Papa Ratzinger non piace. Al di là dell’enormità delle violenze impunite commesse per decenni dal clero sui minori, c’è un malumore di fondo dentro e fuori la Chiesa che cerca i canali per mettere sotto accusa Benedetto XVI. É come il brontolio di un terremoto sotterraneo, che si manifesta con scosse sempre più forti. Non è tanto in discussione la linea rigorosa del Papa contro gli abusi, espressa nella "Lettera ai vescovi irlandesi" e confermata dall’umiliante mea culpa cui ha voluto assolutamente costringere i Legionari di Cristo. Obbligati venerdì ad ammettere pubblicamente l’indegna doppia vita del loro fondatore Maciel, che ha abusato di ragazzi, intrattenuto relazioni con amanti, avuto figli e persino – secondo le testimonianze degli stessi figli Raul e Omar di loro. Tutto un dossier arenatosi in Segreteria di Stato al tempo di Giovanni Paolo II.
C’è qualcosa di più. Sotto accusa è implicitamente – ma nemmeno tanto – la credibilità stessa di Joseph Ratzinger come suprema autorità della Chiesa cattolica. L’istituzione ecclesiastica, in queste settimane, ha avuto un crollo drammatico di prestigio. Tendenzialmente la Chiesa si è sempre presentata e continua a presentarsi come massima istanza morale, che non sbaglia mai. Come guida suprema che tutto sa, tutto capisce, tutto giudica. (Sì, di tanto in tanto si ricorre negli ambienti ecclesiastici alla formula di "casta meretrice", ma spesso diventa solo un mezzo per chiudere partite imbarazzanti). Con quello che è successo le formulette non bastano più. In Germania il vescovo di Fulda ha previsto che ci vorrà un decennio perché l’immagine della Chiesa riesca a risalire la china. Ma dalle critiche alla Chiesa l’urto polemico si sta spostando verso il simbolo stesso del Papa. Nel sentire di una larga parte dell’opinione pubblica è il suo pontificato a simboleggiare la pretesa di superiorità della Chiesa, il suo carattere di comando dottrinario, la sua pretesa di giudicare cosa è la scienza, cos’è la retta politica, persino qual è la legittima laicità.
E allora la ricerca degli scheletri negli armadi vaticani per quanto riguarda l’ultimo scorcio del Novecento (scheletri che ci sono come dimostra in maniera lampante il caso disgustoso di Maciel) si trasforma in un’onda d’urto destinata ad infrangersi contro il ruolo stesso di Ratzinger . Non è una cospirazione come ritengono istericamente alcuni ambienti ecclesiastici. Stampa e tv – come sempre – sono solo il sensore di movimenti più profondi. Semmai nelle crisi viene alla luce il malumore di fondo di un mondo cattolico sommerso, che non perdona a Ratzinger lo sdoganamento della Messa tridentina, il suo blocco di ogni riforma, le sue polemiche continue contro la "svolta" conciliare. E allora ogni crisi – si tratti della revoca della scomunica al vescovo negazionista Williamson o delle dichiarazioni papali sul preservativo o dei silenzi sugli abusi ai minori – diventa occasione perché esploda il dissenso sotterraneo. L’affiorare qua e là della parola "dimissioni" ne è un sintomo.
Il caso di Monaco è il punto più delicato. É appurato finora che l’arcivescovo Ratzinger partecipò solo ad una riunione in cui si decise di accogliere il prete pedofilo Hullermann senza dargli un incarico. Non c’è un atto a firma Ratzinger, che ne autorizzi il trasferimento in parrocchia, ma esiste un memorandum degli uffici diocesani in cui lo si informa che il prete pedofilo andrà a prestare servizio in una parrocchia. Ratzinger lo ha letto? Non lo ha letto? Sull’esile interrogativo si gioca una partita pesante. Ma intanto quel che conta è che qualcuno dall’interno della diocesi di Monaco o di un’altra struttura ecclesiastica ha consegnato sottobanco alla stampa la documentazione. E questo è il sintomo di una lotta interna. C’è gente all’interno della Chiesa "pronta al balzo" per attaccare il pontefice, confessò sotto shock Benedetto XVI nella sua drammatica lettera aperta ai vescovi di tutto il mondo, allorchè scoppiò il caso Williamson. In ultima analisi Joseph Ratzinger rischia di pagare le conseguenze di un’elezione al papato in cui (per un’improvvisa e ancora non chiarita decisione di papa Wojtyla) era stata stravolta la regola secolare della maggioranza di due terzi necessaria per eleggere un pontefice. Regola che da sempre assicura scelte largamente condivise.
