi?
Spero che il Pd non ritiri la mozione di sfiducia, sia per un senso di coerenza e serietà, sia per l’uso negativo che il ministro ha fatto della delega.
Uno pensa che un ministro che ha trovato la forza di chiedere al Pd il ritiro della mozione di sfiducia sia mosso da un minimo di umiltà. Basta, però, leggere la lettera per constatare tutto il contrario. Nemmeno in un momento così grave per la sua immagine, riesce, non solo a pensare ma nemmeno a esprimere un approccio di corretta modestia. Infatti, l’atto parlamentare per il ministro è “pretestuoso e dirompente sul piano umano e rappresenterebbe un’onta non per me che lo subisco ma per voi che lo proponete”. Poi accusa di acredine della sinistra nei suoi riguardi perché li ha lasciati per approdare in Forza Italia “per la consapevolezza dell’impossibilità di una evoluzione socialdemocratica del Pci”. Infine con un’ingenuità piena d’ipocrisia non si capacità che si possa chiedere la mozione di sfiducia per “i crolli avvenuti a Pompei” poiché “altri crolli sono avvenuti nel passato, e probabilmente (!) altri avverranno nel futuro, senza (ecco la ciliegina che esprime tutta l’arroganza e la supponenza di un ministro, espressione di un governo proiettato verso il culto della persona) che a nessuno passi per testa di chiedere le dimissioni del ministro …”.
Il ministro dovrebbe spiegare ai cittadini, mentre chiede loro di accettare i tagli come necessari per rafforzare l’economia, alcune sue scelte, come apprendiamo dai quotidiani, piuttosto discutibili, anche come casi umani, che sembrano ai nostri occhi inesperti degli sperperi:
- Vengono stanziati 400.000 euro per consegnare il premio “Action for women” all’attrice bulgara Michelle Bonev (chi?), arrivata con 40 (quaranta) connazionali al seguito. Forse per occupare due file della sala, arricchita dalla presenza della ministra Carfagna e del ministro Galan.
- Un posto al ministero per il figlio della compagna, l’onorevole del Pdl Emanuela Repetti.
- 25.000 euro dei fondi FUS (fondo unico per lo spettacolo) all’ex marito della compagna.
Poi sono stati stanziati per decreto 670.000 euro a Novi, dove il ministro ha trasferito la residenza, per lavori in due chiese; 285.000 euro per la compagnia teatrale di Mariano Anagni. Per carità tutto regolare, ma, visto i tagli alla cultura, il ministro potrebbe illustrarci, almeno come rispetto che si deve ai soci pagatori dello stipendio che percepisce, quali criteri usa nel destinare i residui fondi?
Spero che il Pd non ritiri la mozione di sfiducia, sia per un senso di coerenza e serietà, sia per l’uso negativo che il ministro ha fatto della delega.
Berlusconi ha vinto, Berlusconi ha perso
1867,398 miliardi di euro è il nuovo record del debito pubblico. In ottobre ci siamo divorati 23 miliardi, a settembre il debito era di 1844 miliardi. Nello stesso giorno del record che ci trascina verso l'abisso economico, il 14 dicembre 2010, alla Camera dei deputati Berlusconi ha vinto per 314 a 311.
Si è svolto nella sala di velluti rossi un confronto osceno di compari che sentono l'odore della rivoluzione nelle strade e cercano di salvarsi con un doppio carpiato come Fini, rinnegando 15 anni di inciuci come Bersani e Casini. Nell'aula ridotta a un palcoscenico di mestieranti con battute da avanspettacolo e applausi improvvisi che scacciavano la paura del futuro (come quelli alla bara portata a braccia quando esce dalla chiesa) ci sarebbe voluta la follia di un Lombroso per interpretare volti, smorfie, ghigni, gesti. Per illustrare una nuova antropologia: quella della merda. In un Parlamento di venduti non è possibile parlare di voti comprati, come non è possibile trovare vergini in un lupanare. La recita dei deputati ha avuto ancora una volta la sua rappresentazione. Attori con stipendi stellari, macchine blu, finanziamenti (furti) elettorali da un miliardo di euro bocciati da un referendum, giornalisti al loro servizio pagati con una mancia di 329 milioni mentre il Paese va a picco. Guardateli, non vi fanno schifo?
La Camera dall'alto sembrava questa mattina un ritrovo di vecchi compari, Berlusconi che accarezza il collo di Casini, il Bocchino tradito, il Fini paralizzato da una votazione che lo manda in pensione dopo 40 anni di carriera politica in cui non ha visto nulla, sentito nulla, detto nulla prima di uscire dal sarcofago, la "vajassa" di Fassino. Le labbra della Mussolini e quelle della Carfagna, gli occhiali da sole di Frattini. Le donne incinte, tra cui l'avvocatessa del prescritto per mafia Andreotti in carrozzella. La corte dei miracoli aveva più dignità, un circo ha più serietà, un bordello più dignità.
Nel 2011 la crisi economica spazzerà via questa umanità ridente che si è appropriata dello Stato e dei media. Straccioni sociali che hanno avuto nella politica l'unica via per il successo, per sentirsi importanti, indispensabili, "onorevoli". Io non salvo nessuno e auguro a tutti di ritirarsi per tempo, prima che lo faccia la Storia che è, come si sa, imprevedibile e feroce.
dal blog di Beppe grillo del 16/12/2010
Si è svolto nella sala di velluti rossi un confronto osceno di compari che sentono l'odore della rivoluzione nelle strade e cercano di salvarsi con un doppio carpiato come Fini, rinnegando 15 anni di inciuci come Bersani e Casini. Nell'aula ridotta a un palcoscenico di mestieranti con battute da avanspettacolo e applausi improvvisi che scacciavano la paura del futuro (come quelli alla bara portata a braccia quando esce dalla chiesa) ci sarebbe voluta la follia di un Lombroso per interpretare volti, smorfie, ghigni, gesti. Per illustrare una nuova antropologia: quella della merda. In un Parlamento di venduti non è possibile parlare di voti comprati, come non è possibile trovare vergini in un lupanare. La recita dei deputati ha avuto ancora una volta la sua rappresentazione. Attori con stipendi stellari, macchine blu, finanziamenti (furti) elettorali da un miliardo di euro bocciati da un referendum, giornalisti al loro servizio pagati con una mancia di 329 milioni mentre il Paese va a picco. Guardateli, non vi fanno schifo?
La Camera dall'alto sembrava questa mattina un ritrovo di vecchi compari, Berlusconi che accarezza il collo di Casini, il Bocchino tradito, il Fini paralizzato da una votazione che lo manda in pensione dopo 40 anni di carriera politica in cui non ha visto nulla, sentito nulla, detto nulla prima di uscire dal sarcofago, la "vajassa" di Fassino. Le labbra della Mussolini e quelle della Carfagna, gli occhiali da sole di Frattini. Le donne incinte, tra cui l'avvocatessa del prescritto per mafia Andreotti in carrozzella. La corte dei miracoli aveva più dignità, un circo ha più serietà, un bordello più dignità.
Nel 2011 la crisi economica spazzerà via questa umanità ridente che si è appropriata dello Stato e dei media. Straccioni sociali che hanno avuto nella politica l'unica via per il successo, per sentirsi importanti, indispensabili, "onorevoli". Io non salvo nessuno e auguro a tutti di ritirarsi per tempo, prima che lo faccia la Storia che è, come si sa, imprevedibile e feroce.
dal blog di Beppe grillo del 16/12/2010
15 dicembre 2010
BERLUSCONI HA VINTO E IL PAESE?
Secondo i dati diffusi dalla Banca d’Italia, a ottobre il debito pubblico è aumentato del 5,9% rispetto all’inizio dell’anno, attestandosi a 1.867 miliardi di euro, mentre nello stesso periodo le entrate fiscali sono diminuite dell’1.8%.
Il governo continua a dire che tutto va bene, che l’Europa è soddisfatta dei nostri conti pubblici, che il ministro Tremonti è stato bravo – anche molti cronisti di sinistra sono convinti della competenza e del buon lavoro svolto dal ministro dell’economia che nemmeno ci informano come il nostro eroe è stato declassato nella classifica dei migliori ministri economici, promossa dal “Financial Times”, dal 5° al 14° posto su 19 – che il governo del fare ha agito nel migliore dei modi possibili e se qualcosa non va, la colpa è della sinistra e di Fini, che gli studenti universitari protestano perché non vogliono studiare, che i ricercatori si lamentano per boicottare la riforma Gelmini, che le forze dell’ordine … che a Terzigno … che gli edili … che la cassa integrazione … che la disoccupazione giovanile … che l’informazione … che la benzina … che la giustizia … che gli stipendi … che il Meridione … che le infrastrutture … che la corruzione …
Al cittadino comune, quale io sono, si presentano due ipotesi: la prima è che tutto va bene e che ciò che vede attorno a sé non esiste, è una distorsione della fantasia; la seconda è che con la fantasia non si paga il mutuo né si fa la spesa al supermercato né si arriva alla fine del mese e che la fantasia non può nascondere la realtà che è quella che le famiglie toccano con mano.
Allora il governo mente pur sapendo di mentire. Ciò lo rende ancora più colpevole agli occhi dei cittadini che non hanno fantasia per nascondere il loro stato d’indigenza.
Ieri, a pranzo – è una combinazione, non una battuta – la Camera ha respinto, per soli tre voti la mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni. Berlusconi, ancora una volta ha mostrato che gli affari li sa fare molto bene, la politica un po’ meno.
Ma non voglio portare il discorso sul referendum pro o contro Berlusconi, come ormai fa il mondo politico e dell’informazione, farcita da politologi di ogni genere e appartenenza. Sarebbe la cosa più facile e la questione politica si ridurrebbe a una questione di tifo da stadio.
Berlusconi ha vinto! Berlusconi ha perso! Vedrete, ci sarà ancora un secondo tempo in cui Berlusconi si esalterà, annunciava ier sera il direttore “tempo”, Sechi.
Berlusconi ha vinto algebricamente ma non politicamente … ha lanciato un messaggio ai moderati sparsi nel Parlamento … la maggioranza si allargherà a Casini … no, la fiducia gli servirà per andare alle elezioni anticipate … sarà Bossi a staccare la spina quando si accorgerà per il federalismo … la campagna acquisti continuerà ancora più violenta … faremo la riforma elettorale (un senato con premio di maggioranza nazionale) … le opposizioni, Pd in testa, non hanno presentato una controproposta alternativa né il nome del probabile leader ... la tempistica è stata sbagliata … sarebbe stato un ribaltone … eccetera, eccetera, eccetera.
A nessuno dei commentatori è passato per la mente che il Parlamento, considerato come l’insieme di nominati delle segreterie - ecco perché si può parlare di tradimenti - non è stato umiliato da qualcuno, ma ha dimostrato di non essere più un’istituzione né politicamente né moralmente credibile. Non rappresenta il Paese, occupato non a risolvere i problemi reali ma a litigare e a risolvere problemi “altri”. Vive nel “Palazzo”, asserragliato e attaccato con i suoi privilegi alla poltrona, estraneo a ciò che succede alle centinaia di migliaia di famiglie che pagano le tasse e permettono “agli onorevoli parlamentari” di ricevere un lauto stipendio e ancor più lauti benefit, tra cui una pensione dopo tre anni di presenza non necessariamente continua – i mortali lavoratori aspetteranno lo scoccare del sessantacinquesimo anno d’età ... se ce la faranno.
Lo spettacolo parlamentare è stato degradante e umiliante per un Paese civile, ma ancor più degradante è stato lo spettacolo mediatico.
Come si fa a dire che la sfiducia è stata un atto contro Berlusconi, senza una motivazione politica, come si fa ad accusare le opposizioni di mancanza di proposte programmatiche?
Fli ha motivato con delle ragioni politiche, magari non condivisibili, assai evidenti il distacco dal Pdl, sforzandosi di proporre un programma alternativo, come ha fatto l’Udc e come ha fatto il Pd, che l’ha addirittura proposto sabato scorso in una grande manifestazione a Roma.
Non riconoscere ciò è boicottaggio e malafede. È paradossale chiedere alle opposizioni un programma di governo per giustificare la richiesta di sfiducia. Non sarà l’elettore a votare la sfiducia, ma il parlamento con gli schieramenti ben individuati, con qualche incerto in attesa di un’offerta. Tra l’altro le motivazioni della richiesta della sfiducia rappresentano già un’alternativa al programma svolto o no dal governo.
Un governo alternativo, anche solo per cambiare la legge elettorale e rivedere la legge finanziaria, non sarebbe stato un ribaltone, avrebbe solo sancito l’incapacità di questo governo di governare e avrebbe dato all’Italia una nuova legge elettorale, diversa dal porcellum attuale che determina un cospicuo premio di maggioranza alla coalizione anche vincendo per un solo voto, al 30%. Sta proprio qui, nel premio di maggioranza così stabilito, che sta il paradosso di vedere il settanta per cento del Paese all’opposizione. Non regge il consiglio che si dà alle opposizioni di coalizzarsi, perché è risaputo che ci sono tra di esse notevoli differenze ideologiche che rendono difficile se non impossibile una coalizione.
Berlusconi ha vinto e allora governi serenamente, affrontando i problemi dei cittadini e non pensi all’undici Gennaio 2011.
Il governo continua a dire che tutto va bene, che l’Europa è soddisfatta dei nostri conti pubblici, che il ministro Tremonti è stato bravo – anche molti cronisti di sinistra sono convinti della competenza e del buon lavoro svolto dal ministro dell’economia che nemmeno ci informano come il nostro eroe è stato declassato nella classifica dei migliori ministri economici, promossa dal “Financial Times”, dal 5° al 14° posto su 19 – che il governo del fare ha agito nel migliore dei modi possibili e se qualcosa non va, la colpa è della sinistra e di Fini, che gli studenti universitari protestano perché non vogliono studiare, che i ricercatori si lamentano per boicottare la riforma Gelmini, che le forze dell’ordine … che a Terzigno … che gli edili … che la cassa integrazione … che la disoccupazione giovanile … che l’informazione … che la benzina … che la giustizia … che gli stipendi … che il Meridione … che le infrastrutture … che la corruzione …
Al cittadino comune, quale io sono, si presentano due ipotesi: la prima è che tutto va bene e che ciò che vede attorno a sé non esiste, è una distorsione della fantasia; la seconda è che con la fantasia non si paga il mutuo né si fa la spesa al supermercato né si arriva alla fine del mese e che la fantasia non può nascondere la realtà che è quella che le famiglie toccano con mano.
Allora il governo mente pur sapendo di mentire. Ciò lo rende ancora più colpevole agli occhi dei cittadini che non hanno fantasia per nascondere il loro stato d’indigenza.
Ieri, a pranzo – è una combinazione, non una battuta – la Camera ha respinto, per soli tre voti la mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni. Berlusconi, ancora una volta ha mostrato che gli affari li sa fare molto bene, la politica un po’ meno.
Ma non voglio portare il discorso sul referendum pro o contro Berlusconi, come ormai fa il mondo politico e dell’informazione, farcita da politologi di ogni genere e appartenenza. Sarebbe la cosa più facile e la questione politica si ridurrebbe a una questione di tifo da stadio.
Berlusconi ha vinto! Berlusconi ha perso! Vedrete, ci sarà ancora un secondo tempo in cui Berlusconi si esalterà, annunciava ier sera il direttore “tempo”, Sechi.
Berlusconi ha vinto algebricamente ma non politicamente … ha lanciato un messaggio ai moderati sparsi nel Parlamento … la maggioranza si allargherà a Casini … no, la fiducia gli servirà per andare alle elezioni anticipate … sarà Bossi a staccare la spina quando si accorgerà per il federalismo … la campagna acquisti continuerà ancora più violenta … faremo la riforma elettorale (un senato con premio di maggioranza nazionale) … le opposizioni, Pd in testa, non hanno presentato una controproposta alternativa né il nome del probabile leader ... la tempistica è stata sbagliata … sarebbe stato un ribaltone … eccetera, eccetera, eccetera.
A nessuno dei commentatori è passato per la mente che il Parlamento, considerato come l’insieme di nominati delle segreterie - ecco perché si può parlare di tradimenti - non è stato umiliato da qualcuno, ma ha dimostrato di non essere più un’istituzione né politicamente né moralmente credibile. Non rappresenta il Paese, occupato non a risolvere i problemi reali ma a litigare e a risolvere problemi “altri”. Vive nel “Palazzo”, asserragliato e attaccato con i suoi privilegi alla poltrona, estraneo a ciò che succede alle centinaia di migliaia di famiglie che pagano le tasse e permettono “agli onorevoli parlamentari” di ricevere un lauto stipendio e ancor più lauti benefit, tra cui una pensione dopo tre anni di presenza non necessariamente continua – i mortali lavoratori aspetteranno lo scoccare del sessantacinquesimo anno d’età ... se ce la faranno.
Lo spettacolo parlamentare è stato degradante e umiliante per un Paese civile, ma ancor più degradante è stato lo spettacolo mediatico.
Come si fa a dire che la sfiducia è stata un atto contro Berlusconi, senza una motivazione politica, come si fa ad accusare le opposizioni di mancanza di proposte programmatiche?
Fli ha motivato con delle ragioni politiche, magari non condivisibili, assai evidenti il distacco dal Pdl, sforzandosi di proporre un programma alternativo, come ha fatto l’Udc e come ha fatto il Pd, che l’ha addirittura proposto sabato scorso in una grande manifestazione a Roma.
Non riconoscere ciò è boicottaggio e malafede. È paradossale chiedere alle opposizioni un programma di governo per giustificare la richiesta di sfiducia. Non sarà l’elettore a votare la sfiducia, ma il parlamento con gli schieramenti ben individuati, con qualche incerto in attesa di un’offerta. Tra l’altro le motivazioni della richiesta della sfiducia rappresentano già un’alternativa al programma svolto o no dal governo.
Un governo alternativo, anche solo per cambiare la legge elettorale e rivedere la legge finanziaria, non sarebbe stato un ribaltone, avrebbe solo sancito l’incapacità di questo governo di governare e avrebbe dato all’Italia una nuova legge elettorale, diversa dal porcellum attuale che determina un cospicuo premio di maggioranza alla coalizione anche vincendo per un solo voto, al 30%. Sta proprio qui, nel premio di maggioranza così stabilito, che sta il paradosso di vedere il settanta per cento del Paese all’opposizione. Non regge il consiglio che si dà alle opposizioni di coalizzarsi, perché è risaputo che ci sono tra di esse notevoli differenze ideologiche che rendono difficile se non impossibile una coalizione.
Berlusconi ha vinto e allora governi serenamente, affrontando i problemi dei cittadini e non pensi all’undici Gennaio 2011.
09 dicembre 2010
IL TEATRINO DELLA POLITICA RITORNA
Mi ero ripromesso di non scrivere di politica fino al giorno 15 p.v., ma la mia sopportazione, assistendo a quanto di peggio la politica possa mostrare, non può andare oltre.
È uno spettacolo indegno anche per l’ultimo dei Paesi civili, se mai ce ne fosse uno dietro il nostro. I nostri politici, super-stipendiati e super - garantiti (pensione, buona uscita, benefit d’ogni genere e … sostanza), super- rispettosi e super-presidenzialisti stanno mostrando, se ce ne fosse stato bisogno, il super di sé (il meglio che va molto al di la). Sono dei super strateghi, dei super ipocriti, dei super mangia pani a tradimento (tanto, per restare in tema), dei super commedianti (ironicamente parlando e senza voler offendere i commedianti, quelli che si esibiscono a teatro) della nostra politica perché altrove, nell’ultimo Paese civile dietro di noi, sarebbero solo pessimi cabarettisti di locali malfamati.
Sono indignato, come dovrebbero esserlo gli italiani (tutti, meno i parlamentari – s’intende per parlamentari coloro che parlano non sapendo cosa fare … o forse no? Quelli che alzano il dito quando gli viene ordinato, quelli che non si guardano allo specchio per paura di … insomma quelli che non sono stati votati ma nominati -, i sodali, quelli che con loro s’identificano, quelli che evadono le tasse perché … la legge glielo permette, quelli dei capitali all’estero, quelli delle superbarche intestate alle società, quelli delle società offshore, quelli che vivono di sotterfugi e quelli che sfruttano i diversi ma poi scendono in piazza contro gli immigrati, ecc. …) e durante i tigi mi vergogno per loro.
Uno di loro, credo quello che chiamano cavaliere, quando entrò in politica dichiarò che avrebbe salvato l’Italia dai comunisti (mi viene da ridere quando penso ai comunisti italiani!), avrebbe eliminato la disoccupazione, avrebbe rilanciato l’economia, avrebbe … avrebbe … non mi ricordo, ma avrebbe fatto tante altre cose. Ecco … mi ricordo … non avremmo più assistito al teatrino della politica perché il cavaliere avrebbe “fatto” non “recitato”.
Di cose da allora ne ha fatte tante come per esempio le leggi ad personam, la legge porcellum, i condoni tombali, lo scudo fiscale, poi … poi … e poi … non è che posso ricordarmi tutto! Dimenticavo, ha fatto scomparire la spazzatura di Napoli, ma ha conservato le macerie de L’Aquila a memoria futura.
Il teatrino, che era stato chiuso, proprio come la Camera dei deputati, per restauri, è esploso con tutta la sua potenza attrattiva. I figuranti sono tanti, ma i capocomici, vecchi mestieranti senza talento, sono pochi. Cercano, poverini di far ridere, ma hanno sbagliato rappresentazione: non una farsa ma un dramma. Si sforzano di far ridere, ma fanno solo piangere. Sul palcoscenico si susseguono scene da basso impero, mentre sul palcoscenico della vita, all’esterno del Palazzo, pardon del teatro le scene sono vere: operai che muoiono mentre lavorano nella completa indifferenza dei politic-anti, impiegati e operai che scioperano perché hanno perso il lavoro, studenti e professori e ricercatori che protestano ormai da settimane senza che il Palazzo si accorga di loro, i poliziotti che protestano davanti alla residenza del premier per i tagli alla sicurezza (mancano i soldi per la benzina), gli edili - operai e imprenditori - che scendono in piazza, l’informazione che non informa, la giustizia che non riceve i mezzi per farla funzionare, se società d’intercettazione che non sono pagati dallo stato, la P3, la spazzatura a Napoli che non intende nascondersi, le infrastrutture autostradali e aeroportuali che non ci sono, le classifiche internazionali che vedono l’Italia relegata agli ultimi posti (per le auto blu e per gli stipendi ai parlamentari di ogni grado e ordine siamo al primo posto), i pensionati che tirano a campare, la disoccupazione che si avvicina al 12% e quella giovanile attestata oltre il 20, la fuga dei cervelli, la scuola che funziona perché i genitori si tassano per comprare materiale di consumo e igienico cui lo stato dovrebbe provvedere, Pompei che si sbriciola, il debito pubblico sempre più alto … mi fermo perché sono già in depressione.
Nonostante tutto ciò, una speranza di salvezza ce la stanno dando alcuni onorevoli, per ora solo tre, che, in vista della sfiducia, hanno formato “Il movimento di responsabilità nazionale”.
Onorevoli con le palle che si sono stancati di essere tirati per la giacchetta, come fossero oggetti da comprare e mettere tra l’argenteria di famiglia, che hanno il senso dello stato e faranno di tutto, responsabilmente, per esprimere un voto di fiducia per un governo del fare che potrebbe realizzare ancora di più se il premier si accorgesse di loro nell’assegnazione di ministeri e sottosegretariati, non come forma di riconoscenza, badate, ma solo per la loro competenza e il loro amore per l’Italia.
