16 febbraio 2007

LA SPADA DEL DIRITTO NATURALE

Il diritto naturale usato come una folgore divina, ultima ratio di una Chiesa in preda alla paura e priva di idee, sempre più lontana dalla gente, sempre più dogmatica ed assolutista.
Sul concetto di diritto naturale, da quanto è stata inventata la filosofia si è sviluppata una discussione che dura sino ad oggi e che ha coinvolto filosofi come Aristotele, San Tommaso, Hobbes, Locke, Rousseau. Così dal giusnaturalismo antico, basato sul pensiero di Aristotele, si arriva al giusnatuarlismo scolastico, massimo esponente San Tommaso d’Aquino, e, quindi, al giusnaturalismo moderno, teorizzato da Hobbes.
Non sono un filosofo e, quindi, non mi addentrerò in meandri a me sconosciuti, ma posso fare alcune considerazioni non assolutistiche e passibili d’errore.
San Tommaso concepisce il diritto naturale un “insieme di primi principi etici generalissimi” che costituisce la partecipazione della legge eterna nella creatura razionale (partecipatio legis aeternae in rationali creatura). Giovanni Paolo II nell’enciclica “Veritatis splendor”, ribadisce quanto contenuto nell’enciclica ”Diuturnum” di Leone XIII e cioè l’essenziale subordinazione della ragione e della legge umana alla Sapienza di Dio e alla sua legge.
Per Leone XIII tutte le varie forme di governo sono legittime purché l’ordinamento sia giusto e rivolto al comune vantaggio ( dall’enciclica Diuturnum: “…importa…che coloro i quali siano per essere proposti alla pubblica cosa, possano…venire eletti…dalla moltitudine, senza che ciò sia contraria o ripugni alla dottrina cattolica. Colla quale scelta tuttavia si designa il Principe, non si conferiscono i diritti del principato: non si da l’imperio ma si stabilisce da chi deve essere amministrato”.)
Giovanni Paolo II afferma che l’insegnamento morale della Chiesa si fonda sulla dottrina tomistica di legge naturale e fa riferimento ai principi essenziali della dottrina politica e giuridica della Chiesa come sono espressi nell’enciclica “Libertas praestantissimum” di Leone XIII, secondo la quale la ragione individuale e la legge della comunità politica sono subordinate alla sapienza di Dio e alla sua legge.
La forza della legge, sostiene Giovanni Paolo II, risiede nella sua capacità di imporre dei doveri, di conferire dei diritti e di dare la sanzione a certi comportamenti; “ora tutto ciò non potrebbe esistere nell’uomo, se fosse egli stesso a darsi, quale legislatore supremo, la norma delle sue azioni”. Ne consegue che “ la legge naturale è la stessa legge eterna, ossia la stessa eterna ragione di Dio creatore e reggitore del mondo, inserita nelle ragionevoli creature…”.
Da quanto sopra descritto si ricava che il diritto naturale, infallibile ed eterno perché proveniente direttamente da Dio, è superiore al diritto positivo elaborato dall’uomo per assicurare alla società condizioni ottimali di sopravvivenza, fallibile e contingente. Anzi lo precede. Per la Chiesa diventa verità di fede e attorno ad esso tutto si compie.
Quindi, un governo che si fonda sul concetto di diritto naturale dal quale tutte le sue leggi derivano, altro non è che un governo teocratico, un regime assolutistico che simula la democrazia, del tutto simile ai governi integralisti islamici dall’Occidente tanto aborriti.
Un tale regime teocratico, delegato ai parlamenti, che rappresentano tutti i cittadini e sul cui consenso si reggono, non ha (ecco il paradosso, l’imbroglio), né responsabilità economiche né giuridiche né di ordine pubblico…. Ed esprime il suo potere attraverso l’imposizione dei doveri e la sanzione.
Un ritorno al Medioevo dei tre ordini sociali, al cui vertice saldamente stava la Chiesa.
Così, grazie ad una classe politica imbelle ed inetta, che tra l’altro ha giurato fedeltà alla Repubblica, più portata alla conservazione di privilegi e prebende che alla salvaguardia dei valori espressi dalla Stato laico necessariamente garante di tutti i sui cittadini, lo Stato Italiano, in barba al Concordato, rischia di diventare un’appendice dello Stato del Vaticano.
Sarebbe la fine dello stato di diritto nato dalla Rivoluzione Francese, la fine del progresso.
Per non cadere nell’oscurantismo e per vincere la battaglia tra la democrazia e l’assolutismo dogmatico, il governo non può affidarsi solo alla sua forza ma deve cercare il consenso anche nella parte più progressista e non confessionale dell’opposizione, perché il momento politico contingente lo richiede.

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