Nell’aprile del 2005 era sufficiente invece il 51 per cento dei suffragi. E bastò al blocco conservatore pro-Ratzinger di esibire la maggioranza assoluta per piegare le resistenze dei dissenzienti e acquisire alla fine un voto larghissimo solo di facciata. Ma non si governa un organismo mondiale senza l’adesione profonda di una metà e forse più della comunità. In Vaticano sono consapevoli della gravità della situazione. Il cardinale Comastri, vicario papale per la Città del Vaticano, ha invitato i fedeli a "offrire tutte le preghiere per Benedetto XVI in questo difficile momento affinchè la grazia di Dio lo sostenga". Personalmente la strategia del Papa è di governare la crisi con calma e sangue freddo. Un commento ufficiale del portavoce Lombardi alla Radio vaticana registra asciuttamente che le polemiche dei media hanno fatto danni, ma che l’autorità del pontefice non è "indebolita, ma confermata". La lotta contro gli abusi sessuali, viene sottolineato, "è cruciale per la credibilità della Chiesa" e resta prioritario l’impegno a "combattere ed estirpare la piaga degli abusi ovunque si manifesti". Nella bufera Benedetto XVI sembra reggere il timone.
Da il Fatto Quotidiano del 28 marzo
29 marzo 2010
26 marzo 2010
LA SPERANZA CHE SIA FINITA
Finalmente alla mezzanotte di oggi la campagna elettorale passa, si fa per dire, alla fase della riflessione. Finalmente il premier, si spera, non occuperà in maniera così invasiva i tigì per fini meramente elettorali, tanto da costringere l’agcom a multare “per squilibrio” il Tg1 e il Tg5 con la cifra irrisoria di 100.000 euro (una discreta pubblicità sarebbe costata molto di più).
Finalmente … gli Italiani, almeno si spera, capiranno a fondo la realtà che vivono l’aria che respirano, i Tigì che sono costretti ad ascoltare, asserviti al potere di un premier che pensa di essere il padrone dell’Italia, che governa come una sua azienda, con una differenza sostanziale: mentre Mediaset incrementa i guadagni, lo Stato incrementa il debito pubblico, dimenticando i lavoratori che perdono il lavoro (stando ai dati Istat circa 400.000 lavoratori nel 2009 sono stati licenziati) con la disoccupazione apparente oltre l’8% e con quella reale ormai a due cifre.
E il governo del fare? Si è fermato, anzi non è mai partito. Ha occupato il tempo sulla giustizia per salvare il premier dai processi e su alcune riforme imposte al Parlamento, sempre più cassa di risonanza del governo, come quella scolastica, che affosserà sempre più la scuola pubblica, ormai in abbandono, per non dire sotto continuo piccona mento. La Gelmini sorridente ne annuncia lo sfascio, mentre il governo, unito in questo a numerose regioni, rimpingua le casse delle scuole confessionali … ma, si sa, la Chiesa promette voti e in un periodo di magra … meglio ricorrere alle intercessioni vaticane … non si sa mai.
Finalmente i Tiggì, almeno quelli della RAI, potranno occuparsi del lavoro che si perde, degli operai sui tetti delle fabbriche, delle scuole che cadono a pezzi, delle macerie de L’Aquila, dei giovani senza futuro, dei pensionati sempre più poveri, della vera riforma della giustizia, della malasanità che ingoia l’80% delle risorse regionali, delle piccole e medie industrie. I giornalisti potranno incalzare i politici e non strisciare ai loro piedi, come le intercettazioni di Trani comprovano, potranno fare il loro vero mestiere, quello per cui i cittadini li pagano, potranno riguadagnare la dignità di un’informazione vera e corretta, seppure nei modi in cui ognuno è portato a parlarne.