È uno spettacolo indegno anche per l’ultimo dei Paesi civili, se mai ce ne fosse uno dietro il nostro. I nostri politici, super-stipendiati e super - garantiti (pensione, buona uscita, benefit d’ogni genere e … sostanza), super- rispettosi e super-presidenzialisti stanno mostrando, se ce ne fosse stato bisogno, il super di sé (il meglio che va molto al di la). Sono dei super strateghi, dei super ipocriti, dei super mangia pani a tradimento (tanto, per restare in tema), dei super commedianti (ironicamente parlando e senza voler offendere i commedianti, quelli che si esibiscono a teatro) della nostra politica perché altrove, nell’ultimo Paese civile dietro di noi, sarebbero solo pessimi cabarettisti di locali malfamati.
Sono indignato, come dovrebbero esserlo gli italiani (tutti, meno i parlamentari – s’intende per parlamentari coloro che parlano non sapendo cosa fare … o forse no? Quelli che alzano il dito quando gli viene ordinato, quelli che non si guardano allo specchio per paura di … insomma quelli che non sono stati votati ma nominati -, i sodali, quelli che con loro s’identificano, quelli che evadono le tasse perché … la legge glielo permette, quelli dei capitali all’estero, quelli delle superbarche intestate alle società, quelli delle società offshore, quelli che vivono di sotterfugi e quelli che sfruttano i diversi ma poi scendono in piazza contro gli immigrati, ecc. …) e durante i tigi mi vergogno per loro.
Uno di loro, credo quello che chiamano cavaliere, quando entrò in politica dichiarò che avrebbe salvato l’Italia dai comunisti (mi viene da ridere quando penso ai comunisti italiani!), avrebbe eliminato la disoccupazione, avrebbe rilanciato l’economia, avrebbe … avrebbe … non mi ricordo, ma avrebbe fatto tante altre cose. Ecco … mi ricordo … non avremmo più assistito al teatrino della politica perché il cavaliere avrebbe “fatto” non “recitato”.
Di cose da allora ne ha fatte tante come per esempio le leggi ad personam, la legge porcellum, i condoni tombali, lo scudo fiscale, poi … poi … e poi … non è che posso ricordarmi tutto! Dimenticavo, ha fatto scomparire la spazzatura di Napoli, ma ha conservato le macerie de L’Aquila a memoria futura.
Il teatrino, che era stato chiuso, proprio come la Camera dei deputati, per restauri, è esploso con tutta la sua potenza attrattiva. I figuranti sono tanti, ma i capocomici, vecchi mestieranti senza talento, sono pochi. Cercano, poverini di far ridere, ma hanno sbagliato rappresentazione: non una farsa ma un dramma. Si sforzano di far ridere, ma fanno solo piangere. Sul palcoscenico si susseguono scene da basso impero, mentre sul palcoscenico della vita, all’esterno del Palazzo, pardon del teatro le scene sono vere: operai che muoiono mentre lavorano nella completa indifferenza dei politic-anti, impiegati e operai che scioperano perché hanno perso il lavoro, studenti e professori e ricercatori che protestano ormai da settimane senza che il Palazzo si accorga di loro, i poliziotti che protestano davanti alla residenza del premier per i tagli alla sicurezza (mancano i soldi per la benzina), gli edili - operai e imprenditori - che scendono in piazza, l’informazione che non informa, la giustizia che non riceve i mezzi per farla funzionare, se società d’intercettazione che non sono pagati dallo stato, la P3, la spazzatura a Napoli che non intende nascondersi, le infrastrutture autostradali e aeroportuali che non ci sono, le classifiche internazionali che vedono l’Italia relegata agli ultimi posti (per le auto blu e per gli stipendi ai parlamentari di ogni grado e ordine siamo al primo posto), i pensionati che tirano a campare, la disoccupazione che si avvicina al 12% e quella giovanile attestata oltre il 20, la fuga dei cervelli, la scuola che funziona perché i genitori si tassano per comprare materiale di consumo e igienico cui lo stato dovrebbe provvedere, Pompei che si sbriciola, il debito pubblico sempre più alto … mi fermo perché sono già in depressione.
Nonostante tutto ciò, una speranza di salvezza ce la stanno dando alcuni onorevoli, per ora solo tre, che, in vista della sfiducia, hanno formato “Il movimento di responsabilità nazionale”.
Onorevoli con le palle che si sono stancati di essere tirati per la giacchetta, come fossero oggetti da comprare e mettere tra l’argenteria di famiglia, che hanno il senso dello stato e faranno di tutto, responsabilmente, per esprimere un voto di fiducia per un governo del fare che potrebbe realizzare ancora di più se il premier si accorgesse di loro nell’assegnazione di ministeri e sottosegretariati, non come forma di riconoscenza, badate, ma solo per la loro competenza e il loro amore per l’Italia.
26 novembre 2010
PIATUSU
Piatusu, dal Vocabolario Siciliano Italiano di A. Traina: che muove pietà, meschino.
Sto parlando di Emilio Fede, il direttore di Rete quattro, un messinese che sicuramente ricorda ancora qualche parola della sua terra, un mio conterraneo, da cui prendo le distanze, che è molto “civile” come uno dei suoi ultimi tg – ad onor del vero io non guardo mai perché qualche volta che l’ho fatto ho provato vergogna … per lui , s’intende - ci ha mostrato, il cui grado di civiltà emerge ogni qual volta apre bocca. Potrei dire che forse sarebbe bene che la bocca in certi casi la tenesse ben serrata, ma sarei accusato di voler limitare la libertà d’espressione e, in un Paese civile come il nostro, le persone “civili” come il signor Fede hanno diritto di esprimersi … come sanno, anche per farsi conoscere meglio, se ce ne fosse bisogno.
Il signor Fede inizia la sua arringa affermando che “la violenza assunta come protesta sta diventando una moda grazie all’effetto mediatico di certe stampa e di certe televisioni”. Per questo giornalista, sempre misurato nelle parole e chiaro nei concetti, ogni forma di protesta ormai è assimilabile alla violenza. Bisogna protestare civilmente, magari inviando qualche lettera: “ Signor ministro Maroni, ho seguito la procedura per avere il permesso di soggiorno ma ancora lo sto aspettando. Che faccio, aspetto ancora o salgo sulla gru ... mi faccia sapere. Nell’attesa di una sua, la saluto molto distintamente.” Oppure: “Esimia ministra M. S. Gelmini, noi insegnanti universitari, ricercatori precari, noi studenti senza futuro, non condividiamo certi aspetti della sua riforma. Prima che sia approvata dal Parlamento, potremmo avere un confronto civile, s’intende, con lei, così potrà spiegarci perché sono stati stanziati soldi per le scuole e le università private, ma solo per rispondere a quei patetici comunisti che non hanno proposte, studenti ripetenti. In attesa di una sua risposta, senza protestare, come la civiltà prevede, seguiteremo a svolgere i nostri rispettivi ruoli. La preghiamo solamente di non farci attendere troppo. Se vuole, ma solo se vuole, potrebbe suggerirci una forma molto civile di protesta, visto che tra noi ci sono troppi facinorosi, organizzati per bande. Un evidente inchino e un augurio di immensa fortuna”. O, ancora: “ Signor Presidente del consiglio, la fabbrica dove lavoravo con mia moglie ha chiuso perché ha de-localizzato. Ho due bambini e un mutuo … potrebbe risolvere il mio caso umano, magari telefonando ad un suo amico imprenditore o assumendomi come uomo di fatica in una delle sue tante ville? Resto in attesa di una sua risposta. Nel frattempo riascolto una delle sue potentissime barzellette … con simpatia e stima”.
Si sono comportati malissimo gli studenti, fomentati e organizzate dall’estremismo rosso, come il direttore afferma. Hanno occupato dei monumenti o dei tetti delle università, ma come si permettono … mica sono di loro proprietà. Hanno “assalito il Senato”, hanno “violato il tempio della Costituzione - il signor Fede a proposito della costituzione fa un po’ di confusione. Quale Costituzione? Quella immaginata o quella che viene calpestata senza ritegno … forse perché non la si conosce -, hanno aggredito le forze dell’ordine, procurando feriti e contusi … una violenza inaudita – quale? Ma che telegiornale ha visto? Ora anche gli studenti hanno i manganelli e si vestono i abiti antisommossa, mentre i piccioni lasciano cadere le uova fuori dal nido - “Cresce, ci informa, la rabbia e l’indignazione tra i cittadini per bene”, cioè, mi chiedo, tra i padri, le mogli, i fratelli, i figli di coloro che stanno protestando per sperare su un futuro migliore?
“È gentaglia” e “un popolo civile come noi siamo, quando si trova in queste situazioni dovrebbe intervenire e menarli perché questi capiscono solo [di essere menati (traduco: quando sono menati. È la conseguenza della premessa)].
Ecco, il paladino della non-violenza, il nuovo Gandhi, ha sentenziato
Qualcuno leggendo le sue considerazioni, potrebbe pensare che il suo è un linguaggio violento, che il suo discorso e un incitamento alla violenza. Ma poi uno si chiede: - Ma vi sembra possibile che un ometto piccolo, così si è definito dopo l’aggressione dell’imprenditore Giuliani, e inoffensivo come lui e di grande cultura, aggiungo, possa solo pensare o incitare alla violenza? Ma non dite stupidate, lui che va in giro con scorta per non fare brutti incontri … ma fatemi il piacere.
Certe volte mi chiedo: - Come mai molti giornalisti di centro destra hanno la scorta e altri no? È un argomento che mi piacerebbe capire.
Concludo, ho già perso troppo tempo, con un detto siciliano:
- “Lu putiaru zoccu havi abbannia”. Traduco letteralmente: “Il bottegaio dà voce a ciò che ha”. Per meglio capire: “Ognuno dà quello che ha”.
P. S.: Vivo sicuramente in un Paese civile i cui semplici cittadini rispettano la Costituzione e le regole. Conosco il significato di poche parole e mi guardo bene dal modificarlo. Desidererei che i miei governanti fossero altrettanto ligi e non pensassero che la democrazia si compia con l’espressione del voto. La democrazia si realizza anche dopo con forme le più diverse di partecipazione I cittadini hanno il diritto di chiedere il confronto con i loro rappresentanti, su quei provvedimenti legislativi determinanti per il vivere civile. Il Parlamento, quindi non è solo il tempio della Costituzione, ma è anche il tempio della democrazia e gli eletti del popolo devono rispondere ad esso in tutti i momenti della legislatura … anche se oggi i parlamentari sono nominati dalle segreterie dei partiti e a queste s’inchinano, purtroppo.
Sto parlando di Emilio Fede, il direttore di Rete quattro, un messinese che sicuramente ricorda ancora qualche parola della sua terra, un mio conterraneo, da cui prendo le distanze, che è molto “civile” come uno dei suoi ultimi tg – ad onor del vero io non guardo mai perché qualche volta che l’ho fatto ho provato vergogna … per lui , s’intende - ci ha mostrato, il cui grado di civiltà emerge ogni qual volta apre bocca. Potrei dire che forse sarebbe bene che la bocca in certi casi la tenesse ben serrata, ma sarei accusato di voler limitare la libertà d’espressione e, in un Paese civile come il nostro, le persone “civili” come il signor Fede hanno diritto di esprimersi … come sanno, anche per farsi conoscere meglio, se ce ne fosse bisogno.
Il signor Fede inizia la sua arringa affermando che “la violenza assunta come protesta sta diventando una moda grazie all’effetto mediatico di certe stampa e di certe televisioni”. Per questo giornalista, sempre misurato nelle parole e chiaro nei concetti, ogni forma di protesta ormai è assimilabile alla violenza. Bisogna protestare civilmente, magari inviando qualche lettera: “ Signor ministro Maroni, ho seguito la procedura per avere il permesso di soggiorno ma ancora lo sto aspettando. Che faccio, aspetto ancora o salgo sulla gru ... mi faccia sapere. Nell’attesa di una sua, la saluto molto distintamente.” Oppure: “Esimia ministra M. S. Gelmini, noi insegnanti universitari, ricercatori precari, noi studenti senza futuro, non condividiamo certi aspetti della sua riforma. Prima che sia approvata dal Parlamento, potremmo avere un confronto civile, s’intende, con lei, così potrà spiegarci perché sono stati stanziati soldi per le scuole e le università private, ma solo per rispondere a quei patetici comunisti che non hanno proposte, studenti ripetenti. In attesa di una sua risposta, senza protestare, come la civiltà prevede, seguiteremo a svolgere i nostri rispettivi ruoli. La preghiamo solamente di non farci attendere troppo. Se vuole, ma solo se vuole, potrebbe suggerirci una forma molto civile di protesta, visto che tra noi ci sono troppi facinorosi, organizzati per bande. Un evidente inchino e un augurio di immensa fortuna”. O, ancora: “ Signor Presidente del consiglio, la fabbrica dove lavoravo con mia moglie ha chiuso perché ha de-localizzato. Ho due bambini e un mutuo … potrebbe risolvere il mio caso umano, magari telefonando ad un suo amico imprenditore o assumendomi come uomo di fatica in una delle sue tante ville? Resto in attesa di una sua risposta. Nel frattempo riascolto una delle sue potentissime barzellette … con simpatia e stima”.
Si sono comportati malissimo gli studenti, fomentati e organizzate dall’estremismo rosso, come il direttore afferma. Hanno occupato dei monumenti o dei tetti delle università, ma come si permettono … mica sono di loro proprietà. Hanno “assalito il Senato”, hanno “violato il tempio della Costituzione - il signor Fede a proposito della costituzione fa un po’ di confusione. Quale Costituzione? Quella immaginata o quella che viene calpestata senza ritegno … forse perché non la si conosce -, hanno aggredito le forze dell’ordine, procurando feriti e contusi … una violenza inaudita – quale? Ma che telegiornale ha visto? Ora anche gli studenti hanno i manganelli e si vestono i abiti antisommossa, mentre i piccioni lasciano cadere le uova fuori dal nido - “Cresce, ci informa, la rabbia e l’indignazione tra i cittadini per bene”, cioè, mi chiedo, tra i padri, le mogli, i fratelli, i figli di coloro che stanno protestando per sperare su un futuro migliore?
“È gentaglia” e “un popolo civile come noi siamo, quando si trova in queste situazioni dovrebbe intervenire e menarli perché questi capiscono solo [di essere menati (traduco: quando sono menati. È la conseguenza della premessa)].
Ecco, il paladino della non-violenza, il nuovo Gandhi, ha sentenziato
Qualcuno leggendo le sue considerazioni, potrebbe pensare che il suo è un linguaggio violento, che il suo discorso e un incitamento alla violenza. Ma poi uno si chiede: - Ma vi sembra possibile che un ometto piccolo, così si è definito dopo l’aggressione dell’imprenditore Giuliani, e inoffensivo come lui e di grande cultura, aggiungo, possa solo pensare o incitare alla violenza? Ma non dite stupidate, lui che va in giro con scorta per non fare brutti incontri … ma fatemi il piacere.
Certe volte mi chiedo: - Come mai molti giornalisti di centro destra hanno la scorta e altri no? È un argomento che mi piacerebbe capire.
Concludo, ho già perso troppo tempo, con un detto siciliano:
- “Lu putiaru zoccu havi abbannia”. Traduco letteralmente: “Il bottegaio dà voce a ciò che ha”. Per meglio capire: “Ognuno dà quello che ha”.
P. S.: Vivo sicuramente in un Paese civile i cui semplici cittadini rispettano la Costituzione e le regole. Conosco il significato di poche parole e mi guardo bene dal modificarlo. Desidererei che i miei governanti fossero altrettanto ligi e non pensassero che la democrazia si compia con l’espressione del voto. La democrazia si realizza anche dopo con forme le più diverse di partecipazione I cittadini hanno il diritto di chiedere il confronto con i loro rappresentanti, su quei provvedimenti legislativi determinanti per il vivere civile. Il Parlamento, quindi non è solo il tempio della Costituzione, ma è anche il tempio della democrazia e gli eletti del popolo devono rispondere ad esso in tutti i momenti della legislatura … anche se oggi i parlamentari sono nominati dalle segreterie dei partiti e a queste s’inchinano, purtroppo.
24 novembre 2010
L'osceno normalizzato
di BARBARA SPINELLI Ci fu un tempo, non lontano, in cui era vero scandalo, per un politico, dare a un uomo di mafia il bacio della complicità. Il solo sospetto frenò l'ascesa al Quirinale di Andreotti, riabilitato poi dal ceto politico ma non necessariamente dagli italiani né dalla magistratura, che estinse per prescrizione il reato di concorso in associazione mafiosa ma ne certificò la sussistenza fino al 1980. Quel sospetto brucia, dopo anni, e anche se non è provato ha aperto uno spiraglio sulla verità di un lungo sodalizio con la Cupola. Chi legga oggi le motivazioni della condanna in secondo grado di Dell'Utri avrà una strana impressione: lo scandalo è divenuto normalità, il tremendo s'è fatto banale e scuote poco gli animi.
Nella villa di Arcore e negli uffici di Edilnord che Berlusconi - futuro Premier - aveva a Milano, entravano e uscivano con massima disinvoltura Stefano Bontate, Gaetano Cinà, Mimmo Teresi, Vittorio Mangano, mafiosi di primo piano: per quasi vent'anni, almeno fino al '92. Dell'Utri, suo braccio destro, era non solo il garante di tutti costoro ma il luogotenente-ambasciatore. Fu nell'incontro a Milano della primavera '74 che venne deciso di mandare ad Arcore Mangano: che dovremmo smettere di chiamare stalliere perché fu il custode mafioso e il ricattatore del Cavaliere. Quest'ultimo lo sapeva, se è vero che fu Bontate in persona, nel vertice milanese, a promettergli il distaccamento a Arcore d'un "uomo di garanzia".
La sentenza attesta che Berlusconi era legato a quel mondo parallelo, oscuro: ogni anno versava 50 milioni di lire, fatti pervenire a Bontate (nell'87 Riina chiederà il doppio). A questo pizzo s'aggiunga il "regalo" a Riina (5 milioni) per "aggiustare la situazione delle antenne televisive" in Sicilia. Fu Dell'Utri, ancor oggi senatore di cui nessuno chiede l'allontanamento, a consigliare nel 1993 la discesa in politica. Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, dirà che altrimenti il Cavaliere sarebbe "finito sotto i ponti o in galera per mafia" (la Repubblica, 25-6-2000). Il 10 febbraio 2010 Dell'Utri, in un'intervista a Beatrice Borromeo sul Fatto, spiega: "A me della politica non frega niente, io mi sono candidato per non finire in galera".
C'è dell'osceno in questo mondo parallelo, che non è nuovo ma oggi non è più relegato fuori scena, per prudenza o gusto. Oggi, il bacio lo si dà in Parlamento, come Alessandra Mussolini che bacia Cosentino indagato per camorra. Dacci oggi il nostro osceno quotidiano. Questo il paternoster che regna - nella Mafia le preghiere contano, spiega il teologo Augusto Cavadi - presso il Premier: vittima di ricatti, uomo non libero, incapace di liberarsi di personaggi loschi come Dell'Utri o il coordinatore Pdl in Campania Cosentino. Ai tempi di Andreotti non ci sarebbe stato un autorevole commentatore che afferma, come Giuliano Ferrara nel 2002 su Micromega: "Il punto fondamentale non è che tu devi essere capace di ricattare, è che tu devi essere ricattabile (...) Per fare politica devi stare dentro un sistema che ti accetta perché sei disponibile a fare fronte, a essere compartecipe di un meccanismo comunitario e associativo attraverso cui si selezionano le classi dirigenti. (...) Il giudice che decide il livello e la soglia di tollerabilità di questi comportamenti è il corpo elettorale".
Il corpo elettorale non ha autonoma dignità, ma è sprezzato nel momento stesso in cui lo si esalta: è usato, umiliato, tramutato in palo di politici infettati dalla mafia. Gli stranieri che si stupiscono degli italiani più che di Berlusconi trascurano spesso l'influenza che tutto ciò ha avuto sui cervelli: quanto pensiero prigioniero, ma anche quanta insicurezza e vergogna di fondo possa nascere da questo sprezzo metodico, esibito.
Ai tempi di Andreotti non conoscemmo la perversione odierna: vali se ti pagano. La mazzetta ti dà valore, potere, prestigio. Non sei nessuno se non ti ricattano. L'1 agosto 1998, Montanelli scrisse sul Corriere una lettera a Franco Modigliani, premio Nobel dell'economia: "Dopo tanti secoli che la pratichiamo, sotto il magistero di nostra Santa Madre Chiesa, ineguagliabile maestra d'indulgenze, perdoni e condoni, noi italiani siamo riusciti a corrompere anche la corruzione e a stabilire con essa il rapporto di pacifica convivenza che alcuni popoli africani hanno stabilito con la sifilide, ormai diventata nel loro sangue un'afflizioncella di ordine genetico senza più gravi controindicazioni".
In realtà le controindicazioni ci sono: gli italiani intuiscono i danni non solo etici dell'illegalità. Da settimane Berlusconi agita lo spettro di una guerra civile se lo spodestano: guerra che nella crisi attuale - fa capire - potrebbe degenerare in collasso greco. È l'atomica che il Cavaliere brandisce contro Napolitano, Fini, Casini, il Pd, i media. I mercati diventano arma: "Se non vi adeguate ve li scateno contro". Sono lo spauracchio che ieri fu il terrorismo: un dispositivo della politica della paura. Poco importa se l'ordigno infine non funzionerà: l'atomica dissuade intimidendo, non agendo. Il mistero è la condiscendenza degli italiani, i consensi ancora dati a Berlusconi. Ma è anche un mistero la loro ansia di cambiare, di esser diversi. Il loro giudizio è netto: affondano il Pdl come il Pd. Premiano i piccoli ribelli: Italia dei Valori, Futuro e Libertà. Se interrogati, applaudirebbero probabilmente le due donne - Veronica Lario, Mara Carfagna - che hanno denunciato il "ciarpame senza pudore" del Cavaliere, e le "guerre per bande" orchestrate da Cosentino. Se interrogati, immagino approverebbero Saviano, indifferenti all'astio che suscita per il solo fatto che impersona un'Italia che ama molto le persone oneste, l'antimafia di Don Ciotti, il parlar vero.
Questa normalizzazione dell'osceno è la vita che viviamo, nella quale politica e occulto sono separati in casa e non è chiaro, quale sia il mondo reale e quale l'apparente. Chi ha visto Essi Vivono, il film di John Carpenter, può immaginare tale condizione anfibia. La doppia vita italiana non nasce con Berlusconi, e uscirne vuol dire ammettere che destra e sinistra hanno più volte accettato patti mafiosi. C'è molto da chiarire, a distanza di anni, su quel che avvenne dopo l'assassinio di Falcone e Borsellino. In particolare, sulla decisione che il ministro della giustizia Conso prese nel novembre '92 - condividendo le opinioni del ministro dell'Interno Mancino e del capo della polizia Parisi - di abolire il carcere duro (41bis) a 140 mafiosi, con la scusa che esisteva nella Mafia una corrente anti-stragi favorevole a trattative. Congetturare è azzardato, ma si può supporre che da allora viviamo all'ombra di un patto.
Il patto non è obbligatoriamente formale. L'universo parallelo ha le sue opache prudenze, ma esiste e contamina la sinistra. In Sicilia, anch'essa sembra costretta a muoversi nel perimetro dell'osceno. Osceno è l'accordo con la giunta Lombardo, presidente della Regione, indagato per "concorso esterno in associazione mafiosa". Osceno e tragico, perché avviene nella ricerca di un voto di sfiducia a Berlusconi.