La dignità … una parola per i più ormai in disuso, ma sempre a portata di mano per chi avrà il coraggio di una sana riflessione.
Finalmente il premier e la maggioranza di governo potranno interessarsi della politica, delle ragioni per cui sono stati eletti e dare almeno la speranza di un futuro alle generazioni posteggiate nel limbo della precarietà, “osare la speranza” per dirla con don Gallo.
Purtroppo il calendario del premier è già ricco di proposte che nulla hanno a che vedere con la realtà sociale, con le famiglie, con i giovani, con gli anziani. Si parlerà di processo breve o di legittimo impedimento, di giudici rossi e di magistratura politicizzata, di Bari e non di Trani, di Santoro e non d’informazione, di presidenzialismo e non di riforma elettorale ridando al cittadino la sua centralità nella vita politica di sinistra complotti sta e di giustizialismo dipietrista.
Se la frase magica per risolvere i problemi dell’Italia e dei nostri figli, deve essere “Berlusconi è al sopra della legge, anzi è la Legge”, scriviamola pure. Il premier sarà meno nervoso e potrà dedicarsi al bene comune, com’è nelle sue aspirazioni e capacità!
Finalmente … gli Italiani, almeno si spera, capiranno a fondo la realtà che vivono l’aria che respirano, i Tigì che sono costretti ad ascoltare, asserviti al potere di un premier che pensa di essere il padrone dell’Italia, che governa come una sua azienda, con una differenza sostanziale: mentre Mediaset incrementa i guadagni, lo Stato incrementa il debito pubblico, dimenticando i lavoratori che perdono il lavoro (stando ai dati Istat circa 400.000 lavoratori nel 2009 sono stati licenziati) con la disoccupazione apparente oltre l’8% e con quella reale ormai a due cifre.
E il governo del fare? Si è fermato, anzi non è mai partito. Ha occupato il tempo sulla giustizia per salvare il premier dai processi e su alcune riforme imposte al Parlamento, sempre più cassa di risonanza del governo, come quella scolastica, che affosserà sempre più la scuola pubblica, ormai in abbandono, per non dire sotto continuo piccona mento. La Gelmini sorridente ne annuncia lo sfascio, mentre il governo, unito in questo a numerose regioni, rimpingua le casse delle scuole confessionali … ma, si sa, la Chiesa promette voti e in un periodo di magra … meglio ricorrere alle intercessioni vaticane … non si sa mai.
Finalmente i Tiggì, almeno quelli della RAI, potranno occuparsi del lavoro che si perde, degli operai sui tetti delle fabbriche, delle scuole che cadono a pezzi, delle macerie de L’Aquila, dei giovani senza futuro, dei pensionati sempre più poveri, della vera riforma della giustizia, della malasanità che ingoia l’80% delle risorse regionali, delle piccole e medie industrie. I giornalisti potranno incalzare i politici e non strisciare ai loro piedi, come le intercettazioni di Trani comprovano, potranno fare il loro vero mestiere, quello per cui i cittadini li pagano, potranno riguadagnare la dignità di un’informazione vera e corretta, seppure nei modi in cui ognuno è portato a parlarne.
La dignità … una parola per i più ormai in disuso, ma sempre a portata di mano per chi avrà il coraggio di una sana riflessione.
Finalmente il premier e la maggioranza di governo potranno interessarsi della politica, delle ragioni per cui sono stati eletti e dare almeno la speranza di un futuro alle generazioni posteggiate nel limbo della precarietà, “osare la speranza” per dirla con don Gallo.
Purtroppo il calendario del premier è già ricco di proposte che nulla hanno a che vedere con la realtà sociale, con le famiglie, con i giovani, con gli anziani. Si parlerà di processo breve o di legittimo impedimento, di giudici rossi e di magistratura politicizzata, di Bari e non di Trani, di Santoro e non d’informazione, di presidenzialismo e non di riforma elettorale ridando al cittadino la sua centralità nella vita politica di sinistra complotti sta e di giustizialismo dipietrista.
Se la frase magica per risolvere i problemi dell’Italia e dei nostri figli, deve essere “Berlusconi è al sopra della legge, anzi è la Legge”, scriviamola pure. Il premier sarà meno nervoso e potrà dedicarsi al bene comune, com’è nelle sue aspirazioni e capacità!
25 marzo 2010
Omissioni e Abusi di nostra madre chiesa
Primo Piano | antefattoblog
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24 marzo 2010
Un viaggio attraverso gli scandali che stanno investendo il Vaticano e che, dall’Irlanda agli Stati Uniti, non risparmiano certo l’Italia.
IL CORAGGIO DI PARLARE
Mi chiamo Marco Marchese. Sono stato abusato per quattro anni, da quando ne avevo dodici. Ero in seminario, pensavo di avere la vocazione”. Cominciò così, diretto, chiaro. Secco come uno schiaffo. “All’epoca abitavo a Favara, vicino ad Agrigento. Sono nato in Germania, poi quando avevo otto anni ci siamo trasferiti in Sicilia. Volevo diventare prete, almeno lo credevo. Sicché entrai in seminario: fu lì che accadde. All’epoca don Bruno era un assistente, un diacono. Divenne prete l’anno successivo. Mi legai fortemente a lui: sembrava una persona affettuosa, e io mi trovavo fuori di casa ed ero piccolo. Mi circondava di attenzioni. Il seminario, sa, è un po’ come un collegio: si mangia lì, si dorme lì. Andavamo a trovare la famiglia una volta alla settimana, spesso ogni due. Inserirsi è difficile, e trovarsi accanto una persona che si mostra amichevole, affettuosa, fa sentire meno soli”. Parlando, cincischiava con il tovagliolo di carta, un tormento gli mangiava le dita, guardava il piattino, la tazzina, il tavolo. Poi mi posò addosso il suo sguardo malinconico. “Accadde una domenica pomeriggio. Era dicembre, e fuori pioveva. In genere, nei pomeriggi di domenica, si giocava a calcetto nel cortile del seminario. Invece quella volta don Bruno venne da me e mi invitò nella sua camera a riposare. Accadeva spesso che noi ragazzi entrassimo nelle camere degli assistenti. Magari per fare due chiacchiere. Invece quel pomeriggio lui mi spogliò, mi baciò, e poi... poi abusò di me”. Per un attimo la voce vacillò, sembrò sul punto di rompersi, ma riprese. Con lentezza, in un rievocare che dava ancora dolore. “Dopo lui andò in bagno. Quando tornò mi chiese solo: ‘Ti sei sporcato?’. Mi diceva di non preoccuparmi, che non c’era nulla di male. La nostra era solo un’amicizia, un’amicizia particolare, ecco. Così mi diceva. E io gli credevo. Non avevo mai avuto esperienze sessuali, e gli credevo. Mi diceva che era normale, che era giusto. Mi diceva anche che non dovevo dirlo a nessuno, perché avrei suscitato invidie, gelosie. E io non lo dissi a nessuno. Neanche quando l’abuso si ripeté. E poi si ripeté ancora, e ancora. Soprattutto quando pioveva. Veniva a chiamarmi e io andavo da lui”. Sul suo volto fiorì un sorriso amaro, una smorfia alla propria ingenuità di un tempo. “Del resto, io mi ero convinto che la nostra fosse un’amicizia ‘divina’, come diceva lui. Era un uomo di Dio: con lui pregavo, mi fidavo. Ciecamente”. “E poi? Che cos’è accaduto?” “Dopo un anno, lui divenne prete e lasciò il seminario. Però i nostri rapporti divennero ancora più stretti, perché divenne il mio padrino di cresima. Così, nei fine settimana che avevo a disposizione e durante le vacanze, andavo a trovarlo nella sua parrocchia. E accadeva anche lì. In sacrestia. A casa sua. Nel pomeriggio. Anche la sera, se restavo a dormire. Per quattro anni”. [...]