Non si può non avere un linguaggio inequivocabile, sulla legalità. Non ci si può comportare impunemente come quando gli americani s'intesero con la Mafia per liberare l'Italia. L'accordo, scrive il magistrato Ingroia, fu liberatore ma ebbe l'effetto di rendere "antifascisti i mafiosi, assicurando loro un duraturo potere d'influenza". Non è chiaro quel che occorra fare, ma qualcosa bisogna dire, promettere. Non qualcosa "di sinistra", ma di ben più essenziale: l'era in cui la Mafia infiltrava la politica finirà, la legalità sarà la nuova cultura italiana.
Fino a che non dirà questo il Pd è votato a fallire. Proclamerà di essere riformista, con "vocazione maggioritaria", ma l'essenza la mancherà. Non sarà il parlare onesto che i cittadini in fondo amano. Si tratta di salvare non l'anima, ma l'Italia da un lungo torbido. Sarebbe la sua seconda liberazione, dopo il '45 e la Costituzione. Sennò avrà avuto ragione Herbert Matthew, il giornalista Usa che nel novembre '44, sul mensile Mercurio, scrisse parole indimenticabili sul fascismo: "È un mostro col capo d'idra. Non crediate d'averlo ucciso".
(24 NOVEMBRE 2010 DA WWW.REPUBBLICA IT
Nella villa di Arcore e negli uffici di Edilnord che Berlusconi - futuro Premier - aveva a Milano, entravano e uscivano con massima disinvoltura Stefano Bontate, Gaetano Cinà, Mimmo Teresi, Vittorio Mangano, mafiosi di primo piano: per quasi vent'anni, almeno fino al '92. Dell'Utri, suo braccio destro, era non solo il garante di tutti costoro ma il luogotenente-ambasciatore. Fu nell'incontro a Milano della primavera '74 che venne deciso di mandare ad Arcore Mangano: che dovremmo smettere di chiamare stalliere perché fu il custode mafioso e il ricattatore del Cavaliere. Quest'ultimo lo sapeva, se è vero che fu Bontate in persona, nel vertice milanese, a promettergli il distaccamento a Arcore d'un "uomo di garanzia".
La sentenza attesta che Berlusconi era legato a quel mondo parallelo, oscuro: ogni anno versava 50 milioni di lire, fatti pervenire a Bontate (nell'87 Riina chiederà il doppio). A questo pizzo s'aggiunga il "regalo" a Riina (5 milioni) per "aggiustare la situazione delle antenne televisive" in Sicilia. Fu Dell'Utri, ancor oggi senatore di cui nessuno chiede l'allontanamento, a consigliare nel 1993 la discesa in politica. Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, dirà che altrimenti il Cavaliere sarebbe "finito sotto i ponti o in galera per mafia" (la Repubblica, 25-6-2000). Il 10 febbraio 2010 Dell'Utri, in un'intervista a Beatrice Borromeo sul Fatto, spiega: "A me della politica non frega niente, io mi sono candidato per non finire in galera".
C'è dell'osceno in questo mondo parallelo, che non è nuovo ma oggi non è più relegato fuori scena, per prudenza o gusto. Oggi, il bacio lo si dà in Parlamento, come Alessandra Mussolini che bacia Cosentino indagato per camorra. Dacci oggi il nostro osceno quotidiano. Questo il paternoster che regna - nella Mafia le preghiere contano, spiega il teologo Augusto Cavadi - presso il Premier: vittima di ricatti, uomo non libero, incapace di liberarsi di personaggi loschi come Dell'Utri o il coordinatore Pdl in Campania Cosentino. Ai tempi di Andreotti non ci sarebbe stato un autorevole commentatore che afferma, come Giuliano Ferrara nel 2002 su Micromega: "Il punto fondamentale non è che tu devi essere capace di ricattare, è che tu devi essere ricattabile (...) Per fare politica devi stare dentro un sistema che ti accetta perché sei disponibile a fare fronte, a essere compartecipe di un meccanismo comunitario e associativo attraverso cui si selezionano le classi dirigenti. (...) Il giudice che decide il livello e la soglia di tollerabilità di questi comportamenti è il corpo elettorale".
Il corpo elettorale non ha autonoma dignità, ma è sprezzato nel momento stesso in cui lo si esalta: è usato, umiliato, tramutato in palo di politici infettati dalla mafia. Gli stranieri che si stupiscono degli italiani più che di Berlusconi trascurano spesso l'influenza che tutto ciò ha avuto sui cervelli: quanto pensiero prigioniero, ma anche quanta insicurezza e vergogna di fondo possa nascere da questo sprezzo metodico, esibito.
Ai tempi di Andreotti non conoscemmo la perversione odierna: vali se ti pagano. La mazzetta ti dà valore, potere, prestigio. Non sei nessuno se non ti ricattano. L'1 agosto 1998, Montanelli scrisse sul Corriere una lettera a Franco Modigliani, premio Nobel dell'economia: "Dopo tanti secoli che la pratichiamo, sotto il magistero di nostra Santa Madre Chiesa, ineguagliabile maestra d'indulgenze, perdoni e condoni, noi italiani siamo riusciti a corrompere anche la corruzione e a stabilire con essa il rapporto di pacifica convivenza che alcuni popoli africani hanno stabilito con la sifilide, ormai diventata nel loro sangue un'afflizioncella di ordine genetico senza più gravi controindicazioni".
In realtà le controindicazioni ci sono: gli italiani intuiscono i danni non solo etici dell'illegalità. Da settimane Berlusconi agita lo spettro di una guerra civile se lo spodestano: guerra che nella crisi attuale - fa capire - potrebbe degenerare in collasso greco. È l'atomica che il Cavaliere brandisce contro Napolitano, Fini, Casini, il Pd, i media. I mercati diventano arma: "Se non vi adeguate ve li scateno contro". Sono lo spauracchio che ieri fu il terrorismo: un dispositivo della politica della paura. Poco importa se l'ordigno infine non funzionerà: l'atomica dissuade intimidendo, non agendo. Il mistero è la condiscendenza degli italiani, i consensi ancora dati a Berlusconi. Ma è anche un mistero la loro ansia di cambiare, di esser diversi. Il loro giudizio è netto: affondano il Pdl come il Pd. Premiano i piccoli ribelli: Italia dei Valori, Futuro e Libertà. Se interrogati, applaudirebbero probabilmente le due donne - Veronica Lario, Mara Carfagna - che hanno denunciato il "ciarpame senza pudore" del Cavaliere, e le "guerre per bande" orchestrate da Cosentino. Se interrogati, immagino approverebbero Saviano, indifferenti all'astio che suscita per il solo fatto che impersona un'Italia che ama molto le persone oneste, l'antimafia di Don Ciotti, il parlar vero.
Questa normalizzazione dell'osceno è la vita che viviamo, nella quale politica e occulto sono separati in casa e non è chiaro, quale sia il mondo reale e quale l'apparente. Chi ha visto Essi Vivono, il film di John Carpenter, può immaginare tale condizione anfibia. La doppia vita italiana non nasce con Berlusconi, e uscirne vuol dire ammettere che destra e sinistra hanno più volte accettato patti mafiosi. C'è molto da chiarire, a distanza di anni, su quel che avvenne dopo l'assassinio di Falcone e Borsellino. In particolare, sulla decisione che il ministro della giustizia Conso prese nel novembre '92 - condividendo le opinioni del ministro dell'Interno Mancino e del capo della polizia Parisi - di abolire il carcere duro (41bis) a 140 mafiosi, con la scusa che esisteva nella Mafia una corrente anti-stragi favorevole a trattative. Congetturare è azzardato, ma si può supporre che da allora viviamo all'ombra di un patto.
Il patto non è obbligatoriamente formale. L'universo parallelo ha le sue opache prudenze, ma esiste e contamina la sinistra. In Sicilia, anch'essa sembra costretta a muoversi nel perimetro dell'osceno. Osceno è l'accordo con la giunta Lombardo, presidente della Regione, indagato per "concorso esterno in associazione mafiosa". Osceno e tragico, perché avviene nella ricerca di un voto di sfiducia a Berlusconi.
Non si può non avere un linguaggio inequivocabile, sulla legalità. Non ci si può comportare impunemente come quando gli americani s'intesero con la Mafia per liberare l'Italia. L'accordo, scrive il magistrato Ingroia, fu liberatore ma ebbe l'effetto di rendere "antifascisti i mafiosi, assicurando loro un duraturo potere d'influenza". Non è chiaro quel che occorra fare, ma qualcosa bisogna dire, promettere. Non qualcosa "di sinistra", ma di ben più essenziale: l'era in cui la Mafia infiltrava la politica finirà, la legalità sarà la nuova cultura italiana.
Fino a che non dirà questo il Pd è votato a fallire. Proclamerà di essere riformista, con "vocazione maggioritaria", ma l'essenza la mancherà. Non sarà il parlare onesto che i cittadini in fondo amano. Si tratta di salvare non l'anima, ma l'Italia da un lungo torbido. Sarebbe la sua seconda liberazione, dopo il '45 e la Costituzione. Sennò avrà avuto ragione Herbert Matthew, il giornalista Usa che nel novembre '44, sul mensile Mercurio, scrisse parole indimenticabili sul fascismo: "È un mostro col capo d'idra. Non crediate d'averlo ucciso".
(24 NOVEMBRE 2010 DA WWW.REPUBBLICA IT
18 novembre 2010
Tratto dal Blog | di Paolo Farinella
18 novembre 2010
L’”ammucchiata” che salverà B.
Scorrendo i giornali sembra ventilarsi una ipotesi che se fosse vera, ma credo che la «grande ammucchiata» l’abbia già deciso, sarebbe la negazione di vent’anni di lotta contro il berlusconismo e la morte definitiva del concetto stesso di «Diritto». Se il Pd sta a questo gioco perverso e a questa soluzione tragica, è meglio che vada a ibernarsi al polo nord.
L’ipotesi è: per convincere Berlusconi a farsi da parte e a rassegnare le dimissioni per permettere alla destra berlusconista e finiana di fare un nuovo governo con un programma di destra, appoggiato dagli stessi berlusconisti (con Berlusocni dietro le quinte), gli si confeziona un salvacondotto definitivo, per cui anche se non è più presidente del Consiglio «si slava dai tribunali» e se ne può andare a spasso come se niente fosse stato. Berlusconi, imputato di reati gravissimi commessi da cittadino senza incarichi politici, è assolto dalla politica, buttando al macero codici di procedura, sentenze della Corte e la stessa carta straccia della Costituzione.
In questo modo, Berlusconi ha raggiunto il suo obiettivo, il solo per cui è entrato in politica: salvarsi dal carcere e salvare le sue aziende, cioè i suoi delittuosi guadagni. Non deve fare nemmeno lo sforzo di una legge apposita, perché «la grande ammucchiata» da sinistra e da destra che sono ben felici di attribuire questa «porcata» alla sinistra gli faranno il regalo di Natale che più desidera: essere impunito per oggi, per domani e per sempre.
Se il Pd e chiunque altro che fino ad oggi si è battuto per la sopravvivenza dello Stato di Diritto, credono di essere furbi, è meglio che recedano e non si lascino nemmeno tentare da una simile ignobile e ributtante ipotesi. Noi non possiamo accettarlo. Noi non possiamo tollerarlo. Noi ci opporremo con la forza della nostra onestà e con lo spessore della nostra dignità con le quali abbiamo combattuto una battaglia impari, mentre deputati e senatori cincischiavano tra loro camarille e interessi e riscuotendo alla fine di ogni santo mese un lauto compenso non inferiore a € 20.000,00 mentre noi pagavamo di tasca nostra ogni iniziativa e ogni trasferta.
Berlusconi deve andarsene perché ha fatto fallire il Paese e perché ha fallito anche il suo programma che partiva dai suoi interessi personali e finiva ai suoi interessi personali. Qualunque salvacondotto non è solo illecito, ma è indegno e immorale e nessuno si azzardi a pensarlo perché si troverà contro un muro di onestà e una diga di indignazione che li travolgerà tutti quanti. Se vogliono sfidare l’ira degli onesti lo facciano, ma sappiano che ne pagheranno le conseguenze amaramente. Berlusconi deve semplicemente essere processato, e se è colpevole, deve essere condannato: nessun salvacondotto di transizione o per qualsiasi altro motivo è lecito e tollerabile. Il principio semplice e trasparente della innocenza/assoluzione e colpevole/condannato deve restare integro e nessuno lo può stravolgere, nemmeno per mandare via Berlusconi «prima del tempo» e nemmeno per paura che egli voglia fare la politica del «muoia Sansone con tutti i Filistei».
Nemmeno in politica il fine giustifica i mezzi. Lo dovrebbero sapere i signori cardinali che hanno tenuto bordone a un individuo ripugnante moralmente, insano politicamente e riprovevole socialmente. Lo sanno anche i figliocci dei cardinali che bevono acqua benedetta dalla mattina alla sera, baciano pile con devozione e poi fanno affari illeciti e immorali: «le loro mani grondano sangue» e nessuna acqua benedetta o rancida li potrà mai lavare. Nessuno si azzardi a salvare Berlusconi per facilitarne l’uscita perché un salvacondotto «per breviorem», potrebbe essere un’arma nelle sue mani per rientrare alla prima occasione che, immorale come è, non esiterà a creare. I suoi manutengoli, infatti, sono a sua immagine e somiglianza: complici in corruzione e manomissione di verità.
Una volta ottenuto il salvacondotto «tombale», chi potrà impedirgli di ritornare in gioco e aspirare alla presidenza della Repubblica? Chi è così stupido da fidarsi degli uomini e donne (queste poi!) di destra? Chi garantisce che non sia una trappola? L’unico che ne beneficia è Berlusconi. Possibile che la bicamerale di D’Alema non abbia insegnato nulla e che questi ultimi sedici anni siano passati invano? Se qualcuno si assume il compito di salvare Berlusconi dai processi a cui deve soggiacere in forza del primo comma dell’articolo 3 della Costituzione, si assume l’onere della vergogna e della gogna e porterà il peso morale e politico di avere minato dalle fondamenta l’architrave della Costituzione suprema di una Repubblica decente: «Tutti i cittadini sono uguali davanti alla Legge». Tolto questo architrave, tutto l’impianto non è che una manciata di macerie: la Pompei del Diritto.
«Quod non fecererunt barbari, fecerunt Barberini» sentenziarono i Romani contro Urbano VIII che, tra gli scempi edilizi e le malefatte indicibili, nel 1625 fece fondere i bronzi antichi del Pantheon per fare i cannoni di Castel Sant’Angelo. Spero e prego che nessun altro «Barberino» voglia fondere la decenza democratica e la sovranità del Diritto e farne un cannone di inciviltà da mettere nelle mani di un delinquente, di un ladro, di un evasore, di un corrotto, di un corruttore, di un immorale come Silvio Berlusconi.
La corruzione del berlusconismo è arrivata così in profondità da inquinare anche le falde profonde della vita democratica: se anche la sinistra simil-pelle arriva a pensare di aggirare la Legge per salvare un delinquente potente, è segno che questo Paese non può più salvarsi, ma avrà bisogno di una batosta epocale che azzeri tutto e faccia ripartire su basi nuove che sono quelle antiche: la Costituzione Italiana e la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo dell’Onu. Il Pd e gli illusi illusionisti di turno sono avvertiti. Le prossime elezioni potrebbero essere uno tzunami che, per loro, salvatori di Berlusconi motu proprio, sarà senza ciambella di salvataggio.
18 novembre 2010
L’”ammucchiata” che salverà B.
Scorrendo i giornali sembra ventilarsi una ipotesi che se fosse vera, ma credo che la «grande ammucchiata» l’abbia già deciso, sarebbe la negazione di vent’anni di lotta contro il berlusconismo e la morte definitiva del concetto stesso di «Diritto». Se il Pd sta a questo gioco perverso e a questa soluzione tragica, è meglio che vada a ibernarsi al polo nord.
L’ipotesi è: per convincere Berlusconi a farsi da parte e a rassegnare le dimissioni per permettere alla destra berlusconista e finiana di fare un nuovo governo con un programma di destra, appoggiato dagli stessi berlusconisti (con Berlusocni dietro le quinte), gli si confeziona un salvacondotto definitivo, per cui anche se non è più presidente del Consiglio «si slava dai tribunali» e se ne può andare a spasso come se niente fosse stato. Berlusconi, imputato di reati gravissimi commessi da cittadino senza incarichi politici, è assolto dalla politica, buttando al macero codici di procedura, sentenze della Corte e la stessa carta straccia della Costituzione.
In questo modo, Berlusconi ha raggiunto il suo obiettivo, il solo per cui è entrato in politica: salvarsi dal carcere e salvare le sue aziende, cioè i suoi delittuosi guadagni. Non deve fare nemmeno lo sforzo di una legge apposita, perché «la grande ammucchiata» da sinistra e da destra che sono ben felici di attribuire questa «porcata» alla sinistra gli faranno il regalo di Natale che più desidera: essere impunito per oggi, per domani e per sempre.
Se il Pd e chiunque altro che fino ad oggi si è battuto per la sopravvivenza dello Stato di Diritto, credono di essere furbi, è meglio che recedano e non si lascino nemmeno tentare da una simile ignobile e ributtante ipotesi. Noi non possiamo accettarlo. Noi non possiamo tollerarlo. Noi ci opporremo con la forza della nostra onestà e con lo spessore della nostra dignità con le quali abbiamo combattuto una battaglia impari, mentre deputati e senatori cincischiavano tra loro camarille e interessi e riscuotendo alla fine di ogni santo mese un lauto compenso non inferiore a € 20.000,00 mentre noi pagavamo di tasca nostra ogni iniziativa e ogni trasferta.
Berlusconi deve andarsene perché ha fatto fallire il Paese e perché ha fallito anche il suo programma che partiva dai suoi interessi personali e finiva ai suoi interessi personali. Qualunque salvacondotto non è solo illecito, ma è indegno e immorale e nessuno si azzardi a pensarlo perché si troverà contro un muro di onestà e una diga di indignazione che li travolgerà tutti quanti. Se vogliono sfidare l’ira degli onesti lo facciano, ma sappiano che ne pagheranno le conseguenze amaramente. Berlusconi deve semplicemente essere processato, e se è colpevole, deve essere condannato: nessun salvacondotto di transizione o per qualsiasi altro motivo è lecito e tollerabile. Il principio semplice e trasparente della innocenza/assoluzione e colpevole/condannato deve restare integro e nessuno lo può stravolgere, nemmeno per mandare via Berlusconi «prima del tempo» e nemmeno per paura che egli voglia fare la politica del «muoia Sansone con tutti i Filistei».
Nemmeno in politica il fine giustifica i mezzi. Lo dovrebbero sapere i signori cardinali che hanno tenuto bordone a un individuo ripugnante moralmente, insano politicamente e riprovevole socialmente. Lo sanno anche i figliocci dei cardinali che bevono acqua benedetta dalla mattina alla sera, baciano pile con devozione e poi fanno affari illeciti e immorali: «le loro mani grondano sangue» e nessuna acqua benedetta o rancida li potrà mai lavare. Nessuno si azzardi a salvare Berlusconi per facilitarne l’uscita perché un salvacondotto «per breviorem», potrebbe essere un’arma nelle sue mani per rientrare alla prima occasione che, immorale come è, non esiterà a creare. I suoi manutengoli, infatti, sono a sua immagine e somiglianza: complici in corruzione e manomissione di verità.
Una volta ottenuto il salvacondotto «tombale», chi potrà impedirgli di ritornare in gioco e aspirare alla presidenza della Repubblica? Chi è così stupido da fidarsi degli uomini e donne (queste poi!) di destra? Chi garantisce che non sia una trappola? L’unico che ne beneficia è Berlusconi. Possibile che la bicamerale di D’Alema non abbia insegnato nulla e che questi ultimi sedici anni siano passati invano? Se qualcuno si assume il compito di salvare Berlusconi dai processi a cui deve soggiacere in forza del primo comma dell’articolo 3 della Costituzione, si assume l’onere della vergogna e della gogna e porterà il peso morale e politico di avere minato dalle fondamenta l’architrave della Costituzione suprema di una Repubblica decente: «Tutti i cittadini sono uguali davanti alla Legge». Tolto questo architrave, tutto l’impianto non è che una manciata di macerie: la Pompei del Diritto.
«Quod non fecererunt barbari, fecerunt Barberini» sentenziarono i Romani contro Urbano VIII che, tra gli scempi edilizi e le malefatte indicibili, nel 1625 fece fondere i bronzi antichi del Pantheon per fare i cannoni di Castel Sant’Angelo. Spero e prego che nessun altro «Barberino» voglia fondere la decenza democratica e la sovranità del Diritto e farne un cannone di inciviltà da mettere nelle mani di un delinquente, di un ladro, di un evasore, di un corrotto, di un corruttore, di un immorale come Silvio Berlusconi.
La corruzione del berlusconismo è arrivata così in profondità da inquinare anche le falde profonde della vita democratica: se anche la sinistra simil-pelle arriva a pensare di aggirare la Legge per salvare un delinquente potente, è segno che questo Paese non può più salvarsi, ma avrà bisogno di una batosta epocale che azzeri tutto e faccia ripartire su basi nuove che sono quelle antiche: la Costituzione Italiana e la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo dell’Onu. Il Pd e gli illusi illusionisti di turno sono avvertiti. Le prossime elezioni potrebbero essere uno tzunami che, per loro, salvatori di Berlusconi motu proprio, sarà senza ciambella di salvataggio.
13 novembre 2010
UNA POLITICA PICCOLA PICCOLA n° 7
L’ancienne regime e la Rivoluzione
“Una politica piccola piccola” non basta più a identificare questa fase storica in cui la politica ormai non esiste, le regole sono scritte ma non vengono rispettate e i “politici” si comportano come se si stessero movendo dentro una farsa teatrale, dimenticando che il Paese è precipitato nel dramma assoluto.
Il governo col suo Presidente è latitante. Non c’è famiglia che non sia toccata dalla crisi economica e sociale; non c’è istituzione che non sia toccata dalla crisi morale.
Mi chiedo come sia possibile superare una crisi economica gravissima, se questa è sovrastata da una crisi morale devastante, che investe tutti gangli del potere. Dalla prima si può uscire, dalla seconda, considerando gli attori, è molto difficile, quasi – un “quasi” di ottimismo - non c’è speranza.
Mi sembra di essere nella Francia di Luigi XVI e di Maria Antonietta. Il popolo moriva letteralmente di fame e la regina indicava nelle brioss la soluzione; il popolo protestava i propri diritti e veniva aggredito dall’esercito; i cittadini più illuminati raccoglievano le rivendicazioni nei cahier des doleances e a Versailles ci si divertiva in feste sfarzose; l’ancienne regime era alla fine e nei palazzi del potere le giornate passavano tra luci e musica.
Potevano evitare la rivoluzione? Forse sì. Ma il re e la corte ormai vivevano lontani dai problemi, la casta a Versailles non sentiva il dolore, non conosceva i problemi in cui si dibatteva la popolazione, non capiva perché ormai anche quel sottile filo di moralità che portava al rispetto dell’altro era reciso.
Le tasse erano i pochi a pagarle – la Chiesa e la nobiltà erano esenti e non solo –, gli appalti erano gestiti allegramente; la delinquenza dilagava; i ricchi divenivano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, se alla povertà è possibile dare un segno più.
Nei nostri palazzi sembra andare in scena l’ancienne regime. Gli attori con i loro vizi ci sono tutti, appalti gonfiati, furti legalizzati, combriccole, lobby, affaristi, crimine …
Cosa ci manca per sentirci nella Francia della vigilia della Rivoluzione?