Alla fine in tribunale non ci erano arrivati. La trasmissione [Mi manda Raitre del 15 dicembre 2006, ndr] aveva sollevato un grosso scalpore, l’avvocato della Curia aveva saputo attirare perfino le antipatie dei cattolici più accesi. Il vescovo aveva dovuto fare marcia indietro e ritirare la richiesta di danni. Anzi, fece di tutto per evitare il processo civile. Don Bruno firmò un accordo con il quale riconosceva ogni responsabilità e si impegnava a corrispondere a Marco un risarcimento per i danni morali. “Si trattava di cinquantamila euro”. Le mani adesso riposavano tranquille sul tavolo, accanto alla tazzina. “Li ho impiegati per sovvenzionare la mia associazione. Si chiama Mobilitazione Sociale. Ci occupiamo soprattutto di ascoltare e aiutare i bambini vittime di abusi”. Per la prima volta sorrise davvero. Un sorriso aperto, giovane, fiducioso. Durò solo un attimo.“C’è talmente tanto da fare, e se ne sa così poco. Il mio non è un caso isolato. Anzi. Le associazioni contro la pedofilia ricevono migliaia di telefonate, di e-mail, di segnalazioni. Non ci sono solo io. La maggior parte delle vittime non ha il coraggio di denunciare. Subisce e tace. Nonostante i dolori dentro, nonostante gli incubi, i malesseri, il desiderio di morire”. Il sole era scomparso dietro le case, il cielo scuriva, e in via dell’Orologio si accendevano i lampioni. Nell’aria tiepida della sera, la gente sciamava verso i locali, i bar, i ristoranti. Per i vicoli rimbalzavano richiami, chiacchiere, risate. Le donne avevano vestiti leggeri che ondeggiavano intorno alle gambe, tacchi che si impigliavano tra le “balate”, sorrisi come lampi di bianco. Gli uomini profumavano di dopobarba e lanciavano occhiate alle ragazze. Sembrava una serata qualunque. Il viaggio nel silenzio era appena incominciato.
DON GELMINI: “SCHERZI DA PRETE”
“Non mi hanno creduto nemmeno quando per loro facevo il corrispondente lì in Bosnia. La mia strada e quella di don Pierino si sono incrociate molte volte. In un certo momento della mia vita sono finito a vivere in un borgo della Sabina, Castel di Tora, dove il ‘Don’ aveva messo su una comunità spirituale. C’era un numero ristretto di ragazzi, tutti piuttosto avvenenti, ma ben poco spirituali . Andavano di nascosto a comprar vino e alcolici in paese. Con un paio di loro feci amicizia, entrai in confidenza. Mi confermarono quello che già sapevo. Monsignor Giovanni d’Ercole, funzionario del Vaticano con il quale ero in rapporti per via del mio lavoro, lo sapeva. L’avevo informato anni fa su don Pierino: gli avevo detto tutto, che adescava i ragazzi, che molti anni prima aveva adescato anche me assieme a un amico, e che ora era accusato dai suoi ragazzi di molestie sessuali. Padre Federico Lombardi, all’epoca direttore dei servizi giornalistici di Radio Vaticana, lo sapeva. Durante un’accesa discussione glielo dissi in faccia chi erano e cosa erano stati certi preti per me, gli dissi di don Pierino e di come l’avevo conosciuto, non batté ciglio. Poco dopo gli mandai una lettera. Lo informai fino ai dettagli: manco mi rispose. Scrissi anche alla Procura di Terni, ho fatto un esposto senza firmarmi. Mia madre era ancora viva, avevo due figli piccoli. Lottavo nella totale solitudine, e poi avevo paura che mi accusassero di smania di protagonismo. Ma lo sapevano tutti. Uno di quelli che sapevano era il vescovo di Terni, monsignor Gualdrini. E poi lo dissi al segretario della Cei, che mi attaccò il telefono in faccia. Lo dissi a monsignor Salvatore Boccaccio al tempo vescovo di Poggio Mirteto e ora di Frosinone, telefonai a don Ciotti: era perplesso, mi disse di avere le mani legate”. “Ho un dubbio atroce, Bruno. Se lo sapevano tutti, com’è stato possibile che lasciassero centinaia di ragazzi inermi nelle mani di qualcuno che avrebbe potuto approfittarsi della loro debolezza, del loro bisogno di aiuto, del loro bisogno di protezione?”. Mi guardò con amarezza, si passò una mano irruvidita in mezzo ai capelli grigi, a pettinare i pensieri. “Lo sapevano perché io lo avevo detto, e non ero mica il solo. I ragazzi della comunità lo sapevano tutti. Chi non ci stava veniva allontanato, oppure se ne andava da solo. Nessuno si è mai preso la briga di vedere cosa succedeva in queste comunità”. [...]