Forse niente, forse poco … chissà! Un fatto, però, è certo: da noi la classe politica sta andando verso il suicidio senza accorgersi, ammantata in quella furbizia bizantina che pensano li metta al riparo dalle brutte sorprese. Si credono immortali e sono con la bava alla bocca.
Un’aggravante hanno i nostri politici. Sono cattolici professanti e perciò conoscono la frase pronunciata da Sansone: “Muore Sansone con tutti i Filistei”.
La paura oggi è che i nostri grandi statisti pur di non lasciare il potere commetta una serie di azioni strampalate e poi non riescano a fermarne la deriva, buttando il paese nel caos politico e istituzionale, verso soluzioni violente di regime.
Basta guardare alle due mozioni presentare in Parlamento: una di sfiducie del Pd e IdV alla Camera e l’altra di fiducia del Pdl al Senato. Il tutto per rendere ingovernabile la crisi che già c’è ed è abbastanza grave.
La Rivoluzione Francese ha avuto una sua grandezza …
“Una politica piccola piccola” non basta più a identificare questa fase storica in cui la politica ormai non esiste, le regole sono scritte ma non vengono rispettate e i “politici” si comportano come se si stessero movendo dentro una farsa teatrale, dimenticando che il Paese è precipitato nel dramma assoluto.
Il governo col suo Presidente è latitante. Non c’è famiglia che non sia toccata dalla crisi economica e sociale; non c’è istituzione che non sia toccata dalla crisi morale.
Mi chiedo come sia possibile superare una crisi economica gravissima, se questa è sovrastata da una crisi morale devastante, che investe tutti gangli del potere. Dalla prima si può uscire, dalla seconda, considerando gli attori, è molto difficile, quasi – un “quasi” di ottimismo - non c’è speranza.
Mi sembra di essere nella Francia di Luigi XVI e di Maria Antonietta. Il popolo moriva letteralmente di fame e la regina indicava nelle brioss la soluzione; il popolo protestava i propri diritti e veniva aggredito dall’esercito; i cittadini più illuminati raccoglievano le rivendicazioni nei cahier des doleances e a Versailles ci si divertiva in feste sfarzose; l’ancienne regime era alla fine e nei palazzi del potere le giornate passavano tra luci e musica.
Potevano evitare la rivoluzione? Forse sì. Ma il re e la corte ormai vivevano lontani dai problemi, la casta a Versailles non sentiva il dolore, non conosceva i problemi in cui si dibatteva la popolazione, non capiva perché ormai anche quel sottile filo di moralità che portava al rispetto dell’altro era reciso.
Le tasse erano i pochi a pagarle – la Chiesa e la nobiltà erano esenti e non solo –, gli appalti erano gestiti allegramente; la delinquenza dilagava; i ricchi divenivano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, se alla povertà è possibile dare un segno più.
Nei nostri palazzi sembra andare in scena l’ancienne regime. Gli attori con i loro vizi ci sono tutti, appalti gonfiati, furti legalizzati, combriccole, lobby, affaristi, crimine …
Cosa ci manca per sentirci nella Francia della vigilia della Rivoluzione?
Forse niente, forse poco … chissà! Un fatto, però, è certo: da noi la classe politica sta andando verso il suicidio senza accorgersi, ammantata in quella furbizia bizantina che pensano li metta al riparo dalle brutte sorprese. Si credono immortali e sono con la bava alla bocca.
Un’aggravante hanno i nostri politici. Sono cattolici professanti e perciò conoscono la frase pronunciata da Sansone: “Muore Sansone con tutti i Filistei”.
La paura oggi è che i nostri grandi statisti pur di non lasciare il potere commetta una serie di azioni strampalate e poi non riescano a fermarne la deriva, buttando il paese nel caos politico e istituzionale, verso soluzioni violente di regime.
Basta guardare alle due mozioni presentare in Parlamento: una di sfiducie del Pd e IdV alla Camera e l’altra di fiducia del Pdl al Senato. Il tutto per rendere ingovernabile la crisi che già c’è ed è abbastanza grave.
La Rivoluzione Francese ha avuto una sua grandezza …
24 ottobre 2010
UNA POLITICA PICCOLA PICCOLA n° 6
Su quello che ostinatamente i politici e i commentatori continuano a chiamare “lodo Alfano costituzionale”, ma potrebbero chiamare, molto più realisticamente per il cittadino distratto “lodo Berlusconi c.” o “lodo Silvio c.” o “lodo Fini c.” o, perché no, “lodo Casini c.”, ho già scritto, ma voglio fare qualche integrazione.
Innanzitutto, molti l’hanno già detto e scritto, ma voglio ripeterlo, repetita iuvant, il termine lodo è usato molto scorrettamente … in modo approssimativo, come approssimativa è la politica finora espressa dal governo in carica.
Lodo (dal dizionario Garzanti): “Decisione emessa collegialmente e per iscritto da arbitri di una vertenza, che diventa esecutiva per decreto del pretore”.
La definizione è fin troppo chiara.
Degli “arbitri” sono chiamati a dirimere una vertenza.
Quale vertenza e tra chi?
La vertenza la conosciamo abbastanza bene, quindici anni di discussioni e di litigi istituzionali: il presidente del consiglio ha, per essere più uguale del resto dei cittadini italiani, bisogno di uno scudo dalla giustizia (e le leggi ad personam? … lasciamo perdere!), insomma non può essere giudicato nemmeno per i reati commessi ante, cioè prima della sua discesa in politica, e che tuttora sono in attesa di sentenza o … di prescrizione.
Il mio amico mi fa n0tare che sarebbe più semplice per Berlusconi andare in Tribunale e farsi giudicare, visto che si proclama innocente.
- Vuol dire, rispondo, che il “nostro” presidente ama il percorso più lungo e più irto di ostacoli. Risultare vincitore, combattendo e coinvolgendo parlamento e Paese, gli dà più soddisfazione.
Conosciuto l’oggetto della vertenza, ora occorre conoscere “tra chi”. Le parti in causa sono Silvio Berlusconi, ma questo lo sanno anche i bambini, e lo Stato. Si! Proprio lo Stato, anche se lo stesso Berlusconi e i suoi “bravi (Manzoni non c’entra)” legali, affermano che la controparte sono i giudici, meglio le toghe colorate di rosso, che qualche volta sono indicati come sovversivi.
Niente di strano, ognuno può avere le sue ragioni. Basta dimostrarle nelle sedi istituzionali competenti.
Abbiamo individuato l’oggetto della vertenza e le parti in causa, ora tocca solo agli arbitri, perché la decisione ancora non è stata presa … almeno ufficialmente (lodo Alfano 1, quello bocciato dalla Consulta, e l’attuale legittimo impedimento, sono stati il primo bocciato e il secondo è in scadenza), cioè con legge costituzionale.
Gli arbitri scelti dall’equipe difensiva del presidente del Consiglio sono il ministro della giustizia Alfano e il parlamento, ma solo una parte, la maggioranza e l’Udc di Casini.
Ora si entra in confusione e in evidente conflitto d’interesse. Una parte del parlamento diventa controparte del ministro Alfano ed entrambi sono alla ricerca del giusto (?) giudizio. Alfano fa la proposta e il loro parlamento l’approva. E l’opposizione, che ci sta a fare? Meglio l’altra parte del parlamento quale ruolo è chiamata ad assumere?
Penso che il parlamento non sia abilitato a giudicare nessuno, né tantomeno può emettere delle leggi anticostituzionali, né delegittimare la magistratura, né evitare il giudizio della legge a un cittadino italiano, solo per il fatto di essere il presidente del Consiglio.
Il lodo, dunque, lodo non è. È un passapartout che umilia la giustizia e i cittadini rispettosi della Costituzione. Invece di ricorrere a elucubrazioni puerili, la maggioranza farebbe più bella figura se dichiarasse che il “lodo” serve al loro presidente che non deve essere giudicato, assumendosi tutte le responsabilità del caso.
Innanzitutto, molti l’hanno già detto e scritto, ma voglio ripeterlo, repetita iuvant, il termine lodo è usato molto scorrettamente … in modo approssimativo, come approssimativa è la politica finora espressa dal governo in carica.
Lodo (dal dizionario Garzanti): “Decisione emessa collegialmente e per iscritto da arbitri di una vertenza, che diventa esecutiva per decreto del pretore”.
La definizione è fin troppo chiara.
Degli “arbitri” sono chiamati a dirimere una vertenza.
Quale vertenza e tra chi?
La vertenza la conosciamo abbastanza bene, quindici anni di discussioni e di litigi istituzionali: il presidente del consiglio ha, per essere più uguale del resto dei cittadini italiani, bisogno di uno scudo dalla giustizia (e le leggi ad personam? … lasciamo perdere!), insomma non può essere giudicato nemmeno per i reati commessi ante, cioè prima della sua discesa in politica, e che tuttora sono in attesa di sentenza o … di prescrizione.
Il mio amico mi fa n0tare che sarebbe più semplice per Berlusconi andare in Tribunale e farsi giudicare, visto che si proclama innocente.
- Vuol dire, rispondo, che il “nostro” presidente ama il percorso più lungo e più irto di ostacoli. Risultare vincitore, combattendo e coinvolgendo parlamento e Paese, gli dà più soddisfazione.
Conosciuto l’oggetto della vertenza, ora occorre conoscere “tra chi”. Le parti in causa sono Silvio Berlusconi, ma questo lo sanno anche i bambini, e lo Stato. Si! Proprio lo Stato, anche se lo stesso Berlusconi e i suoi “bravi (Manzoni non c’entra)” legali, affermano che la controparte sono i giudici, meglio le toghe colorate di rosso, che qualche volta sono indicati come sovversivi.
Niente di strano, ognuno può avere le sue ragioni. Basta dimostrarle nelle sedi istituzionali competenti.
Abbiamo individuato l’oggetto della vertenza e le parti in causa, ora tocca solo agli arbitri, perché la decisione ancora non è stata presa … almeno ufficialmente (lodo Alfano 1, quello bocciato dalla Consulta, e l’attuale legittimo impedimento, sono stati il primo bocciato e il secondo è in scadenza), cioè con legge costituzionale.
Gli arbitri scelti dall’equipe difensiva del presidente del Consiglio sono il ministro della giustizia Alfano e il parlamento, ma solo una parte, la maggioranza e l’Udc di Casini.
Ora si entra in confusione e in evidente conflitto d’interesse. Una parte del parlamento diventa controparte del ministro Alfano ed entrambi sono alla ricerca del giusto (?) giudizio. Alfano fa la proposta e il loro parlamento l’approva. E l’opposizione, che ci sta a fare? Meglio l’altra parte del parlamento quale ruolo è chiamata ad assumere?
Penso che il parlamento non sia abilitato a giudicare nessuno, né tantomeno può emettere delle leggi anticostituzionali, né delegittimare la magistratura, né evitare il giudizio della legge a un cittadino italiano, solo per il fatto di essere il presidente del Consiglio.
Il lodo, dunque, lodo non è. È un passapartout che umilia la giustizia e i cittadini rispettosi della Costituzione. Invece di ricorrere a elucubrazioni puerili, la maggioranza farebbe più bella figura se dichiarasse che il “lodo” serve al loro presidente che non deve essere giudicato, assumendosi tutte le responsabilità del caso.
20 ottobre 2010
UNA POLITICA PICCOLA PICCOLA n° 5
Non sono né un giurista né un costituzionalista, ma un cittadino che crede nell’uguaglianza di tutti i cittadini come sancisce l’art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. L’emendamento al cosiddetto “Lodo (?) Alfano Costituzionale” approvato alla Commissione affari costituzionali del Senato col voto favorevole di tutta la maggioranza, Fini e Lombardo compresi, non va in questa direzione, ma rende il cittadino Berlusconi più uguale degli altri, mortificando la Costituzione ma, soprattutto, tutti i cittadini che rispettano la legge.
Come il condono, poi scudo fiscale, che dà il diritto di evadere le tasse, permettendo agli evasori di, allo stesso modo il “lodo” dà il diritto a un’unica persona, anche se votato (o indicato, come si compiace lo stesso Berlusconi di dire) dal popolo di essere più uguale egli altri.
L’emendamento afferma che “i processi nei confronti del presidente della Repubblica o del presidente del Consiglio, anche relativi a fatti antecedenti all’assunzione della carica, possono essere sospesi con deliberazione parlamentare”.
Risulta evidente una prima anomalia grande come una casa: il coinvolgimento del presidente della Repubblica, per rendere il “lodo” più credibile e pubblicizzarlo meglio in tutte le sedi Media-rai e nella stampa amica come al di sopra della disputa su Berlusconi. A tal proposito è bene, però, puntualizzare che il presidente della Repubblica non ha bisogno di nessun lodo, poiché l’art. 90 della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”.
Il voler coinvolgere il presidente della Repubblica potrebbe nascondere l’elezione di Berlusconi a tale carica senza dover rispondere ad accuse d’incompatibilità: nessuna condanna peserebbe sulla sua persona. Le condizioni alla scadenza del mandato di Napolitano ci sono tutte. Altri sette anni d’immunità! Poi si vedrà!
L’altra anomalia truffaldina riguarda la retroattività del “lodo”. I reati che riguardano il presidente del Consiglio sono stati commessi da questi prima che ricoprisse questa carica e non nell’esercizio delle sue funzioni. Se sono stati commessi prima, non riguardano l’esercizio delle sue funzioni, ergo: dovrebbe essere giudicato come ogni cittadino in base al principio di uguaglianza e non sfuggire al giudizio. Dare l’esempio e fare emergere l’infondatezza delle accuse, considerando che si proclama innocente e vittima, porterebbe a far ricredere i cittadini nei suoi riguardi e alla valorizzazione della sua immagine.
Dichiara la finiana Bongiorno, paladina della legalità assieme a Fini e alla Fel, che “la finalità (della retroattività) è quella di salvaguardare la serenità nello svolgimento delle funzioni […] che, ovviamente, potrebbe essere compromessa nel caso in cui non fossero sospesi i processi per fatti antecedenti all’assunzione della carica”.
Berlusconi non è stato obbligato, onorevole Bongiorno a scendere in politica né a fare il presidente del Consiglio. Se l’ha fatto, era cosciente delle regole della Repubblica o non conosceva, fatto grave, la Costituzione. Sia coerente col principio di legalità sbandierato ai quattro venti da lei, da Fini e dalla Fel! Ma la ragion di partito, lo sappiamo, è più forte … i cittadini capiranno … Così, non è cambiato – ha dato solo l’impressione – nulla: un altro gruppo di potere, altri dipendenti pubblici che giocano con i cittadini!
Casini, altro paladino della legalità che indica Di Pietro come giustizialista, ha dato la sua disponibilità a votare il lodo e, come facevano i democristiani, che a tanto mai arrivarono, fa precedere il suo assenso da una circonlocuzione che sembra uscire dalla bocca di Crozza (mi scusi il comico): “Anomalia, accettabile soluzione sui generis […] perché nostra intenzione è dare un segnale di stabilità e tentare di rimuovere il macigno (!) dei processi del premier una volta per tutte.”. Questo è parlar chiaro!
Per Bersani “è una vergogna, faremo le barricate”. Penso che questa sia un’occasione unica per l’opposizione di scendere in piazza … in tutte le piazze d’Italia e sottolineare lo scempio che questa maggioranza vuole fare della legalità. Deve scendere tra i cittadini e incazzarsi, civilmente, ma incazzarsi e non permettere il vilipendio delle istituzioni. Troveranno tanta gente dalla loro parte.
Come il condono, poi scudo fiscale, che dà il diritto di evadere le tasse, permettendo agli evasori di, allo stesso modo il “lodo” dà il diritto a un’unica persona, anche se votato (o indicato, come si compiace lo stesso Berlusconi di dire) dal popolo di essere più uguale egli altri.
L’emendamento afferma che “i processi nei confronti del presidente della Repubblica o del presidente del Consiglio, anche relativi a fatti antecedenti all’assunzione della carica, possono essere sospesi con deliberazione parlamentare”.
Risulta evidente una prima anomalia grande come una casa: il coinvolgimento del presidente della Repubblica, per rendere il “lodo” più credibile e pubblicizzarlo meglio in tutte le sedi Media-rai e nella stampa amica come al di sopra della disputa su Berlusconi. A tal proposito è bene, però, puntualizzare che il presidente della Repubblica non ha bisogno di nessun lodo, poiché l’art. 90 della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”.
Il voler coinvolgere il presidente della Repubblica potrebbe nascondere l’elezione di Berlusconi a tale carica senza dover rispondere ad accuse d’incompatibilità: nessuna condanna peserebbe sulla sua persona. Le condizioni alla scadenza del mandato di Napolitano ci sono tutte. Altri sette anni d’immunità! Poi si vedrà!
L’altra anomalia truffaldina riguarda la retroattività del “lodo”. I reati che riguardano il presidente del Consiglio sono stati commessi da questi prima che ricoprisse questa carica e non nell’esercizio delle sue funzioni. Se sono stati commessi prima, non riguardano l’esercizio delle sue funzioni, ergo: dovrebbe essere giudicato come ogni cittadino in base al principio di uguaglianza e non sfuggire al giudizio. Dare l’esempio e fare emergere l’infondatezza delle accuse, considerando che si proclama innocente e vittima, porterebbe a far ricredere i cittadini nei suoi riguardi e alla valorizzazione della sua immagine.
Dichiara la finiana Bongiorno, paladina della legalità assieme a Fini e alla Fel, che “la finalità (della retroattività) è quella di salvaguardare la serenità nello svolgimento delle funzioni […] che, ovviamente, potrebbe essere compromessa nel caso in cui non fossero sospesi i processi per fatti antecedenti all’assunzione della carica”.
Berlusconi non è stato obbligato, onorevole Bongiorno a scendere in politica né a fare il presidente del Consiglio. Se l’ha fatto, era cosciente delle regole della Repubblica o non conosceva, fatto grave, la Costituzione. Sia coerente col principio di legalità sbandierato ai quattro venti da lei, da Fini e dalla Fel! Ma la ragion di partito, lo sappiamo, è più forte … i cittadini capiranno … Così, non è cambiato – ha dato solo l’impressione – nulla: un altro gruppo di potere, altri dipendenti pubblici che giocano con i cittadini!
Casini, altro paladino della legalità che indica Di Pietro come giustizialista, ha dato la sua disponibilità a votare il lodo e, come facevano i democristiani, che a tanto mai arrivarono, fa precedere il suo assenso da una circonlocuzione che sembra uscire dalla bocca di Crozza (mi scusi il comico): “Anomalia, accettabile soluzione sui generis […] perché nostra intenzione è dare un segnale di stabilità e tentare di rimuovere il macigno (!) dei processi del premier una volta per tutte.”. Questo è parlar chiaro!
Per Bersani “è una vergogna, faremo le barricate”. Penso che questa sia un’occasione unica per l’opposizione di scendere in piazza … in tutte le piazze d’Italia e sottolineare lo scempio che questa maggioranza vuole fare della legalità. Deve scendere tra i cittadini e incazzarsi, civilmente, ma incazzarsi e non permettere il vilipendio delle istituzioni. Troveranno tanta gente dalla loro parte.
15 ottobre 2010
UNA POLITICA PICCOLA PICCOLA n°4
Il direttore generale della Tv Ma … si è sospeso il conduttore Michele Santoro per dieci giorni, tanto quanto basta, sarà stato sicuramente un caso, per non mandare in onda ben due puntate di “Anno zero”, la trasmissione notoriamente invisa al Pdl.
Santoro ha offeso masi che, detto per inciso, ricava il suo ... scarso stipendio (a proposito, a quanto ammonta?) dal canone … ergo, è un nostro dipendente che, con la sua decisione paradossale, “ha offeso” tutti gli abbonati. Quale colpa hanno gli abbonati se non quella di dare a “Anno zero” uno share tanto elevato?
Ma il compito di un dg non è quello di trovare misure atte a fare aumentare l’ascolto e, quindi, con la pubblicità, aumentare gli introiti?
La punizione non è rivolta, quindi a Santoro, che poteva essere punito diversamente, per esempio con una trattenuta sullo stipendio, ma all’azienda e agli utenti.
Chi si avvantaggerà di una tale scellerata decisione, se non la concorrenza che potrà usufruire della pubblicità in libera uscita?
Sospendere “Anno zero” per due puntate, perché di questo si tratta, secondo me è un atto politico e non aziendale, perché, se così non fosse, il dg Masi, nominato dal governo, dovrebbe prendere provvedimenti anche nei confronti del direttore dl tg1 Minzolin, con i suoi editoriali di parte o le informazioni non corrette (ricordo ancora l’assoluzione di Mills). Se non l’ha fatto è perché Masi è travolto da un dubbio atroce: non è che sospendendo Minzolin, non andrà in onda per la durata della sospensione il tg1?
Intanto il tg1 ci pensa da sé (?) ad autopunirsi, perdendo un consistente numero di ascoltatori.
Quando finirà, mi chiedo, questo regime soft, che ormai ha espanso i suoi tentacoli su ogni aspetto della vita pubblica? Quando i cittadini ritroveranno la forza d’indignarsi? Quando i politici che si dicono d’opposizione smetteranno di proporre uno spezzatino di proposte e si uniranno proponendo al Paese un sogno da realizzare?
Speriamo che, allora, n sia troppo tardi!
Distruggere qualcosa, diceva mio nonno, è semplice, si fa presto, ricostruire è faticoso e lungo.
Santoro ha offeso masi che, detto per inciso, ricava il suo ... scarso stipendio (a proposito, a quanto ammonta?) dal canone … ergo, è un nostro dipendente che, con la sua decisione paradossale, “ha offeso” tutti gli abbonati. Quale colpa hanno gli abbonati se non quella di dare a “Anno zero” uno share tanto elevato?
Ma il compito di un dg non è quello di trovare misure atte a fare aumentare l’ascolto e, quindi, con la pubblicità, aumentare gli introiti?
La punizione non è rivolta, quindi a Santoro, che poteva essere punito diversamente, per esempio con una trattenuta sullo stipendio, ma all’azienda e agli utenti.
Chi si avvantaggerà di una tale scellerata decisione, se non la concorrenza che potrà usufruire della pubblicità in libera uscita?
Sospendere “Anno zero” per due puntate, perché di questo si tratta, secondo me è un atto politico e non aziendale, perché, se così non fosse, il dg Masi, nominato dal governo, dovrebbe prendere provvedimenti anche nei confronti del direttore dl tg1 Minzolin, con i suoi editoriali di parte o le informazioni non corrette (ricordo ancora l’assoluzione di Mills). Se non l’ha fatto è perché Masi è travolto da un dubbio atroce: non è che sospendendo Minzolin, non andrà in onda per la durata della sospensione il tg1?
Intanto il tg1 ci pensa da sé (?) ad autopunirsi, perdendo un consistente numero di ascoltatori.
Quando finirà, mi chiedo, questo regime soft, che ormai ha espanso i suoi tentacoli su ogni aspetto della vita pubblica? Quando i cittadini ritroveranno la forza d’indignarsi? Quando i politici che si dicono d’opposizione smetteranno di proporre uno spezzatino di proposte e si uniranno proponendo al Paese un sogno da realizzare?
Speriamo che, allora, n sia troppo tardi!
Distruggere qualcosa, diceva mio nonno, è semplice, si fa presto, ricostruire è faticoso e lungo.