Di quella giornata, un ospite mi raccontò: “Il più bel regalo di compleanno, ottant’anni ieri, don Pierino Gelmini l’ha avuto da Silvio Berlusconi: dieci miliardi di vecchie lire. Il più bel regalo, senza compleanno, Berlusconi lo ha avuto da don Gelmini, sempre ieri, che ha ordinato di accoglierlo con un canto di ‘Alleluja’ a tutto volume. Ovunque entrasse il premier, prima nella sala mensa e poi nell’auditorium della Comunità Incontro, veniva preceduto dalle note gloriose riservate, in Chiesa, a onorare il Signore. Un incontro di due ego travolgenti quello di ieri ad Amelia, nella struttura per il recupero dei tossicodipendenti nata nel 1979. Don Gelmini che spiegava al premier: ‘Preferirei essere Papa che capo del governo’. Berlusconi che gli diceva, dopo avere visto i preti, destinati alla successione da don Pierino, inginocchiarsi e promettergli fedeltà: ‘Mi hai dato un’idea, quasi quasi chiamo i miei ministri azzurri e li faccio inginocchiare davanti a me...’.Una festa-show con GigiD’Alessio che cantava la sua nuova canzone Non c’è vita da buttare dedicata ai ragazzi persi e che salutava Berlusconi con un "salve collega". Amedeo Minghi che dedicava un videoclip a don Pierino. Ad Amelia, per omaggiare questo fenomenale prete, esarca precisa lui, che a ottant’anni ha una vitalità e un’energia travolgenti, sono arrivati in tanti a iniziare dal capo del comitato dei festeggiamenti, il ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri. C’erano anche il ministro Rocco Buttiglione, il ministro Lunardi, Gustavo Selva, una sfilata di sottosegretari. Della prima Repubblica c’era l’ex ministro De Lorenzo che sembrava avere una missione: parlare con Berlusconi. E quando c’è riuscito, l’ha baciato, anche. A rappresentare l’opposizione, la presidente della Regione Maria Rita Lorenzetti, che nel salutare il padrone di casa, seduto nell’auditorium in prima fila vicino a Berlusconi, gli ha riconosciuto il grande impegno nella lotta contro la droga, ma ha anche detto: ‘Non siamo d’accordo su molte cose’. Non c’era il fratello di don Pierino, padre Eligio stava male. Una giornata lunga, iniziata di mattina presto nello studio privato di don Pierino dove sono arrivati in tanti a salutarlo, molti genitori di ragazzi salvati dalla comunità. Un padre è entrato piangendo, con una busta da lettera in mano piena di soldi da offrire a colui che aveva ridato la vita a suo figlio. ‘Era rinato qui dentro, purtroppo poi fuori non ce l’ha fatta’. Don Pierino ha preso la busta e lo ha abbracciato. ‘Suo figlio era un cantautore’, ha spiegato poi. A mezzogiorno tutti a messa. Don Pierino è entrato tra due ali di sacerdoti, seguito dal cardinale Jorge Maria Mejia. Mischiato tra i concelebranti c’era anche Alessandro Meluzzi, ex deputato azzurro, psichiatra fino a qualche giorno fa impegnato a commentare in tv gli irrecuperabili de L’Isola dei famosi, e adesso qui, in comunità di recupero, in un angolo di Umbria, con il saio da frate e la croce indosso. Nelle pause del serrato programma, Rocco Buttiglione ha parlato della sua prossima terza prova da nonno, la figlia partorirà ad agosto, e ha rivelato di aver cambiato idea su quale sia la vera vocazione della donna: ‘Credevo che fosse essere mamma. A un certo punto ho anche pensato che potesse essere suocera. Adesso che vedo mia moglie con i nipoti ho capito che la vera vocazione è quella di essere nonna. Un ruolo che la ringiovanisce di vent’anni’. Come sempre, era difficile capire se scherzava o diceva sul serio”.
IL CASO AMERICANO
A Boston cominciò così. In sordina, senza troppo rumore. L’avvocato che mise la prima pietra aveva un nome armeno, difficile da pronunciare: si chiamava Mitchell Garabedian, e non era mai stato uno di quegli avvocati inseguiti dai giornalisti all’uscita dell’aula di dibattimento. Si era laureato all’Università statale, si era sempre occupato di piccoli casi. Insomma, uno sconosciuto. Uno fra i tanti avvocati di Boston. Gli piaceva il suo lavoro; certe mattine arrivava in ufficio prestissimo e andava avanti a lavorare fino a tarda sera. Era il 1994 quando un uomo era entrato nel suo studio, s’era seduto di fronte alla vecchia scrivania, e gli aveva parlato di padre Geoghan. Mitch non lo sapeva, ma quell’incontro avrebbe segnato la sua vita. “Ero un ragazzino normale” raccontò l’uomo all’avvocato, “andavo bene a scuola e mi piaceva lo sport. Facevo anche parte di una squadra. Non avevo neanche dodici anni, ma mi dicevano che ero un bravo atleta. I miei genitori erano orgogliosi di me. Poi arrivò lui. I miei si fidavano, lo consideravano quasi una persona di famiglia: lo invitavano a cena, a qualche partita di bridge, ai compleanni. Spesso, dopo cena, mi portava fuori a prendere un gelato, a fare un giro in macchina. Nessuno ha mai saputo che mi facesse quelle cose. Non lo dissi neppure a mia madre, a mio padre. Per loro, padre Geoghan era un buon amico, un amico di tutta la famiglia. Come potevo dirgli che mi faceva quelle cose? Stavo male. Riuscivo a fare solo questo: star male. Certi giorni non andavo nemmeno a scuola, agli allenamenti. Lasciai la squadra. E comincia i a bere. Ero solo un bambino, Dio mio, ero solo un bambino”.
GLI INTOCCABILI LEGIONARI DI CRISTO
Il potere della Legione di Cristo all’interno della Chiesa è tale che Lennon, uno degli accusatori di Maciel, parlando dei rapporti tra quest’ultimo e il Vaticano, affermò: “Maciel è intoccabile. Ha lavorato con molti Papi, conosce i procedimenti interni, conosce vescovi, conosce cardinali, conosce quelli che hanno realmente il potere, e li conosce bene, molto bene”. Alejandro Espinosa, nel libro El prodigioso ilusionista, il seguito di El legionario, avanza sospetti e ipotesi inquietanti sulla vita del fondatore dei Legionari di Cristo. Già in El legionario, Espinosa aveva fatto riferimento alle “morti provvidenziali” di alcuni nemici di Maciel, ma è soprattutto nel suo secondo libro che le ipotesi si fanno dettagliate. Espinosa parte dagli anni giovanili del sacerdote, dai tempi in cui frequentava il seminario retto da suo zio, il vescovo Rafael Guizar y Valencia, e sostiene che si siano verificate circostanze quanto meno singolari, coincidenze preoccupanti. Sembra che lo stesso giorno della sua morte, il vescovo avesse avuto un’accalorata discussione con Marcial Maciel, e avesse decretato la sua espulsione per mancanza di attitudine allo studio, per mancanza di spirito di sacrificio e di vocazione al sacerdozio, oltre che per avere saputo dei suoi approcci sessuali nei confronti di seminaristi più giovani. Pare sia arrivato perfino a dire che se avesse proseguito il cammino verso l’ordinazione si sarebbe esposto alla dannazione eterna. Rafael Guizar y Valencia morì poche ore dopo. Un dettagliato resoconto sulla sua morte, racconta che fu impossibile coricarlo nel letto e dovettero lasciarlo steso al suolo, spiegando che volle giacere lì “come san Francesco”. A dodici anni dalla morte, le spoglie del vescovo furono riesumate per essere trasportate dal cimitero di Xalapa alla Cattedrale: aprendo la bara, il corpo fu trovato integro, ma i suoi capelli bianchi erano diventati rossicci. Espinosa sostiene che Maciel possa aver avvelenato lo zio con il cianuro, secondo alcune confessioni che lo stesso Maciel gli avrebbe fatto