14 ottobre 2010
UNA POLITICA PICCOLA PICCOLA n° 3
L’ex ministro dell’interno del precedente governo Berlusconi, nella sua attuale veste di presidente della Commissione Antimafia ha lanciato un allarme: “Alle ultime amministrative emerge una certa disinvoltura nella formazione delle liste, gremite di persone che non sono certo degne di rappresentare nessuno”.
In numero esatto degli “indegni” non è dato sapere perché ben trenta prefetture, incaricate di mandare le informazioni relative, non hanno risposto o l’hanno fatto in maniera non adeguata.
Pisanu afferma che i prefetti saranno chiamati a dare “una risposta entro una settimana”. In caso contrario saranno i prefetti a presentarsi in commissione.
Le prefetture che non hanno risposto, per amor di verità, sono Agrigento, Bolzano, Catania Mantova e Messina. Questo, tuttavia, non significa che le tutte le altre siano esenti da colpe gravi.
Sarà l’inizio del balletto: ogni soggetto darà ad altri la colpa del ritardo o della mancata di sufficienti dati. I prefetti hanno fatto già pervenire una nota ufficiale nella quale sostengono di aver chiesto chiarimenti al ministro Maroni e di aver tenuto conto di una circolare dello stesso nel rispondere alla Commissione.
La situazione resa nota dalla Commissione è inquietante.
Le elezioni amministrative sono il primo gradino della scala della politica, dove gli amministratori sono conosciuti nella loro attività e moralità e la formazione delle liste dovrebbe essere fondata sulla trasparenza.
Un governo responsabile e ligio al rispetto della legalità dovrebbe avere il compito di fare pulizia, senza infingimenti e con estrema sollecitudine senza tener conto dell’appartenenza politica degli indegni. Saranno poi i cittadini a non votarli.
Che cosa possiamo aspettarci da un governo che ha alcuni ministri indagati, come anche alcuni parlamentari?
L’altro giorno in TV, non ricordo in quale trasmissione, un sottosegretario del Pdl si appellava al garantismo, sostenendo che esiste la presunzione d’innocenza fino a prova contraria. In parole povere, fino al terzo grado di giudizio nessuno è colpevole e, quindi, può partecipare al governo delle istituzioni, siano esse comunali no nazionali.
Certo, nessuno vuole cancellare le garanzie di legge per gli imputati. Ma il presunto innocente, alla fine potrà rivelarsi un colpevole. E a questo “ex presunto” noi abbiamo affidato l’amministrazione della cosa pubblica. Questo non è giustizialismo ma buon senso. Nessuno vuol giudicare colpevole un indagato, ma per eliminare ogni sospetto, i partiti politici dovrebbero dotarsi di un codice etico (sarebbe meglio una legge) che vieti agli indagati un momentaneo, fino alla dimostrazione dell’innocenza, allontanamento dalla vita politica istituzionale.
Il garantismo spesso nasconde l’impunità.
Non ci resta che sperare in un ritrovato senso dello Stato.
In numero esatto degli “indegni” non è dato sapere perché ben trenta prefetture, incaricate di mandare le informazioni relative, non hanno risposto o l’hanno fatto in maniera non adeguata.
Pisanu afferma che i prefetti saranno chiamati a dare “una risposta entro una settimana”. In caso contrario saranno i prefetti a presentarsi in commissione.
Le prefetture che non hanno risposto, per amor di verità, sono Agrigento, Bolzano, Catania Mantova e Messina. Questo, tuttavia, non significa che le tutte le altre siano esenti da colpe gravi.
Sarà l’inizio del balletto: ogni soggetto darà ad altri la colpa del ritardo o della mancata di sufficienti dati. I prefetti hanno fatto già pervenire una nota ufficiale nella quale sostengono di aver chiesto chiarimenti al ministro Maroni e di aver tenuto conto di una circolare dello stesso nel rispondere alla Commissione.
La situazione resa nota dalla Commissione è inquietante.
Le elezioni amministrative sono il primo gradino della scala della politica, dove gli amministratori sono conosciuti nella loro attività e moralità e la formazione delle liste dovrebbe essere fondata sulla trasparenza.
Un governo responsabile e ligio al rispetto della legalità dovrebbe avere il compito di fare pulizia, senza infingimenti e con estrema sollecitudine senza tener conto dell’appartenenza politica degli indegni. Saranno poi i cittadini a non votarli.
Che cosa possiamo aspettarci da un governo che ha alcuni ministri indagati, come anche alcuni parlamentari?
L’altro giorno in TV, non ricordo in quale trasmissione, un sottosegretario del Pdl si appellava al garantismo, sostenendo che esiste la presunzione d’innocenza fino a prova contraria. In parole povere, fino al terzo grado di giudizio nessuno è colpevole e, quindi, può partecipare al governo delle istituzioni, siano esse comunali no nazionali.
Certo, nessuno vuole cancellare le garanzie di legge per gli imputati. Ma il presunto innocente, alla fine potrà rivelarsi un colpevole. E a questo “ex presunto” noi abbiamo affidato l’amministrazione della cosa pubblica. Questo non è giustizialismo ma buon senso. Nessuno vuol giudicare colpevole un indagato, ma per eliminare ogni sospetto, i partiti politici dovrebbero dotarsi di un codice etico (sarebbe meglio una legge) che vieti agli indagati un momentaneo, fino alla dimostrazione dell’innocenza, allontanamento dalla vita politica istituzionale.
Il garantismo spesso nasconde l’impunità.
Non ci resta che sperare in un ritrovato senso dello Stato.
13 ottobre 2010
UNA POLITICA PICOLA PICCOLA n°2
Il presidente della Repubblica ha esternato … ancora. Intervenendo al Forum internazionale per lo sviluppo della giustizia elettronica (di certo il forum è tenuto in Italia ma non riguarda l’Italia, visto che da noi mancano perfino i soldi per i toner o per le fotocopie) ha detto che “occorrono scelte coraggiose che semplifichino le procedure […], che diano piena attuazione ai principi del giusto processo e riducano la durata dei procedimenti”. Concetti così semplici da sembrare retorici, ma che mettono il dito sulla piaga, in un Paese che di piaghe aperte ne ha tante.
Che la giustizia nel nostro Paese somigli a un pachiderma vecchio e stanco è evidente, com’è evidente che tutte le volte che i politici vi mettono mano combinano guai peggiori. Il paradosso è che il parlamento è sovente investito da leggi che riguardano la giustizia … non degli italiani ma di “un italiano”, quello che è più eguale di tutti.
Prendiamo il cosiddetto processo breve. Non entro nei particolari tecnici di equità costituzionale perché e materia dei tecnici e del parlamento nella sua totalità e non di una parte, pur maggioritaria, in quanto la giustizia interessa tutti gli italiani e, quindi, deve essere aperto al contributo anche delle opposizioni, attraverso un vero dibattito, senza voti di fiducia o decreti di necessità.
Non c’è nessun italiano che sia contrario ad accorciare i tempi della politica, ma senza che ciò renda, sembra un gioco di parole, giustizia a un innocente, riducendo, invece dei tempi, la prescrizione che riguarda esclusivamente il colpevole. Ma per rendere efficiente la giustizia occorrono investimenti e una riorganizzazione dei Tribunali. Tremonti, il deus dell’economia italiana, fiscalista di successo e ministro dell’economia, troverà i soldi o, come il solito, inventerà un più facile slogan, per dire e non fare?
Il governo dichiara in ogni occasione che il testo della legge del processo breve è fermo in parlamento, riversando la colpa sulle opposizioni e su parte della maggioranza (i finiani). Ma non è così. Il contendere riguarda la norma transitoria, fatta apposta per salvare dai processi il presidente del consiglio, mettendo fine a centinaia di migliaia di processi tuttora in corso dai quali le parti lese attendono “giustizia”.
E se fosse il presidente del consiglio a fare un passo indietro, recandosi in tribunale a dimostrare la sua innocenza e il fumus persecutionis?
Taglieremmo la testa al toro e ci allineeremmo alle vere democrazie occidentali, dove i premier e i ministri non godono di nessun salvacondotto giudiziario.
Che la giustizia nel nostro Paese somigli a un pachiderma vecchio e stanco è evidente, com’è evidente che tutte le volte che i politici vi mettono mano combinano guai peggiori. Il paradosso è che il parlamento è sovente investito da leggi che riguardano la giustizia … non degli italiani ma di “un italiano”, quello che è più eguale di tutti.
Prendiamo il cosiddetto processo breve. Non entro nei particolari tecnici di equità costituzionale perché e materia dei tecnici e del parlamento nella sua totalità e non di una parte, pur maggioritaria, in quanto la giustizia interessa tutti gli italiani e, quindi, deve essere aperto al contributo anche delle opposizioni, attraverso un vero dibattito, senza voti di fiducia o decreti di necessità.
Non c’è nessun italiano che sia contrario ad accorciare i tempi della politica, ma senza che ciò renda, sembra un gioco di parole, giustizia a un innocente, riducendo, invece dei tempi, la prescrizione che riguarda esclusivamente il colpevole. Ma per rendere efficiente la giustizia occorrono investimenti e una riorganizzazione dei Tribunali. Tremonti, il deus dell’economia italiana, fiscalista di successo e ministro dell’economia, troverà i soldi o, come il solito, inventerà un più facile slogan, per dire e non fare?
Il governo dichiara in ogni occasione che il testo della legge del processo breve è fermo in parlamento, riversando la colpa sulle opposizioni e su parte della maggioranza (i finiani). Ma non è così. Il contendere riguarda la norma transitoria, fatta apposta per salvare dai processi il presidente del consiglio, mettendo fine a centinaia di migliaia di processi tuttora in corso dai quali le parti lese attendono “giustizia”.
E se fosse il presidente del consiglio a fare un passo indietro, recandosi in tribunale a dimostrare la sua innocenza e il fumus persecutionis?
Taglieremmo la testa al toro e ci allineeremmo alle vere democrazie occidentali, dove i premier e i ministri non godono di nessun salvacondotto giudiziario.
03 ottobre 2010
UNA POLITICA PICCOLA PICCOLA
Ormai è da più di un mese che non scrivo sul blog. Mi scuso con i miei lettori, augurandomi che ritornino.
La ragione è la mediocrità della politica come conseguenza dell’insufficienza culturale e morale dei politici, dei tuttologi del “fare” che mancano di competenze di base specifiche, che, proprio come certi alunni, prediligono una sola “materia”: l’esercizio del potere incontrollato e non punibile. Per realizzare ciò si esercitano nell’arte della retorica relativistica, cambiando il significato della terminologia.
Il termine “giustizia” è inteso non più come “valore etico-sociale in base al quale si riconoscono e si rispettano i diritti altrui come si vuole che siano riconosciuti e rispettati i propri”, ma come una strada per disporre della propria impunità infinita in barba a leggi già esistenti (ne possono fare di nuove, abbassando i tempi della prescrizione, riducendo, ma di fatto, eliminando le intercettazioni, introducendo il processo breve, nel suo valore assoluto accettabile, ma facendolo precedere da una “nota transitoria” che esaurisce i processi cui è coinvolto il presidente del consiglio, ricorrendo il legittimo impedimento per la “casta“ del Cda dello stato e del suo ad …) e alla legge fondamentale che è la “Costituzione”. Il termine “giustizialismo” è usato dal potere per indicare quanti chiedono il rispetto della “giustizia” e delle regole uguali per tutti, è diventato, quindi, moralismo forcaiolo (!). Il mercato dei parlamentari, non tenendo conto delle dichiarazioni di quanti hanno rifiutato di prostituirsi, una normale e giusta riconsiderazione delle convinzioni ideologiche.
Così, le necessità della casta nel creare quella rete legislativa che la metta al riparo da ogni intervento della giustizia, legittimando abusi e prevaricazioni, distruggendo il rapporto consolidato tra i vari ordini dello Stato, diventa necessità dei cittadini … come, per esempio, fossero sempre intercettati, come in un grande fratello e giustamente chiedessero il rispetto della privacy.
Solo mistificazioni e furberie da ragazzini capricciosi, ma che stanno procurando disastri al vivere assieme con la “furbizia” innalzata a dea nostra.
Speriamo che il popolo italiano si svegli in tempo e ponga fine a questa marcia verso la rovina, perché è facile distruggere una costruzione, mentre è più difficile ricostruirla.
La deriva leghista
Uil sindaco leghista di Adro ha inaugurato una scuola dedicandola all’ideologo Miglio e marchiandola con centinaia di simboli della Lega. Le autorità locali e nazionali hanno tardato non molto a obbligare il sindaco a rimuovere detti simboli.
“Se me lo chiede Bossi, assicura, si farà”.
Mi ricordo che Bossi è il ministro della Repubblica Italiana, quello dal pollice diritto e dalla traduzione dell’acronimo SPQR, un’autorità etica … un padre della patria … padania … un altro acronimo intraducibile ancorché inesistente.
Polemica dopo polemica, talk show dopo talk show, il Consiglio comunale, riunito a porte chiuse delibera che i simboli saranno tolti, quando si sarà appurato chi pagherà la somme occorrente, ben trentamila euro.
La domanda, quindi è la seguente: Chi pagherà la rimozione dei simboli, che nel frattempo continueranno a fare bella mostra di sé?
La risposta è, se non fossimo in Italia, molto semplice: il sindaco e la giunta, in quanto loro è stata la decisione.
Ma siamo in Italia, dove è impossibile individuare responsabilità e colpe dei pubblici amministratori, specie se al governo nazionale siedono i compagni del sindaco.
Il guaio è che ai leghisti e al suo massimo rappresentante in questi ultimi anni è stato permesso di tutto e tutto è stato perdonato come espressione folkloristica, mentre le istituzione venivano vilipese, a partire dalla bandiera, e indebolite.
Bossi è stato costretto, da un sommovimento nazionale (molti ministri e uomini politici e di cultura, hanno fatto finta di non sentire, considerando le dichiarazioni, una gag, come nel caso della ministra per/della gioventù Meloni) e da una mozione di sfiducia presentata dal Pd a chiedere scusa (finalmente qualcuno si è svegliato da un lungo torpore!).
La ragione è la mediocrità della politica come conseguenza dell’insufficienza culturale e morale dei politici, dei tuttologi del “fare” che mancano di competenze di base specifiche, che, proprio come certi alunni, prediligono una sola “materia”: l’esercizio del potere incontrollato e non punibile. Per realizzare ciò si esercitano nell’arte della retorica relativistica, cambiando il significato della terminologia.
Il termine “giustizia” è inteso non più come “valore etico-sociale in base al quale si riconoscono e si rispettano i diritti altrui come si vuole che siano riconosciuti e rispettati i propri”, ma come una strada per disporre della propria impunità infinita in barba a leggi già esistenti (ne possono fare di nuove, abbassando i tempi della prescrizione, riducendo, ma di fatto, eliminando le intercettazioni, introducendo il processo breve, nel suo valore assoluto accettabile, ma facendolo precedere da una “nota transitoria” che esaurisce i processi cui è coinvolto il presidente del consiglio, ricorrendo il legittimo impedimento per la “casta“ del Cda dello stato e del suo ad …) e alla legge fondamentale che è la “Costituzione”. Il termine “giustizialismo” è usato dal potere per indicare quanti chiedono il rispetto della “giustizia” e delle regole uguali per tutti, è diventato, quindi, moralismo forcaiolo (!). Il mercato dei parlamentari, non tenendo conto delle dichiarazioni di quanti hanno rifiutato di prostituirsi, una normale e giusta riconsiderazione delle convinzioni ideologiche.
Così, le necessità della casta nel creare quella rete legislativa che la metta al riparo da ogni intervento della giustizia, legittimando abusi e prevaricazioni, distruggendo il rapporto consolidato tra i vari ordini dello Stato, diventa necessità dei cittadini … come, per esempio, fossero sempre intercettati, come in un grande fratello e giustamente chiedessero il rispetto della privacy.
Solo mistificazioni e furberie da ragazzini capricciosi, ma che stanno procurando disastri al vivere assieme con la “furbizia” innalzata a dea nostra.
Speriamo che il popolo italiano si svegli in tempo e ponga fine a questa marcia verso la rovina, perché è facile distruggere una costruzione, mentre è più difficile ricostruirla.
La deriva leghista
Uil sindaco leghista di Adro ha inaugurato una scuola dedicandola all’ideologo Miglio e marchiandola con centinaia di simboli della Lega. Le autorità locali e nazionali hanno tardato non molto a obbligare il sindaco a rimuovere detti simboli.
“Se me lo chiede Bossi, assicura, si farà”.
Mi ricordo che Bossi è il ministro della Repubblica Italiana, quello dal pollice diritto e dalla traduzione dell’acronimo SPQR, un’autorità etica … un padre della patria … padania … un altro acronimo intraducibile ancorché inesistente.
Polemica dopo polemica, talk show dopo talk show, il Consiglio comunale, riunito a porte chiuse delibera che i simboli saranno tolti, quando si sarà appurato chi pagherà la somme occorrente, ben trentamila euro.
La domanda, quindi è la seguente: Chi pagherà la rimozione dei simboli, che nel frattempo continueranno a fare bella mostra di sé?
La risposta è, se non fossimo in Italia, molto semplice: il sindaco e la giunta, in quanto loro è stata la decisione.
Ma siamo in Italia, dove è impossibile individuare responsabilità e colpe dei pubblici amministratori, specie se al governo nazionale siedono i compagni del sindaco.
Il guaio è che ai leghisti e al suo massimo rappresentante in questi ultimi anni è stato permesso di tutto e tutto è stato perdonato come espressione folkloristica, mentre le istituzione venivano vilipese, a partire dalla bandiera, e indebolite.
Bossi è stato costretto, da un sommovimento nazionale (molti ministri e uomini politici e di cultura, hanno fatto finta di non sentire, considerando le dichiarazioni, una gag, come nel caso della ministra per/della gioventù Meloni) e da una mozione di sfiducia presentata dal Pd a chiedere scusa (finalmente qualcuno si è svegliato da un lungo torpore!).
26 agosto 2010
LA TRUFFA DI VILLA CAMPARI
“Il governo va avanti senza l’UDC”. Questo ha stabilito il vertice delle 2B. Gli italiani hanno di che essere soddisfatti. A dicembre non andranno a votare. Potranno aprire i regali sotto l’albero, brindare all’anno nuovo e ringraziare il duo Berlusconi-Bossi.
L’estate 2010 sarà ricordata come la farsa (commedia?) politica all’italiana che nasce con presupposti seri e di principio e si conclude, attraverso un percorso ambiguo, con una risata generale, di liberazione o d’ironica sopportazione, l’ennesima.
Si è partiti da due fatti eclatanti, la nascita del gruppo dei finiani in parlamento e il voto sul sottosegretario Caliendo che ha sancito il disfacimento della maggioranza, e si arrivati alla truffa di Villa Campari. Non che la “truffa” sia un episodio meno eclatante, ma ormai gli italiani si sono abituati alla tattica di due passi avanti e tre indietro, alla politica del dimenticare quello che è stato detto e dire il contrario … tanto hanno la memoria corta e, poi, sono ancora in vacanza … almeno quelli che possono.
Le prime pagine di tutti i quotidiani e le aperture dei telegiornali (meno male che i talk show sono chiusi tuttora per ferie), non hanno fatto che raccontare lo scontro tra i finiani e il Pdl con esibizioni muscolari degni di un incontro di lotta greco-romana: il premier, i suoi portavoce e i sodali a dire che al massimo a dicembre si voterà, anche se bisognerà operare qualche strappo alla Costituzione, che il popolo ha indicato Berlusconi premier e non può esserci altro governo se non l’attuale e che i traditori farebbero bene a rientrare nei ranghi per evitare di non essere più eletti.
Bossi e la Lega avevano coniato lo slogan “al voto subito”.
Berlusconi a un certo punto comincia a frenare sul voto, propone, prima i cinque punti su cui porre la fiducia e poi un possibile abbraccio con Casini, che sostituirebbe Fini, urtando la suscettibilità di Bossi che dichiara che la Lega non condivide e che tutto sarà deciso nel prossimo vertice delle 2B.
Ancora una volta esce il topolino: niente voto subito, il governo va avanti, navigando a vista, mentre il messo di Bossi, onorevole Calderoni, è incaricato di fare opera di convincimento presso i finiani.
Il cambio di strategia è dovuto al fatto che i sondaggi non danno la certezza della vittoria, mentre Casini e alcuni suoi uomini potrebbero correre al momento opportuno in aiuto del governo.
Se non è una truffa, è una presa in giro degli elettori, che sono considerati merce di cui disporre al momento opportuno, senza capacità critica né orgoglio.
Voglio sperare che i cittadini si ricordino di questa estate che ha messo in vetrina le contraddizioni della maggioranza, l’inconsistenza politica del suo leader, più bravo a imporre le leggi ad personam o ad aziendam che a risolvere i reali problemi del Paese, il continuo tentativo di mettere il bavaglio all’informazione e di perseguitare quanti si ribellino all’imperatore, interprete unico della legge e della democrazia.
L’estate 2010 sarà ricordata come la farsa (commedia?) politica all’italiana che nasce con presupposti seri e di principio e si conclude, attraverso un percorso ambiguo, con una risata generale, di liberazione o d’ironica sopportazione, l’ennesima.
Si è partiti da due fatti eclatanti, la nascita del gruppo dei finiani in parlamento e il voto sul sottosegretario Caliendo che ha sancito il disfacimento della maggioranza, e si arrivati alla truffa di Villa Campari. Non che la “truffa” sia un episodio meno eclatante, ma ormai gli italiani si sono abituati alla tattica di due passi avanti e tre indietro, alla politica del dimenticare quello che è stato detto e dire il contrario … tanto hanno la memoria corta e, poi, sono ancora in vacanza … almeno quelli che possono.
Le prime pagine di tutti i quotidiani e le aperture dei telegiornali (meno male che i talk show sono chiusi tuttora per ferie), non hanno fatto che raccontare lo scontro tra i finiani e il Pdl con esibizioni muscolari degni di un incontro di lotta greco-romana: il premier, i suoi portavoce e i sodali a dire che al massimo a dicembre si voterà, anche se bisognerà operare qualche strappo alla Costituzione, che il popolo ha indicato Berlusconi premier e non può esserci altro governo se non l’attuale e che i traditori farebbero bene a rientrare nei ranghi per evitare di non essere più eletti.
Bossi e la Lega avevano coniato lo slogan “al voto subito”.
Berlusconi a un certo punto comincia a frenare sul voto, propone, prima i cinque punti su cui porre la fiducia e poi un possibile abbraccio con Casini, che sostituirebbe Fini, urtando la suscettibilità di Bossi che dichiara che la Lega non condivide e che tutto sarà deciso nel prossimo vertice delle 2B.
Ancora una volta esce il topolino: niente voto subito, il governo va avanti, navigando a vista, mentre il messo di Bossi, onorevole Calderoni, è incaricato di fare opera di convincimento presso i finiani.
Il cambio di strategia è dovuto al fatto che i sondaggi non danno la certezza della vittoria, mentre Casini e alcuni suoi uomini potrebbero correre al momento opportuno in aiuto del governo.
Se non è una truffa, è una presa in giro degli elettori, che sono considerati merce di cui disporre al momento opportuno, senza capacità critica né orgoglio.
Voglio sperare che i cittadini si ricordino di questa estate che ha messo in vetrina le contraddizioni della maggioranza, l’inconsistenza politica del suo leader, più bravo a imporre le leggi ad personam o ad aziendam che a risolvere i reali problemi del Paese, il continuo tentativo di mettere il bavaglio all’informazione e di perseguitare quanti si ribellino all’imperatore, interprete unico della legge e della democrazia.
25 agosto 2010
CUL DE SAC BIPOLARE
Noi italiani, si sa, cavilliamo. Il sofisma furbesco, l’artificio capzioso, l’arabesco intellettuale, sono il nostro vero sport nazionale ed in questo, ammettiamolo, non siamo secondi a nessuno. E’dunque assolutamente naturale trascorrere le nostre ferie d’agosto a disquisire sottilmente sulle ragioni di chi vorrebbe ricostruire una maggioranza di governo senza andare alle urne, e su quelle di chi invece non concepisce altre soluzioni che il ricorso al voto. E mentre si dibatte amabilmente, da fini giureconsulti degni eredi di Azzecagarbugli, sul fatto che tecnicamente hanno ragione coloro che vogliono il ribaltone mentre costituzionalmente hanno ragione coloro che vogliono il voto anticipato – e già questa evidente discrasia tra dettato costituzionale e sistema bipolare dovrebbe farci riflettere, se avessimo ancora una testa salda sulle spalle – si continua a guardare il dito invece che la luna che quello indica.
Perché la domanda è una sola: ma che cosa risolverebbe ora un nuovo turno elettorale?! E d’altro canto: come accidenti si esce da questo folle cul de sac bipolare che ci inchioda alla nostra stessa impotenza politica, civile e sociale?!
Le ragioni di chi vuole il voto sono chiare e niente affatto meritorie: Berlusconi lo considera una mera prova di forza con cui schiacciare definitivamente ogni velleità leaderistica di Fini; la Lega, che stante gli ultimi eclatanti risultati elettorali non ha alcun bisogno di una prova muscolare avendola già ampiamente fornita, vede però il voto come una concreta possibilità di mettere la freccia e di iniziare il sorpasso a destra. Va da sé che né l’uno né l’altra hanno la buona fede di ammettere che con questa legge elettorale illiberale che ha sancito lo strapotere della partitocrazia non ci sarebbe possibilità alcuna di cambiamento offerta agli elettori che dunque andando a votare perderebbero solo – e diciamolo senza ipocrisie, per la miseria – il loro tempo. E questa è la risposta alla prima domanda che ci siamo posti: un nuovo turno elettorale non risolverebbe nulla rispetto alla nostra situazione politica, servirebbe solo ad un regolamento di conti interno al centrodestra che francamente ci sembra del tutto ingiusto far pagare alla spesa pubblica già gravata oltre ogni possibilità. Berlusconi, Fini e Bossi si vedano dietro il Convento delle Carmelitane scalze, come si usava in tempi meno ipocriti di questi, e si sfidino a duello: il risultato sarà chiaro, la spesa del tutto contenuta e coperta peraltro dall’assicurazione sanitaria dei parlamentari.
Intanto, il Pd, che ha più paura del voto che del fantasma di Stalin, si affanna a vociare che con questa legge elettorale “scandalosa” – parole di Rosy Bindi – non si può votare: o bella, eppure questa legge fu voluta anche da loro, con l’entusiastico sostegno di Massimo D’Alema, ci avrà mica preso per bischeri smemorati il partito che non c’è?! In tutta la vicenda dell’attuale crisi della maggioranza abbiamo sentito Bersani ripetere fino allo sfinimento una sola frase: “Bisogna che Berlusconi se ne vada” che è un po’ come il “delenda Carthago est” di Catone il Censore, una via di mezzo fra una fissazione ossessiva-compulsiva e la patente incapacità di riconnettere il neurone ancora in circolo e partorire uno straccio, anche solo un brandello, di idea politica. Sorvoliamo sulla Bella dalle lunghe ciglia, ovvero Casini, che flirta con tutti ma poi non se la prende nessuno, su Bello Quaglione Rutelli che dice poco e mai nulla di minimamente significativo, sugli arrembaggi spericolati alla lingua italiana di Di Pietro, che aspira alle Idi di Marzo nel ruolo di Bruto ma sembra più il Commissario Basettoni alle prese con la Banda Bassotti, ed il quadro è completo. Allora, la risposta alla seconda domanda, ovvero come si esce da questo devastante cul de sac bipolare è: stando così le cose non se ne esce, e di questo dobbiamo ringraziare tutti quei signori sopra citati che hanno costruito un meccanismo chiuso, partitocratico, illiberale di cui oggi viviamo le conseguenze ultime e degenerate, di cui siamo letteralmente prigionieri, privi di ogni e qualsiasi strumento democratico per liberarcene, schiavi di una oligarchia fondata su lobbies economiche e di potere che non recede di un millimetro dalle proprie posizioni, consegnati mani e piedi ad una schiera di ignoranti asserviti che occupano le istituzioni per il solo merito di essere muti e consenzienti. Questa è la vera cancrena italiana che, ci dispiace per Bersani, non è causata da Berlusconi, perché lui e tutti gli altri, a destra come a sinistra, sono invece la conseguenza di un sistema che ha preso il via con Mani Pulite e si è poi insediato sulla partitocrazia assoluta. Sarebbe dunque oltremodo commendevole che i responsabili di tanto disastro facessero pubblica ammenda delle loro colpe, si assumessero la responsabilità del disastro politico, istituzionale ed amministrativo in cui ci hanno piombati e si decidessero ad avviare una riforma seria, completa, profonda e basilare di un intero sistema che non funziona più neanche come cane da guardia della conservazione del potere. Ma poiché non lo faranno, prepariamoci alla stagione della Lega: certo, se un tempo dicevamo di non voler morire democristiani, la prospettiva di morire leghisti ci piace ancora meno – ma se si continua a guardare il dito invece che la luna, prepariamoci ad indossare la camicia verde. Il presunto tiranno cadrà, ma noi ci faremo più male di lui.
Chiara Boriosi 25 Agosto 2010
Commento inviato il 25 Agosto 2010
Non entro in merito all’interpretazione, che possiamo o no condividere, della farsa politica estiva, frutto forse di un deficit “politico-istituzionale” degli interpreti, ma sicuramente chiara dimostrazione del pensiero corrente: il faccio tutto mi del cavaliere di Arcore (volevo scrivere di Cervantes, ma l’abisso è incolmabile), spalleggiato da cortigiani e sodali e il tirare a campare di Bersani per il quale è meglio gestire il poco o tanto che ancora ha il PD che perdere le lezioni, specialmente se le dovessero affrontare con questo spirito e con questi uomini di vecchio apparato., senza uno “straccio” di programma e di proposta alternativa.
Non condivido l’affermazione che “la vera cancrena” non è causata da Berlusconi che, poveretto, si è trovato a gestire una situazione causata da un sistema che “ha preso il via con Mani Pulite” e ha dato vita alla “partitocrazia assoluta”.
Non sono un difensore di quel periodo. Ma sarebbe giusto riconoscere che, pur nella sua azione devastante verso una politica corrotta, ha dato l’illusione ai cittadini che contavano qualcosa (ma siccome al fondo non c’è fine … ergo … l’assolutismo partitocratico stupendamente interpretato da Berlusconi circondato da una classe politica di infimo livello). Sono di quel periodo, se non erro, un provvedimento sull’immunità parlamentare e un referendum sul finanziamento pubblico dei partiti. Cosa è rimasto di questi provvedimenti? O, meglio, come sono stati superati quei provvedimenti?
Se ci troviamo in questa situazione da basso impero, la colpa non può essere, in ciò concordo, solo di Berlusconi … e non solo del PD o di Casini o di Di Pietro, ma di una politica priva del fondamento Etico e di una classe di intellettuali che ha lasciato che la politica la sovrastasse.
“Sarebbe commendevole che i responsabile di tanto disastro (penso siano i politici o no?) facessero pubblica ammenda … “.
Signora Boriosi non è che sta facendo come il cane che cerca di mordersi la coda e gira su se stesso? Ma le pare logico che ha combinato il pasticcio si accusi, quando potrà indicare altri? Le sembra possibile che i segretari di partito oggi cambino una legge porcata che li può riportare al potere ?
Le risposte lei le conosce bene visto che conclude con un rassegnato “prepariamoci ad indossare la camicia verde”.
A lei e ai tanti intellettuali o politici nascosti che conoscono bene il male e la causa di esso, non può bastare mettere il dito nella piaga e poi tirarlo via. Una terapia bisogna indicarla e parteciparla.
Non me ne voglia, ma è arrivato il tempo dell’agire, parlando di economia, d’informazione, di lavoro, di scuola, di giustizia uguale per tutti, di legge uguale per tutti, di conflitti d’interesse, di corruzione …
Ne conviene?
Distintamente
Cologno 25/08/2010
Noi italiani, si sa, cavilliamo. Il sofisma furbesco, l’artificio capzioso, l’arabesco intellettuale, sono il nostro vero sport nazionale ed in questo, ammettiamolo, non siamo secondi a nessuno. E’dunque assolutamente naturale trascorrere le nostre ferie d’agosto a disquisire sottilmente sulle ragioni di chi vorrebbe ricostruire una maggioranza di governo senza andare alle urne, e su quelle di chi invece non concepisce altre soluzioni che il ricorso al voto. E mentre si dibatte amabilmente, da fini giureconsulti degni eredi di Azzecagarbugli, sul fatto che tecnicamente hanno ragione coloro che vogliono il ribaltone mentre costituzionalmente hanno ragione coloro che vogliono il voto anticipato – e già questa evidente discrasia tra dettato costituzionale e sistema bipolare dovrebbe farci riflettere, se avessimo ancora una testa salda sulle spalle – si continua a guardare il dito invece che la luna che quello indica.
Perché la domanda è una sola: ma che cosa risolverebbe ora un nuovo turno elettorale?! E d’altro canto: come accidenti si esce da questo folle cul de sac bipolare che ci inchioda alla nostra stessa impotenza politica, civile e sociale?!
Le ragioni di chi vuole il voto sono chiare e niente affatto meritorie: Berlusconi lo considera una mera prova di forza con cui schiacciare definitivamente ogni velleità leaderistica di Fini; la Lega, che stante gli ultimi eclatanti risultati elettorali non ha alcun bisogno di una prova muscolare avendola già ampiamente fornita, vede però il voto come una concreta possibilità di mettere la freccia e di iniziare il sorpasso a destra. Va da sé che né l’uno né l’altra hanno la buona fede di ammettere che con questa legge elettorale illiberale che ha sancito lo strapotere della partitocrazia non ci sarebbe possibilità alcuna di cambiamento offerta agli elettori che dunque andando a votare perderebbero solo – e diciamolo senza ipocrisie, per la miseria – il loro tempo. E questa è la risposta alla prima domanda che ci siamo posti: un nuovo turno elettorale non risolverebbe nulla rispetto alla nostra situazione politica, servirebbe solo ad un regolamento di conti interno al centrodestra che francamente ci sembra del tutto ingiusto far pagare alla spesa pubblica già gravata oltre ogni possibilità. Berlusconi, Fini e Bossi si vedano dietro il Convento delle Carmelitane scalze, come si usava in tempi meno ipocriti di questi, e si sfidino a duello: il risultato sarà chiaro, la spesa del tutto contenuta e coperta peraltro dall’assicurazione sanitaria dei parlamentari.
Intanto, il Pd, che ha più paura del voto che del fantasma di Stalin, si affanna a vociare che con questa legge elettorale “scandalosa” – parole di Rosy Bindi – non si può votare: o bella, eppure questa legge fu voluta anche da loro, con l’entusiastico sostegno di Massimo D’Alema, ci avrà mica preso per bischeri smemorati il partito che non c’è?! In tutta la vicenda dell’attuale crisi della maggioranza abbiamo sentito Bersani ripetere fino allo sfinimento una sola frase: “Bisogna che Berlusconi se ne vada” che è un po’ come il “delenda Carthago est” di Catone il Censore, una via di mezzo fra una fissazione ossessiva-compulsiva e la patente incapacità di riconnettere il neurone ancora in circolo e partorire uno straccio, anche solo un brandello, di idea politica. Sorvoliamo sulla Bella dalle lunghe ciglia, ovvero Casini, che flirta con tutti ma poi non se la prende nessuno, su Bello Quaglione Rutelli che dice poco e mai nulla di minimamente significativo, sugli arrembaggi spericolati alla lingua italiana di Di Pietro, che aspira alle Idi di Marzo nel ruolo di Bruto ma sembra più il Commissario Basettoni alle prese con la Banda Bassotti, ed il quadro è completo. Allora, la risposta alla seconda domanda, ovvero come si esce da questo devastante cul de sac bipolare è: stando così le cose non se ne esce, e di questo dobbiamo ringraziare tutti quei signori sopra citati che hanno costruito un meccanismo chiuso, partitocratico, illiberale di cui oggi viviamo le conseguenze ultime e degenerate, di cui siamo letteralmente prigionieri, privi di ogni e qualsiasi strumento democratico per liberarcene, schiavi di una oligarchia fondata su lobbies economiche e di potere che non recede di un millimetro dalle proprie posizioni, consegnati mani e piedi ad una schiera di ignoranti asserviti che occupano le istituzioni per il solo merito di essere muti e consenzienti. Questa è la vera cancrena italiana che, ci dispiace per Bersani, non è causata da Berlusconi, perché lui e tutti gli altri, a destra come a sinistra, sono invece la conseguenza di un sistema che ha preso il via con Mani Pulite e si è poi insediato sulla partitocrazia assoluta. Sarebbe dunque oltremodo commendevole che i responsabili di tanto disastro facessero pubblica ammenda delle loro colpe, si assumessero la responsabilità del disastro politico, istituzionale ed amministrativo in cui ci hanno piombati e si decidessero ad avviare una riforma seria, completa, profonda e basilare di un intero sistema che non funziona più neanche come cane da guardia della conservazione del potere. Ma poiché non lo faranno, prepariamoci alla stagione della Lega: certo, se un tempo dicevamo di non voler morire democristiani, la prospettiva di morire leghisti ci piace ancora meno – ma se si continua a guardare il dito invece che la luna, prepariamoci ad indossare la camicia verde. Il presunto tiranno cadrà, ma noi ci faremo più male di lui.
Chiara Boriosi 25 Agosto 2010
Commento inviato il 25 Agosto 2010
Non entro in merito all’interpretazione, che possiamo o no condividere, della farsa politica estiva, frutto forse di un deficit “politico-istituzionale” degli interpreti, ma sicuramente chiara dimostrazione del pensiero corrente: il faccio tutto mi del cavaliere di Arcore (volevo scrivere di Cervantes, ma l’abisso è incolmabile), spalleggiato da cortigiani e sodali e il tirare a campare di Bersani per il quale è meglio gestire il poco o tanto che ancora ha il PD che perdere le lezioni, specialmente se le dovessero affrontare con questo spirito e con questi uomini di vecchio apparato., senza uno “straccio” di programma e di proposta alternativa.
Non condivido l’affermazione che “la vera cancrena” non è causata da Berlusconi che, poveretto, si è trovato a gestire una situazione causata da un sistema che “ha preso il via con Mani Pulite” e ha dato vita alla “partitocrazia assoluta”.
Non sono un difensore di quel periodo. Ma sarebbe giusto riconoscere che, pur nella sua azione devastante verso una politica corrotta, ha dato l’illusione ai cittadini che contavano qualcosa (ma siccome al fondo non c’è fine … ergo … l’assolutismo partitocratico stupendamente interpretato da Berlusconi circondato da una classe politica di infimo livello). Sono di quel periodo, se non erro, un provvedimento sull’immunità parlamentare e un referendum sul finanziamento pubblico dei partiti. Cosa è rimasto di questi provvedimenti? O, meglio, come sono stati superati quei provvedimenti?
Se ci troviamo in questa situazione da basso impero, la colpa non può essere, in ciò concordo, solo di Berlusconi … e non solo del PD o di Casini o di Di Pietro, ma di una politica priva del fondamento Etico e di una classe di intellettuali che ha lasciato che la politica la sovrastasse.
“Sarebbe commendevole che i responsabile di tanto disastro (penso siano i politici o no?) facessero pubblica ammenda … “.
Signora Boriosi non è che sta facendo come il cane che cerca di mordersi la coda e gira su se stesso? Ma le pare logico che ha combinato il pasticcio si accusi, quando potrà indicare altri? Le sembra possibile che i segretari di partito oggi cambino una legge porcata che li può riportare al potere ?
Le risposte lei le conosce bene visto che conclude con un rassegnato “prepariamoci ad indossare la camicia verde”.
A lei e ai tanti intellettuali o politici nascosti che conoscono bene il male e la causa di esso, non può bastare mettere il dito nella piaga e poi tirarlo via. Una terapia bisogna indicarla e parteciparla.
Non me ne voglia, ma è arrivato il tempo dell’agire, parlando di economia, d’informazione, di lavoro, di scuola, di giustizia uguale per tutti, di legge uguale per tutti, di conflitti d’interesse, di corruzione …
Ne conviene?
Distintamente
Cologno 25/08/2010
23 agosto 2010
UN RITO BARBARO E SANGUINARIO
Guardia Sanframondi è un paesino della provincia di Benevento che è assurto agli onori della cronaca per la processione dei battenti, un rito che si ripete ogni sette anni.
1200 “fedeli” si sono battuti a sangue con la “spugna” strumento penitenziale provvisto di spilli durante la processione dell’Assunta.
Incappucciati e coperti da una bianca tunica, in segno di penitenza, hanno martoriato il corpo per tutta la durata della processione, macchiando di sangue le bianche tuniche: uno spettacolo tribale, che mette in evidenza ancora una volta il ruolo della superstizione.
Non capisco fin dove arriva la fede e da quando inizia lo spettacolo. Nell’uno e nell’altro caso, i settennali, così sono chiamate tali manifestazioni, sono molto cruenti e molto diseducativi, poiché, volenti o nolenti, coinvolgono generazioni di fanciulli nell’apologia del fato e di un modello penitenziale che dovrebbe essere sepolto ormai nella notte del tempo.
Il parroco del paese e il sindaco affermano che si tratta di una manifestazione “religiosa” e intanto l’antropologo Marino Niola è stato nominato “ambasciatore di Guardia Sanframondi nel mondo” e quest’anno è stata presente anche la troupe televisiva Al Jazeera mentre 150 mila spettatori, niente a che vedere con i penitenti, hanno fatto ala alla processione.
È, quindi, difficile pensare a un avvenimento religioso così spettacolare col sangue, quasi si provasse piacere a martoriare il povero corpo davanti a migliaia di spettatori.
La religione come spettacolo oltre alla religione come business.
E il nostro antropologo si compiace e parla di “un rito fortemente glocal” e afferma che “un paese intero che fa penitenza è davvero inusuale”.
Invece che compiacersi, certo ne hanno ben donde, lo studioso, il sindaco e il parroco, dovrebbero ognuno per la propria parte buttare acqua su un rito macabro e superstizioso, che ripropone sconvolgenti rappresentazioni che si associano alla “fede” che è un’altra cosa e non ha bisogno che sia spettacolarizzato. Sta scritto in Matteo (6,6): “Tu, quando vuoi pregare, entra nella tua camera e chiudi la porta. Poi prega Dio, che è in segreto”.
Se proprio vogliono promuovere il turismo, anche religioso, possono sostituire lo strumento penitenziale con uno innocuo. Non penso che Dio per perdonare ha bisogno del sangue!
1200 “fedeli” si sono battuti a sangue con la “spugna” strumento penitenziale provvisto di spilli durante la processione dell’Assunta.
Incappucciati e coperti da una bianca tunica, in segno di penitenza, hanno martoriato il corpo per tutta la durata della processione, macchiando di sangue le bianche tuniche: uno spettacolo tribale, che mette in evidenza ancora una volta il ruolo della superstizione.
Non capisco fin dove arriva la fede e da quando inizia lo spettacolo. Nell’uno e nell’altro caso, i settennali, così sono chiamate tali manifestazioni, sono molto cruenti e molto diseducativi, poiché, volenti o nolenti, coinvolgono generazioni di fanciulli nell’apologia del fato e di un modello penitenziale che dovrebbe essere sepolto ormai nella notte del tempo.
Il parroco del paese e il sindaco affermano che si tratta di una manifestazione “religiosa” e intanto l’antropologo Marino Niola è stato nominato “ambasciatore di Guardia Sanframondi nel mondo” e quest’anno è stata presente anche la troupe televisiva Al Jazeera mentre 150 mila spettatori, niente a che vedere con i penitenti, hanno fatto ala alla processione.
È, quindi, difficile pensare a un avvenimento religioso così spettacolare col sangue, quasi si provasse piacere a martoriare il povero corpo davanti a migliaia di spettatori.
La religione come spettacolo oltre alla religione come business.
E il nostro antropologo si compiace e parla di “un rito fortemente glocal” e afferma che “un paese intero che fa penitenza è davvero inusuale”.
Invece che compiacersi, certo ne hanno ben donde, lo studioso, il sindaco e il parroco, dovrebbero ognuno per la propria parte buttare acqua su un rito macabro e superstizioso, che ripropone sconvolgenti rappresentazioni che si associano alla “fede” che è un’altra cosa e non ha bisogno che sia spettacolarizzato. Sta scritto in Matteo (6,6): “Tu, quando vuoi pregare, entra nella tua camera e chiudi la porta. Poi prega Dio, che è in segreto”.
Se proprio vogliono promuovere il turismo, anche religioso, possono sostituire lo strumento penitenziale con uno innocuo. Non penso che Dio per perdonare ha bisogno del sangue!
21 agosto 2010
Legge ad aziendam
Dopo le leggi ad personam ecco (ma c’era dubbio?) ecco la legge ad aziendam, che regala, togliendole dalle casse dello Stato, ben 167, 4 milioni di euro, escluse imposte, interessi, indennità di mora e sanzioni, alla Mondadori, azienda di famiglia del Presidente del Consiglio. Non voglio nemmeno parlare dell’evidente conflitto d’interesse, né di unna maggioranza parlamentare asservita, però sono disgustato.
Io potrei non sapere cosa produce la Mondadori”, né conoscerne la proprietà, ma so soltanto che l’attuale governo Berlusconi ha approvato l’ennesima legge salva evasori (si pensava che dopo lo scudo di sarebbero vergognati … ma la faccia di tolla non arrossisce mai!), so che con poco più di 8,6 milioni, pari al 5% di quanto dovuto al fisco l’azienda ha lucrato, non ha rischiato niente, molto di più dei 173 milioni dovuti.
Certo, in un momento di crisi, appare giusto aiutare le aziende in sofferenza, ma che almeno abbiano una conduzione aziendale virtuosa e siano in regola col fisco.
Ma la proprietà, anche per i suoi interessi economici diversificati, produce ville e yacht per figli e nipoti. Così, mentre il Paese è alle prese con la crisi più grave del dopoguerra, mentre molte piccole e medie aziende chiudono, lasciando i dipendenti in mezzo ad una strada, mentre le tasse aumentano e il fisco fa la voce grossa con i contribuenti da busta paga, quando c’è, il governo si preoccupa del pacco dono alla Mondadori. Il governo del fare … fa, non gli interessi dei cittadini, ma della famiglia del Presidente del Consiglio. E lo può fare perché l’Italia è un Paese virtuoso la cui economia va a gonfie vele e Tremonti … meno male che Dio ce ne ha fatto dono.
La videoinformazione, quella che entra in tutte le case, e i giornali di famiglia all’unisono ci presentano un Paese da favola, senza problemi, con le autostrade intasate, da bollino nero, e i luoghi di villeggiatura stracolmi. Le aziende chiudono? È cattiva informazione! I disoccupati o i cassaintegrati aumentano? Ma dove, forse nei Paesi vicini!
I disoccupati, i giovani in cerca di primo impiego, i pensionati, per l’informazione asservita non esistono. Sono degli ectoplasmi,meglio non parlarne, specie ad Agosto. È più redditzio parlare di Fini e dei finiani, delle elezioni o del governo tecnico … tanto tra qualche giorno inizia il campionato di calcio, inizia il tifo, che volete importi ai … telespettatori della Mondadori, di Verdini della P3 o dei ministri e sottosegretari sotto inchiesta.
Viva Berlusconi e il suo governo, viva l’Italia dell’ottimismo senza base, viva l’Italia degli affaristi e dei furbetti, degli intrallazzatori e dei piduisti, viva lItalia degli evasori e dei corrotti, viva l’Italia degli imprenditori senza dignità e senza soldi, dei giornalisti prezzolati e degli organi di controllo asserviti, viva … viva … viva … viva …
È cosa giusta e buona che i lavoratori paghino le tasse e che i nuovi cittadini ne godano!
Meno male che Silvio c’è!
P.S.: mi sembra molto interessante la proposta di Vito Mancuso. Se fossi uno degli intellettuali citati mi schiererei al suo fianco, in una campagna di denuncia su quanto sta accadendo nel nostro Paese, che mortifica il diritto e la carta costituzionale.
Io, autore Mondadori
e lo scandalo "ad aziendam"
di VITO MANCUSO 21 agosto 2010 Repubblica.it
Da quando ho letto l'articolo di Massimo Giannini 1 giovedì scorso 19 agosto non ho potuto smettere di pensarci. Ho provato a fare altro e a concentrarmi sul mio lavoro, ma dato che in questi giorni esso consiste proprio nella stesura del nuovo libro che a breve dovrei consegnare alla Mondadori, mi è sempre risultato impossibile distogliere dalla mente i pensieri abbastanza cupi che vi si affacciavano. La domanda era sempre quella: come posso adesso, se quello che scrive Giannini corrisponde al vero, continuare a pubblicare con la Mondadori e rimanere a posto con la mia coscienza? Come posso fondare il mio pensiero sul bene e sulla giustizia, e poi contribuire al programma editoriale di un'azienda che a quanto pare, godendo di favori parlamentari ed extra-parlamentari, pagherebbe al fisco solo una minima parte (8,6 milioni versati) di un antico ed enorme debito (350 milioni dovuti)? Come posso fare dell'etica la stella polare della mia teologia e poi pubblicare i miei libri con un'azienda che non solo dell'etica ma anche del diritto mostrerebbe, in questo caso, una concezione alquanto singolare?
Io sono legato da tempo alla Mondadori, era il 1997 quando vi entrai come consulente editoriale della saggistica fondandovi una collana di religione e spiritualità, poi nel 2002 ebbi l'onore di diventarne autore quando il comitato editoriale accettò il mio saggio sull'handicap come problema teologico, onore ripetuto nel 2005 e nel 2009 con altri due libri.
Conosco bene i cinque piani di palazzo Niemeyer a Segrate, gli uffici open-space, i corridoi interminabili dove si incontra chiunque (scrittori, politici, cantanti, calciatori, scienziati, matematici, preti, comici...), la mensa dove per parlare con il vicino spesso bisogna gridare, il ristorantino vip, lo spaccio dove si comprano i libri a metà prezzo, le redazioni dei settimanali e dei femminili, l'auditorium dove presentavo ai venditori i libri in uscita e di recente il libro che sto scrivendo. So dove si trovano le macchinette del caffè, luogo di ritrovi e di battute, e di gara con gli amici a chi mette per primo la monetina. Ecco, gli amici. Impossibile per me parlare della Mondadori e non rivedere i loro volti e non provare ancora una volta ammirazione e stima per la loro professionalità. Perché questo anzitutto la Mondadori è: una grande azienda di brillanti professionisti. Del resto a parlare sono i titoli e i fatturati, sono i lettori italiani che continuano a premiare con le loro scelte il lavoro di un'editrice che va avanti dal 1907. Un lavoro in grado di vincere anche in qualità, basti pensare alla collezione dei Meridiani, ai Meridiani dello Spirito, ai classici greci e latini della Fondazione Valla. E se uno avesse dei dubbi, prenda in mano il catalogo degli Oscar e di sicuro gli passeranno, perché si ritroverà tra le mani una vera e propria enciclopedia della scienza editoriale in compendio.
Per questo il mio dubbio, dopo l'articolo di Giannini, è pesante. Leggendo ho appreso che non si tratta più di accettare una proprietà che può piacere oppure no ma che non ha nulla a che fare con le scelte editoriali, cioè con l'azienda nella sua essenza. Stavolta è la Mondadori in quanto tale a essere coinvolta, non solo il suo proprietario per i soliti motivi che non hanno nulla a che fare con l'editoria libraria. Quindi stavolta come autore non posso più dire a me stesso che l'editrice in quanto tale non c'entra nulla con gli affari politici e giudiziari del suo proprietario, perché ora l'editrice c'entra, eccome se c'entra, se è vero che di 350 milioni dovuti al fisco ne viene a pagare solo 8,6 dopo quasi vent'anni, e senza neppure un euro di interesse per il ritardo, interessi che invece a un normale cittadino nessuno defalca se non paga nei tempi dovuti il bollo auto, il canone tv o uno degli altri bollettini a tutti noti.
Eccomi quindi qui con la coscienza in tempesta: da un lato il poter far parte di un programma editoriale di prima qualità venendo anche ben retribuito, dall'altro il non voler avere nulla a che fare con chi speculerebbe sugli appoggi politici di cui gode. Da un lato un debito di riconoscenza per l'editrice che ha avuto fiducia in me quando ero sconosciuto, dall'altro il dovere civico di contrastare un'inedita legge ad aziendam che si sommerebbe alle 36 leggi ad personam già confezionate per l'attuale primo ministro (riprendo il numero delle leggi dall'articolo di Giannini e mi scuso per il latino ipermaccheronico "ad aziendam", ma ho preso atto che oggi si dice così). A tutto questo si aggiunge lo stupore per il fatto che il Corriere della Sera, gruppo Rizzoli principale concorrente Mondadori, finora abbia dedicato una notizia di poche righe alla questione: come mai?
Nella mia incertezza ho deciso di scrivere questo articolo. Spero infatti che a seguito di esso qualcuno tra i dirigenti della Mondadori possa spiegare pubblicamente cosa c'è che non va nell'articolo di Giannini, perché e in che cosa esagera e non corrisponde a verità. Io sarei il primo a gioirne. Spero inoltre che anche altri autori Mondadori che scrivono su questo giornale possano dire come la pensano e cosa rispondono alla loro coscienza. Sto parlando di firme come Corrado Augias, Pietro Citati, Federico Rampini, Roberto Saviano, Nadia Fusini, Piergiorgio Odifreddi, Michela Marzano... Se poi allarghiamo il tiro alle editrici controllate interamente dalla Mondadori (il che, in questo caso, mi pare oggettivamente doveroso) arriviamo all'Einaudi e a nomi come Eugenio Scalfari, Gustavo Zagrebelsky, Adriano Prosperi... Sono tutte personalità di grande spessore e per questo sarei loro riconoscente se contribuissero a risolvere qualcuno dei dubbi sollevati da questa inedita legge ad aziendam nella coscienza di un autore del Gruppo Mondadori
Mondadori salvata dal Fisco
scandalo "ad aziendam" per il Cavaliere
La somma dovuta dall'azienda editoriale: 173 milioni, più imposte, interessi, indennità di mora e sanzioni. Una norma che si somma ai 36 provvedimenti "ad personam" fatti licenziare alle Camere dal premier. Segrate è difesa al meglio: i suoi interessi li cura lo studio tributario di Giulio Tremonti, nel '91 non ancora ministro. Marina Berlusconi mette da parte 8,6 milioni, in attesa delle integrazioni al decreto. Che puntualmente arrivano
di MASSIMO GIANNINI 19 agosto 2010
Sotto i nostri occhi, distolti dalla Parentopoli privata di Gianfranco Fini usata come arma di distruzione politica e di distrazione di massa, sta passando uno scandalo pubblico che non stiamo vedendo. Questo scandalo si chiama Mondadori. Il colosso editoriale di Segrate - di cui il premier Berlusconi è "mero proprietario" e la figlia Marina è presidente - doveva al Fisco la bellezza di 400 miliardi di vecchie lire, per una controversia iniziata nel '91. Grazie al decreto numero 40, approvato dal governo il 25 marzo e convertito in legge il 22 maggio, potrà chiudere la maxi-vertenza pagando un mini-tributo: non i 350 milioni di euro previsti (tra mancati versamenti d'imposta, sanzioni e interessi) ma solo 8,6. E amici come prima.
Un "condono riservato". Meglio ancora, una legge "ad aziendam". Che si somma alle 36 leggi "ad personam" volute e fatte licenziare dalle Camere dal Cavaliere, in questi tumultuosi quindici anni di avventurismo politico. Repubblica ha già dato la notizia, in splendida solitudine, l'11 agosto scorso. Ma ora che il centrodestra discute di una "questione morale" al suo interno, ora che la propaganda di regime costruisce teoremi assolutori sul "così fan tutti" e la macchina del fango istruisce dossier avvelenati sulle compravendite immobiliari, è utile tornarci su. E raccontare fin dall'inizio la storia, che descrive meglio di ogni altra l'enormità del conflitto di interessi del premier, il micidiale intreccio tra funzioni pubbliche e affari privati, l'uso personale del potere esecutivo e l'abuso politico sul potere legislativo.
Il prologo: paura a Segrate
La vicenda inizia nel 1991, quando il marchio Mondadori, da poco entrato nell'orbita berlusconiana, decide di varare una vasta riorganizzazione nelle province dell'impero. Scatta una fusione infragruppo tra la stessa Arnoldo Mondadori Editore e la Arnoldo Mondadori Editore Finanziaria (Amef). Operazioni molto in voga, soprattutto all'epoca, per nascondere plusvalenze e pagare meno tasse. Il Fisco se ne accorge, scattano gli accertamenti, e le Finanze chiedono inizialmente 200 miliardi di imposte da versare. L'azienda ricorre e si apre il solito, lunghissimo contenzioso. Da allora, la Mondadori vince i due round iniziali, davanti alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado. È assistita al meglio: i suoi interessi fiscali li cura, in aula, lo studio tributario di Giulio Tremonti, nel 1991 non ancora ministro delle Finanze (lo diventerà nel '94, con il primo governo Berlusconi). Nell'autunno del 2008 l'Agenzia delle Entrate presenta il suo ricorso in terzo grado, alla Cassazione. Nel frattempo la somma dovuta dall'azienda editoriale del presidente del Consiglio è lievitata: 173 milioni di euro di imposte dovute, alle quali si devono aggiungere gli interessi, le indennità di mora e le eventuali sanzioni. Il totale fa 350 milioni di euro, appunto.
Se la Suprema Corte accogliesse il ricorso, per Segrate sarebbe un salasso pesantissimo. Soprattutto in una fase di crisi drammatica per il mercato editoriale, affogato quanto e più di altri settori dalla "tempesta perfetta" dei mutui subprime che dal 2007 in poi sommerge l'economia del pianeta. Così, nel silenzio che aleggia sull'intera vicenda e nel circuito perverso del berlusconismo che lega la famiglia naturale alla famiglia politica, scatta un piano con le relative contromisure. Che non sono aziendali, secondo il principio del liberalismo classico: mi difendo "nel" mercato, e non "dal" mercato. Ma normative, secondo il principio del liberismo berlusconiano: se dal mercato non mi posso difendere, cambio le leggi. Un "metodo" collaudato, ormai, che anche sul fronte dell'economia (come avviene da anni su quello della giustizia) esige il "salto di qualità": chiamando in causa la politica, mobilitando il partito del premier, militarizzando il Parlamento. Un "metodo" che, nel caso specifico, si tradurrà in tre tentativi successivi di piegare l'ordinamento generale in funzione di un vantaggio particolare. I primi due falliranno. Il terzo centrerà l'obiettivo.
Il primo tentativo: il "pacchetto giustizia"
Siamo all'inverno 2008. Nessuno sa nulla, del braccio di ferro che vede impegnate la Mondadori e l'Amministrazione Finanziaria. Nel frattempo, il 13 aprile dello stesso anno il Cavaliere ha stravinto le elezioni, è di nuovo capo del governo, e Tremonti, da "difensore" del colosso di Segrate in veste di tributarista, è diventato "accusatore" del gruppo, in veste di ministro dell'Economia. Può scattare il primo tentativo. E nessuno si insospettisce, quando nel mese di dicembre un altro ministro del Berlusconi Terzo, il guardasigilli Angelino Alfano, presenta il suo corposo "pacchetto giustizia" nel quale, insieme al processo breve e alla nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche, compare anche la cosiddetta "definizione agevolata delle liti tributarie". Una norma stringatissima: prevede che nelle controversie fiscali nelle quali abbia avuto una sentenza favorevole, in primo e in secondo grado, il contribuente può estinguere la pendenza, senza aspettare l'eventuale pronuncia successiva in terzo grado (cioè la Cassazione) versando all'erario il 5% del dovuto. È un piccolo "colpo di spugna", senz'altro. Ma è l'ennesimo, e sembra rientrare nella logica delle sanatorie generalizzate, delle quali i governi di centrodestra sono da sempre paladini. In realtà, è esattamente il "condono riservato" che serve alla Mondadori.
L'operazione non riesce. Il treno del "pacchetto giustizia", che veicola la pillola avvelenata di quello che poi sarà ribattezzato il "Lodo Cassazione", non parte. La dura reazione del Quirinale, dei magistrati e dell'opposizione, sia sul processo breve che sulle intercettazioni, costringe Alfano allo stop. "Il pacchetto giustizia è rinviato al prossimo anno", dichiara il Guardasigilli alla vigilia di Natale. Così si blocca anche la "leggina" salva-Mondadori. Ma dietro le quinte, nei primi mesi del 2009, non si blocca il lavoro dell'inner circle del presidente del Consiglio. Il tempo stringe: la Cassazione ha già fissato l'udienza per il 28 ottobre 2009, di fronte alla sezione tributaria, per discutere della controversia fiscale tra l'Agenzia delle Entrate e l'azienda di Segrate. Così scatta il secondo tentativo. In autunno si discute alla Camera la Legge Finanziaria per il 2010. È il secondo "treno" in partenza, e per chi lavora a tutelare gli affari del premier è da prendere al volo.
Il secondo tentativo: la Finanziaria
Giusto alla vigilia dell'udienza davanti alla sezione tributaria della Suprema Corte, presieduta da un magistrato notoriamente inflessibile come Enrico Altieri, accadono due fatti. Il primo fatto accade al "Palazzaccio" di Piazza Cavour: il 27 ottobre il presidente della Cassazione Vincenzo Carbone (che poi risulterà pesantemente coinvolto nello scandalo della cosiddetta P3) decide a sorpresa di togliere la causa Agenzia delle Entrate/Mondadori alla sezione tributaria, e di affidarla alle Sezioni Unite come richiesto dagli avvocati di Segrate, con l'ovvio slittamento dei tempi in cui verrà discussa. Il secondo fatto accade a Montecitorio: il 29 ottobre, in piena notte, il presidente della Commissione Bilancio Antonio Azzolini, ovviamente del Pdl, trasmette alla Camera il testo di due emendamenti alla Finanziaria. Il primo innalza da 75 a 78 anni l'età di pensionamento per i magistrati della Cassazione (Carbone, il presidente che due giorni prima ha deciso di attribuire la causa Mondadori alle Sezioni Unite, sta per compiere proprio 75 anni, e quindi dovrebbe lasciare il servizio di lì a poco). Il secondo riproduce testualmente la "definizione agevolata delle liti tributarie" già prevista un anno prima dal "pacchetto giustizia" di Alfano. È di nuovo la legge "ad aziendam", che stavolta, con la corsia preferenziale della manovra economica, non può non arrivare al traguardo.
Ma anche questo secondo tentativo fallisce. Stavolta, a bloccarlo, è Gianfranco Fini. La mattina del 30 ottobre, cioè poche ore dopo il blitz notturno di Azzolini, il relatore alla Finanziaria Maurizio Sala (ex An) avverte il presidente della Camera: "Leggiti questo emendamento che consente a chi è in causa con il Fisco e ha avuto ragione in primo e in secondo grado di evitare la Cassazione pagando un obolo del 5%: c'è del marcio in Danimarca...". Fini legge, e capisce tutto. È l'emendamento salva-Mondadori, con la manovra non c'entra nulla, e non può passare. La norma salta ancora una volta. E non a caso, proprio in quella fase, cominciano a crescere le tensioni politiche tra Berlusconi e Fini, che due anni dopo porteranno alla rottura. Ma crescono anche le preoccupazioni di Marina sull'andamento dei conti di Segrate. Per questo il premier e i suoi uomini non demordono, e di lì a poco tornano all'attacco. Scatta il terzo tentativo. Siamo ai primi mesi del 2010, e sui binari di Palazzo Chigi c'è un terzo "treno" pronto a partire. Il 25 marzo il governo vara il decreto legge numero 40. È il cosiddetto "decreto incentivi", un provvedimento monstre, dove l'esecutivo infila di tutto. Durante l'iter di conversione, il Parlamento completa l'opera. Il 28 aprile, ancora una volta durante una seduta notturna, un altro parlamentare del Pdl, Alessandro Pagano, ripete il blitz, e ripresenta un emendamento con la norma salva-Mondadori.
Il terzo tentativo: il "decreto incentivi"
Stavolta, finalmente, l'operazione riesce. Il 22 maggio le Camere convertono definitivamente il decreto. All'articolo 3, relativo alla "rapida definizione delle controversie tributarie pendenti da oltre 10 anni e per le quali l'Amministrazione Finanziaria è risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio", il comma 2 bis traduce in legge la norma "ad aziendam": "Il contribuente può estinguere la controversia pagando un importo pari al 5% del suo valore (riferito alle sole imposte oggetto di contestazione, in primo grado, senza tener conto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni)". E pazienza se il presidente della Repubblica Napolitano, poco dopo, sul "decreto incentivi" invia alle Camere un messaggio per esprimere "dubbi in ordine alla sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza, per alcune nuove disposizioni introdotte, con emendamento, nel corso del dibattito parlamentare". E pazienza se la critica del Quirinale riguarda proprio quell'articolo 3, comma 2 bis. Ormai il gioco è fatto. Il colosso editoriale di proprietà del presidente del Consiglio è sostanzialmente salvo. Per consentire alla Mondadori di chiudere definitivamente i conti con il Fisco manca ancora un banale dettaglio, che rende necessario un ultimo passaggio parlamentare. Il decreto 40 non ha precisato che, per considerare concluso a tutti gli effetti il contenzioso, occorre la certificazione da parte dell'Amministrazione Finanziaria.
Per questo, nel bilancio semestrale 2010 del gruppo di Segrate, presentato il 30 giugno scorso, Marina Berlusconi fa accantonare "8.653 migliaia di euro relativi al versamento dell'importo previsto dal decreto legge 25 marzo 2010, numero 40" sulla "chiusura delle liti pendenti", e fa scrivere, a pagina 61, al capitolo "Altre attività correnti": "Pur nella convinzione della correttezza del proprio operato, e con l'obiettivo di non esporre la società a una situazione di incertezza ulteriore, sono state attuate le attività preparatorie rispetto al procedimento sopra richiamato. In particolare si è proceduto all'effettuazione del versamento sopra richiamato. Nelle more della definizione del quadro normativo, a fronte dell'introduzione di specifiche attestazioni da parte dell'Amministrazione Finanziaria previste nelle ultime modifiche al decreto, e tenuto anche conto del fatto che gli atti necessari per il perfezionamento del procedimento e l'acquisizione dei relativi effetti non sono stati ancora completati, la società ha ritenuto di iscrivere l'importo anticipato nella posta in esame...". Ricapitolando: la Mondadori mette da parte poco più di 8,6 milioni di euro, cioè il 5% dei 173 che avrebbe dovuto al Fisco (al netto di sanzioni e interessi), in attesa di considerare perfezionato il versamento al Fisco in base alle ultime integrazioni al decreto che saranno effettuate in Parlamento. E le integrazioni arrivano puntuali, alla Camera, il 7 luglio: nella manovra 2011 il relatore Antonio Azzolini (ancora lui) inserisce l'emendamento finale: "L'avvenuto pagamento estingue il giudizio a seguito dell'attestazione degli uffici dell'Amministrazione Finanziaria comprovanti la regolarità dell'istanza e il pagamento integrale di quanto dovuto". Ci siamo: ora il "delitto" è davvero perfetto. La Mondadori può pagare pochi spiccioli, e chiudere in gloria e per sempre la guerra con l'Erario, che a sua volta gliene da atto rilasciandogli regolare "quietanza".
L'epilogo: una nazione "ad personam"?
Sembra un romanzaccio di fanta-finanza o di fanta-politica. È invece la pura e semplice cronaca di un pasticciaccio di regime. Nel quale tutto è vero, tutto torna e tutto si tiene. Stavolta Berlusconi non può dire "non mi occupo degli affari delle mie aziende": non è forse vero che il 3 dicembre 2009 (come riportato testualmente dalle intercettazioni dell'inchiesta di Trani) nel pieno del secondo tentativo di far passare la legge "ad aziendam" dice al telefono al commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi "è una cosa pazzesca, ho il fisco che mi chiede 900 milioni... De Benedetti che me li chiede ma ha già avuto una sentenza a favore, 750 milioni, pensa te, e mia moglie che mi chiede 90 miliardi delle vecchie lire all'anno... sono messo bene, no?". Stavolta Berlusconi non può dire che Carboni, Martino e Lombardi sono solo "quattro sfigati in pensione": non è forse vero che nelle 15 mila pagine dell'inchiesta delle procure sulla cosiddetta P3 la parola "Mondadori" ricorre 430 volte (insieme alle 27 in cui si ripete la parola "Cesare") e che nella frenetica attività della rete criminale creata per condizionare i magistrati nell'interesse del premier sono finiti sia il presidente della Cassazione Carbone (cui come abbiamo visto spettava il compito di dirottare alle Sezioni Unite la vertenza Mondadori-Agenzia delle Entrate) sia il presidente dell'Avvocatura dello Stato Oscar Fiumara (cui competeva il necessario via libera a quel "dirottamento"?).
È tutto agli atti. Una sola domanda: di fronte a un simile sfregio delle norme del diritto, un simile spregio dei principi del mercato e un simile spreco di denaro pubblico, ci si chiede come possano tacere le istituzioni, le forze politiche, le Confindustrie, gli organi di informazione. Possibile che "ad personam", o "ad aziendam", sia ormai diventata un'intera nazione?
m.giannini@repubblica. It
Io potrei non sapere cosa produce la Mondadori”, né conoscerne la proprietà, ma so soltanto che l’attuale governo Berlusconi ha approvato l’ennesima legge salva evasori (si pensava che dopo lo scudo di sarebbero vergognati … ma la faccia di tolla non arrossisce mai!), so che con poco più di 8,6 milioni, pari al 5% di quanto dovuto al fisco l’azienda ha lucrato, non ha rischiato niente, molto di più dei 173 milioni dovuti.
Certo, in un momento di crisi, appare giusto aiutare le aziende in sofferenza, ma che almeno abbiano una conduzione aziendale virtuosa e siano in regola col fisco.
Ma la proprietà, anche per i suoi interessi economici diversificati, produce ville e yacht per figli e nipoti. Così, mentre il Paese è alle prese con la crisi più grave del dopoguerra, mentre molte piccole e medie aziende chiudono, lasciando i dipendenti in mezzo ad una strada, mentre le tasse aumentano e il fisco fa la voce grossa con i contribuenti da busta paga, quando c’è, il governo si preoccupa del pacco dono alla Mondadori. Il governo del fare … fa, non gli interessi dei cittadini, ma della famiglia del Presidente del Consiglio. E lo può fare perché l’Italia è un Paese virtuoso la cui economia va a gonfie vele e Tremonti … meno male che Dio ce ne ha fatto dono.
La videoinformazione, quella che entra in tutte le case, e i giornali di famiglia all’unisono ci presentano un Paese da favola, senza problemi, con le autostrade intasate, da bollino nero, e i luoghi di villeggiatura stracolmi. Le aziende chiudono? È cattiva informazione! I disoccupati o i cassaintegrati aumentano? Ma dove, forse nei Paesi vicini!
I disoccupati, i giovani in cerca di primo impiego, i pensionati, per l’informazione asservita non esistono. Sono degli ectoplasmi,meglio non parlarne, specie ad Agosto. È più redditzio parlare di Fini e dei finiani, delle elezioni o del governo tecnico … tanto tra qualche giorno inizia il campionato di calcio, inizia il tifo, che volete importi ai … telespettatori della Mondadori, di Verdini della P3 o dei ministri e sottosegretari sotto inchiesta.
Viva Berlusconi e il suo governo, viva l’Italia dell’ottimismo senza base, viva l’Italia degli affaristi e dei furbetti, degli intrallazzatori e dei piduisti, viva lItalia degli evasori e dei corrotti, viva l’Italia degli imprenditori senza dignità e senza soldi, dei giornalisti prezzolati e degli organi di controllo asserviti, viva … viva … viva … viva …
È cosa giusta e buona che i lavoratori paghino le tasse e che i nuovi cittadini ne godano!
Meno male che Silvio c’è!
P.S.: mi sembra molto interessante la proposta di Vito Mancuso. Se fossi uno degli intellettuali citati mi schiererei al suo fianco, in una campagna di denuncia su quanto sta accadendo nel nostro Paese, che mortifica il diritto e la carta costituzionale.
Io, autore Mondadori
e lo scandalo "ad aziendam"
di VITO MANCUSO 21 agosto 2010 Repubblica.it
Da quando ho letto l'articolo di Massimo Giannini 1 giovedì scorso 19 agosto non ho potuto smettere di pensarci. Ho provato a fare altro e a concentrarmi sul mio lavoro, ma dato che in questi giorni esso consiste proprio nella stesura del nuovo libro che a breve dovrei consegnare alla Mondadori, mi è sempre risultato impossibile distogliere dalla mente i pensieri abbastanza cupi che vi si affacciavano. La domanda era sempre quella: come posso adesso, se quello che scrive Giannini corrisponde al vero, continuare a pubblicare con la Mondadori e rimanere a posto con la mia coscienza? Come posso fondare il mio pensiero sul bene e sulla giustizia, e poi contribuire al programma editoriale di un'azienda che a quanto pare, godendo di favori parlamentari ed extra-parlamentari, pagherebbe al fisco solo una minima parte (8,6 milioni versati) di un antico ed enorme debito (350 milioni dovuti)? Come posso fare dell'etica la stella polare della mia teologia e poi pubblicare i miei libri con un'azienda che non solo dell'etica ma anche del diritto mostrerebbe, in questo caso, una concezione alquanto singolare?
Io sono legato da tempo alla Mondadori, era il 1997 quando vi entrai come consulente editoriale della saggistica fondandovi una collana di religione e spiritualità, poi nel 2002 ebbi l'onore di diventarne autore quando il comitato editoriale accettò il mio saggio sull'handicap come problema teologico, onore ripetuto nel 2005 e nel 2009 con altri due libri.
Conosco bene i cinque piani di palazzo Niemeyer a Segrate, gli uffici open-space, i corridoi interminabili dove si incontra chiunque (scrittori, politici, cantanti, calciatori, scienziati, matematici, preti, comici...), la mensa dove per parlare con il vicino spesso bisogna gridare, il ristorantino vip, lo spaccio dove si comprano i libri a metà prezzo, le redazioni dei settimanali e dei femminili, l'auditorium dove presentavo ai venditori i libri in uscita e di recente il libro che sto scrivendo. So dove si trovano le macchinette del caffè, luogo di ritrovi e di battute, e di gara con gli amici a chi mette per primo la monetina. Ecco, gli amici. Impossibile per me parlare della Mondadori e non rivedere i loro volti e non provare ancora una volta ammirazione e stima per la loro professionalità. Perché questo anzitutto la Mondadori è: una grande azienda di brillanti professionisti. Del resto a parlare sono i titoli e i fatturati, sono i lettori italiani che continuano a premiare con le loro scelte il lavoro di un'editrice che va avanti dal 1907. Un lavoro in grado di vincere anche in qualità, basti pensare alla collezione dei Meridiani, ai Meridiani dello Spirito, ai classici greci e latini della Fondazione Valla. E se uno avesse dei dubbi, prenda in mano il catalogo degli Oscar e di sicuro gli passeranno, perché si ritroverà tra le mani una vera e propria enciclopedia della scienza editoriale in compendio.
Per questo il mio dubbio, dopo l'articolo di Giannini, è pesante. Leggendo ho appreso che non si tratta più di accettare una proprietà che può piacere oppure no ma che non ha nulla a che fare con le scelte editoriali, cioè con l'azienda nella sua essenza. Stavolta è la Mondadori in quanto tale a essere coinvolta, non solo il suo proprietario per i soliti motivi che non hanno nulla a che fare con l'editoria libraria. Quindi stavolta come autore non posso più dire a me stesso che l'editrice in quanto tale non c'entra nulla con gli affari politici e giudiziari del suo proprietario, perché ora l'editrice c'entra, eccome se c'entra, se è vero che di 350 milioni dovuti al fisco ne viene a pagare solo 8,6 dopo quasi vent'anni, e senza neppure un euro di interesse per il ritardo, interessi che invece a un normale cittadino nessuno defalca se non paga nei tempi dovuti il bollo auto, il canone tv o uno degli altri bollettini a tutti noti.
Eccomi quindi qui con la coscienza in tempesta: da un lato il poter far parte di un programma editoriale di prima qualità venendo anche ben retribuito, dall'altro il non voler avere nulla a che fare con chi speculerebbe sugli appoggi politici di cui gode. Da un lato un debito di riconoscenza per l'editrice che ha avuto fiducia in me quando ero sconosciuto, dall'altro il dovere civico di contrastare un'inedita legge ad aziendam che si sommerebbe alle 36 leggi ad personam già confezionate per l'attuale primo ministro (riprendo il numero delle leggi dall'articolo di Giannini e mi scuso per il latino ipermaccheronico "ad aziendam", ma ho preso atto che oggi si dice così). A tutto questo si aggiunge lo stupore per il fatto che il Corriere della Sera, gruppo Rizzoli principale concorrente Mondadori, finora abbia dedicato una notizia di poche righe alla questione: come mai?
Nella mia incertezza ho deciso di scrivere questo articolo. Spero infatti che a seguito di esso qualcuno tra i dirigenti della Mondadori possa spiegare pubblicamente cosa c'è che non va nell'articolo di Giannini, perché e in che cosa esagera e non corrisponde a verità. Io sarei il primo a gioirne. Spero inoltre che anche altri autori Mondadori che scrivono su questo giornale possano dire come la pensano e cosa rispondono alla loro coscienza. Sto parlando di firme come Corrado Augias, Pietro Citati, Federico Rampini, Roberto Saviano, Nadia Fusini, Piergiorgio Odifreddi, Michela Marzano... Se poi allarghiamo il tiro alle editrici controllate interamente dalla Mondadori (il che, in questo caso, mi pare oggettivamente doveroso) arriviamo all'Einaudi e a nomi come Eugenio Scalfari, Gustavo Zagrebelsky, Adriano Prosperi... Sono tutte personalità di grande spessore e per questo sarei loro riconoscente se contribuissero a risolvere qualcuno dei dubbi sollevati da questa inedita legge ad aziendam nella coscienza di un autore del Gruppo Mondadori
Mondadori salvata dal Fisco
scandalo "ad aziendam" per il Cavaliere
La somma dovuta dall'azienda editoriale: 173 milioni, più imposte, interessi, indennità di mora e sanzioni. Una norma che si somma ai 36 provvedimenti "ad personam" fatti licenziare alle Camere dal premier. Segrate è difesa al meglio: i suoi interessi li cura lo studio tributario di Giulio Tremonti, nel '91 non ancora ministro. Marina Berlusconi mette da parte 8,6 milioni, in attesa delle integrazioni al decreto. Che puntualmente arrivano
di MASSIMO GIANNINI 19 agosto 2010
Sotto i nostri occhi, distolti dalla Parentopoli privata di Gianfranco Fini usata come arma di distruzione politica e di distrazione di massa, sta passando uno scandalo pubblico che non stiamo vedendo. Questo scandalo si chiama Mondadori. Il colosso editoriale di Segrate - di cui il premier Berlusconi è "mero proprietario" e la figlia Marina è presidente - doveva al Fisco la bellezza di 400 miliardi di vecchie lire, per una controversia iniziata nel '91. Grazie al decreto numero 40, approvato dal governo il 25 marzo e convertito in legge il 22 maggio, potrà chiudere la maxi-vertenza pagando un mini-tributo: non i 350 milioni di euro previsti (tra mancati versamenti d'imposta, sanzioni e interessi) ma solo 8,6. E amici come prima.
Un "condono riservato". Meglio ancora, una legge "ad aziendam". Che si somma alle 36 leggi "ad personam" volute e fatte licenziare dalle Camere dal Cavaliere, in questi tumultuosi quindici anni di avventurismo politico. Repubblica ha già dato la notizia, in splendida solitudine, l'11 agosto scorso. Ma ora che il centrodestra discute di una "questione morale" al suo interno, ora che la propaganda di regime costruisce teoremi assolutori sul "così fan tutti" e la macchina del fango istruisce dossier avvelenati sulle compravendite immobiliari, è utile tornarci su. E raccontare fin dall'inizio la storia, che descrive meglio di ogni altra l'enormità del conflitto di interessi del premier, il micidiale intreccio tra funzioni pubbliche e affari privati, l'uso personale del potere esecutivo e l'abuso politico sul potere legislativo.
Il prologo: paura a Segrate
La vicenda inizia nel 1991, quando il marchio Mondadori, da poco entrato nell'orbita berlusconiana, decide di varare una vasta riorganizzazione nelle province dell'impero. Scatta una fusione infragruppo tra la stessa Arnoldo Mondadori Editore e la Arnoldo Mondadori Editore Finanziaria (Amef). Operazioni molto in voga, soprattutto all'epoca, per nascondere plusvalenze e pagare meno tasse. Il Fisco se ne accorge, scattano gli accertamenti, e le Finanze chiedono inizialmente 200 miliardi di imposte da versare. L'azienda ricorre e si apre il solito, lunghissimo contenzioso. Da allora, la Mondadori vince i due round iniziali, davanti alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado. È assistita al meglio: i suoi interessi fiscali li cura, in aula, lo studio tributario di Giulio Tremonti, nel 1991 non ancora ministro delle Finanze (lo diventerà nel '94, con il primo governo Berlusconi). Nell'autunno del 2008 l'Agenzia delle Entrate presenta il suo ricorso in terzo grado, alla Cassazione. Nel frattempo la somma dovuta dall'azienda editoriale del presidente del Consiglio è lievitata: 173 milioni di euro di imposte dovute, alle quali si devono aggiungere gli interessi, le indennità di mora e le eventuali sanzioni. Il totale fa 350 milioni di euro, appunto.
Se la Suprema Corte accogliesse il ricorso, per Segrate sarebbe un salasso pesantissimo. Soprattutto in una fase di crisi drammatica per il mercato editoriale, affogato quanto e più di altri settori dalla "tempesta perfetta" dei mutui subprime che dal 2007 in poi sommerge l'economia del pianeta. Così, nel silenzio che aleggia sull'intera vicenda e nel circuito perverso del berlusconismo che lega la famiglia naturale alla famiglia politica, scatta un piano con le relative contromisure. Che non sono aziendali, secondo il principio del liberalismo classico: mi difendo "nel" mercato, e non "dal" mercato. Ma normative, secondo il principio del liberismo berlusconiano: se dal mercato non mi posso difendere, cambio le leggi. Un "metodo" collaudato, ormai, che anche sul fronte dell'economia (come avviene da anni su quello della giustizia) esige il "salto di qualità": chiamando in causa la politica, mobilitando il partito del premier, militarizzando il Parlamento. Un "metodo" che, nel caso specifico, si tradurrà in tre tentativi successivi di piegare l'ordinamento generale in funzione di un vantaggio particolare. I primi due falliranno. Il terzo centrerà l'obiettivo.
Il primo tentativo: il "pacchetto giustizia"
Siamo all'inverno 2008. Nessuno sa nulla, del braccio di ferro che vede impegnate la Mondadori e l'Amministrazione Finanziaria. Nel frattempo, il 13 aprile dello stesso anno il Cavaliere ha stravinto le elezioni, è di nuovo capo del governo, e Tremonti, da "difensore" del colosso di Segrate in veste di tributarista, è diventato "accusatore" del gruppo, in veste di ministro dell'Economia. Può scattare il primo tentativo. E nessuno si insospettisce, quando nel mese di dicembre un altro ministro del Berlusconi Terzo, il guardasigilli Angelino Alfano, presenta il suo corposo "pacchetto giustizia" nel quale, insieme al processo breve e alla nuova disciplina delle intercettazioni telefoniche, compare anche la cosiddetta "definizione agevolata delle liti tributarie". Una norma stringatissima: prevede che nelle controversie fiscali nelle quali abbia avuto una sentenza favorevole, in primo e in secondo grado, il contribuente può estinguere la pendenza, senza aspettare l'eventuale pronuncia successiva in terzo grado (cioè la Cassazione) versando all'erario il 5% del dovuto. È un piccolo "colpo di spugna", senz'altro. Ma è l'ennesimo, e sembra rientrare nella logica delle sanatorie generalizzate, delle quali i governi di centrodestra sono da sempre paladini. In realtà, è esattamente il "condono riservato" che serve alla Mondadori.
L'operazione non riesce. Il treno del "pacchetto giustizia", che veicola la pillola avvelenata di quello che poi sarà ribattezzato il "Lodo Cassazione", non parte. La dura reazione del Quirinale, dei magistrati e dell'opposizione, sia sul processo breve che sulle intercettazioni, costringe Alfano allo stop. "Il pacchetto giustizia è rinviato al prossimo anno", dichiara il Guardasigilli alla vigilia di Natale. Così si blocca anche la "leggina" salva-Mondadori. Ma dietro le quinte, nei primi mesi del 2009, non si blocca il lavoro dell'inner circle del presidente del Consiglio. Il tempo stringe: la Cassazione ha già fissato l'udienza per il 28 ottobre 2009, di fronte alla sezione tributaria, per discutere della controversia fiscale tra l'Agenzia delle Entrate e l'azienda di Segrate. Così scatta il secondo tentativo. In autunno si discute alla Camera la Legge Finanziaria per il 2010. È il secondo "treno" in partenza, e per chi lavora a tutelare gli affari del premier è da prendere al volo.
Il secondo tentativo: la Finanziaria
Giusto alla vigilia dell'udienza davanti alla sezione tributaria della Suprema Corte, presieduta da un magistrato notoriamente inflessibile come Enrico Altieri, accadono due fatti. Il primo fatto accade al "Palazzaccio" di Piazza Cavour: il 27 ottobre il presidente della Cassazione Vincenzo Carbone (che poi risulterà pesantemente coinvolto nello scandalo della cosiddetta P3) decide a sorpresa di togliere la causa Agenzia delle Entrate/Mondadori alla sezione tributaria, e di affidarla alle Sezioni Unite come richiesto dagli avvocati di Segrate, con l'ovvio slittamento dei tempi in cui verrà discussa. Il secondo fatto accade a Montecitorio: il 29 ottobre, in piena notte, il presidente della Commissione Bilancio Antonio Azzolini, ovviamente del Pdl, trasmette alla Camera il testo di due emendamenti alla Finanziaria. Il primo innalza da 75 a 78 anni l'età di pensionamento per i magistrati della Cassazione (Carbone, il presidente che due giorni prima ha deciso di attribuire la causa Mondadori alle Sezioni Unite, sta per compiere proprio 75 anni, e quindi dovrebbe lasciare il servizio di lì a poco). Il secondo riproduce testualmente la "definizione agevolata delle liti tributarie" già prevista un anno prima dal "pacchetto giustizia" di Alfano. È di nuovo la legge "ad aziendam", che stavolta, con la corsia preferenziale della manovra economica, non può non arrivare al traguardo.
Ma anche questo secondo tentativo fallisce. Stavolta, a bloccarlo, è Gianfranco Fini. La mattina del 30 ottobre, cioè poche ore dopo il blitz notturno di Azzolini, il relatore alla Finanziaria Maurizio Sala (ex An) avverte il presidente della Camera: "Leggiti questo emendamento che consente a chi è in causa con il Fisco e ha avuto ragione in primo e in secondo grado di evitare la Cassazione pagando un obolo del 5%: c'è del marcio in Danimarca...". Fini legge, e capisce tutto. È l'emendamento salva-Mondadori, con la manovra non c'entra nulla, e non può passare. La norma salta ancora una volta. E non a caso, proprio in quella fase, cominciano a crescere le tensioni politiche tra Berlusconi e Fini, che due anni dopo porteranno alla rottura. Ma crescono anche le preoccupazioni di Marina sull'andamento dei conti di Segrate. Per questo il premier e i suoi uomini non demordono, e di lì a poco tornano all'attacco. Scatta il terzo tentativo. Siamo ai primi mesi del 2010, e sui binari di Palazzo Chigi c'è un terzo "treno" pronto a partire. Il 25 marzo il governo vara il decreto legge numero 40. È il cosiddetto "decreto incentivi", un provvedimento monstre, dove l'esecutivo infila di tutto. Durante l'iter di conversione, il Parlamento completa l'opera. Il 28 aprile, ancora una volta durante una seduta notturna, un altro parlamentare del Pdl, Alessandro Pagano, ripete il blitz, e ripresenta un emendamento con la norma salva-Mondadori.
Il terzo tentativo: il "decreto incentivi"
Stavolta, finalmente, l'operazione riesce. Il 22 maggio le Camere convertono definitivamente il decreto. All'articolo 3, relativo alla "rapida definizione delle controversie tributarie pendenti da oltre 10 anni e per le quali l'Amministrazione Finanziaria è risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio", il comma 2 bis traduce in legge la norma "ad aziendam": "Il contribuente può estinguere la controversia pagando un importo pari al 5% del suo valore (riferito alle sole imposte oggetto di contestazione, in primo grado, senza tener conto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni)". E pazienza se il presidente della Repubblica Napolitano, poco dopo, sul "decreto incentivi" invia alle Camere un messaggio per esprimere "dubbi in ordine alla sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza, per alcune nuove disposizioni introdotte, con emendamento, nel corso del dibattito parlamentare". E pazienza se la critica del Quirinale riguarda proprio quell'articolo 3, comma 2 bis. Ormai il gioco è fatto. Il colosso editoriale di proprietà del presidente del Consiglio è sostanzialmente salvo. Per consentire alla Mondadori di chiudere definitivamente i conti con il Fisco manca ancora un banale dettaglio, che rende necessario un ultimo passaggio parlamentare. Il decreto 40 non ha precisato che, per considerare concluso a tutti gli effetti il contenzioso, occorre la certificazione da parte dell'Amministrazione Finanziaria.
Per questo, nel bilancio semestrale 2010 del gruppo di Segrate, presentato il 30 giugno scorso, Marina Berlusconi fa accantonare "8.653 migliaia di euro relativi al versamento dell'importo previsto dal decreto legge 25 marzo 2010, numero 40" sulla "chiusura delle liti pendenti", e fa scrivere, a pagina 61, al capitolo "Altre attività correnti": "Pur nella convinzione della correttezza del proprio operato, e con l'obiettivo di non esporre la società a una situazione di incertezza ulteriore, sono state attuate le attività preparatorie rispetto al procedimento sopra richiamato. In particolare si è proceduto all'effettuazione del versamento sopra richiamato. Nelle more della definizione del quadro normativo, a fronte dell'introduzione di specifiche attestazioni da parte dell'Amministrazione Finanziaria previste nelle ultime modifiche al decreto, e tenuto anche conto del fatto che gli atti necessari per il perfezionamento del procedimento e l'acquisizione dei relativi effetti non sono stati ancora completati, la società ha ritenuto di iscrivere l'importo anticipato nella posta in esame...". Ricapitolando: la Mondadori mette da parte poco più di 8,6 milioni di euro, cioè il 5% dei 173 che avrebbe dovuto al Fisco (al netto di sanzioni e interessi), in attesa di considerare perfezionato il versamento al Fisco in base alle ultime integrazioni al decreto che saranno effettuate in Parlamento. E le integrazioni arrivano puntuali, alla Camera, il 7 luglio: nella manovra 2011 il relatore Antonio Azzolini (ancora lui) inserisce l'emendamento finale: "L'avvenuto pagamento estingue il giudizio a seguito dell'attestazione degli uffici dell'Amministrazione Finanziaria comprovanti la regolarità dell'istanza e il pagamento integrale di quanto dovuto". Ci siamo: ora il "delitto" è davvero perfetto. La Mondadori può pagare pochi spiccioli, e chiudere in gloria e per sempre la guerra con l'Erario, che a sua volta gliene da atto rilasciandogli regolare "quietanza".
L'epilogo: una nazione "ad personam"?
Sembra un romanzaccio di fanta-finanza o di fanta-politica. È invece la pura e semplice cronaca di un pasticciaccio di regime. Nel quale tutto è vero, tutto torna e tutto si tiene. Stavolta Berlusconi non può dire "non mi occupo degli affari delle mie aziende": non è forse vero che il 3 dicembre 2009 (come riportato testualmente dalle intercettazioni dell'inchiesta di Trani) nel pieno del secondo tentativo di far passare la legge "ad aziendam" dice al telefono al commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi "è una cosa pazzesca, ho il fisco che mi chiede 900 milioni... De Benedetti che me li chiede ma ha già avuto una sentenza a favore, 750 milioni, pensa te, e mia moglie che mi chiede 90 miliardi delle vecchie lire all'anno... sono messo bene, no?". Stavolta Berlusconi non può dire che Carboni, Martino e Lombardi sono solo "quattro sfigati in pensione": non è forse vero che nelle 15 mila pagine dell'inchiesta delle procure sulla cosiddetta P3 la parola "Mondadori" ricorre 430 volte (insieme alle 27 in cui si ripete la parola "Cesare") e che nella frenetica attività della rete criminale creata per condizionare i magistrati nell'interesse del premier sono finiti sia il presidente della Cassazione Carbone (cui come abbiamo visto spettava il compito di dirottare alle Sezioni Unite la vertenza Mondadori-Agenzia delle Entrate) sia il presidente dell'Avvocatura dello Stato Oscar Fiumara (cui competeva il necessario via libera a quel "dirottamento"?).
È tutto agli atti. Una sola domanda: di fronte a un simile sfregio delle norme del diritto, un simile spregio dei principi del mercato e un simile spreco di denaro pubblico, ci si chiede come possano tacere le istituzioni, le forze politiche, le Confindustrie, gli organi di informazione. Possibile che "ad personam", o "ad aziendam", sia ormai diventata un'intera nazione?
m.giannini@repubblica. It
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