quando Alejandro era stato in seminario, e la colorazione rossiccia dei capelli dovrebbe esserne testimonianza, così come l’impossibilità di trasportare il vescovo agonizzante nel letto, poiché le convulsioni e gli spasmi dell’avvelenamento sono tali da riuscire a fratturare la colonna vertebrale. Tuttavia, padre Rafael González Hernández, il sacerdote che si è occupato della canonizzazione del vescovo, smentisce assolutamente l’ipotesi di un omicidio: “Monsignore Guizar morì nel 1938 a causa di un’insufficienza cardiaca e di un attacco di diabete. Aveva sessant’anni ma era piuttosto malandato per aver speso la vita al servizio dei fedeli”. Espinosa prosegue con l’elenco delle morti “provvidenziali” tra quelli che disturbarono Maciel. Padre Francisco Orozco Yepes morì in strane circostanze, mentre viaggiava dall’Irlanda a Roma, dove aveva il fermo proposito di denunciare le perversioni di Marcial Maciel davanti alla Sacra Rota Romana. Non si sa che cosa o chi lo convinse ad abbandonare l’aereo allo scalo di Madrid, si sa solo che preferì affittare un’automobile all’aeroporto e fare migliaia di chilometri per raggiungere Roma, dove non arrivò mai.
Un vescovo del Messico, che si opponeva al riconoscimento canonico della Legione di Cristo, fu minacciato da Marcial Maciel durante una discussione, davanti a testimoni. Pochi giorni dopo, un camion investì l’automobile del vescovo: morirono due dei suoi quattro occupanti ma il prelato riuscì a uscirne indenne. Nello stesso mese, si verificò un secondo incidente con la stessa dinamica del precedente, questa volta con esito tragico per il vescovo. Anche la morte di Juan-Manuel Fernández Amenábar, come abbiamo visto, avvenne in circostanze singolari: soffocato da un pezzo di pollo mentre era in ospedale, dove si stava riprendendo da un ictus. Perfino Juan José Vaca temeva una reazione alla lettera che inviò a Maciel quando lasciò la Legione. Perciò quella lettera, nella quale gli rimproverava il danno irreparabile che gli aveva fatto e gliene domandava conto, conteneva un avvertimento: “Desiderando essere assolutamente sincero con lei, l’informo che l’originale di questo scritto, più altre undici copie, si trovano dentro buste sigillate, in un deposito inaccessibile agli indiscreti. Queste dodici buste recano già il nome e l’indirizzo dei destinatari – alte personalità della Chiesa e della società che, nel caso, conosceranno il loro contenuto – e immediatamente giungeranno nella mani dei destinatari, in due circostanze. La prima, nel caso in cui io muoia o sparisca inaspettatamente... “.
di Vania Lucia Gaito da Il Fatto Quotidiano del 24 marzo 2010
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24 marzo 2010
Un viaggio attraverso gli scandali che stanno investendo il Vaticano e che, dall’Irlanda agli Stati Uniti, non risparmiano certo l’Italia.
IL CORAGGIO DI PARLARE
Mi chiamo Marco Marchese. Sono stato abusato per quattro anni, da quando ne avevo dodici. Ero in seminario, pensavo di avere la vocazione”. Cominciò così, diretto, chiaro. Secco come uno schiaffo. “All’epoca abitavo a Favara, vicino ad Agrigento. Sono nato in Germania, poi quando avevo otto anni ci siamo trasferiti in Sicilia. Volevo diventare prete, almeno lo credevo. Sicché entrai in seminario: fu lì che accadde. All’epoca don Bruno era un assistente, un diacono. Divenne prete l’anno successivo. Mi legai fortemente a lui: sembrava una persona affettuosa, e io mi trovavo fuori di casa ed ero piccolo. Mi circondava di attenzioni. Il seminario, sa, è un po’ come un collegio: si mangia lì, si dorme lì. Andavamo a trovare la famiglia una volta alla settimana, spesso ogni due. Inserirsi è difficile, e trovarsi accanto una persona che si mostra amichevole, affettuosa, fa sentire meno soli”. Parlando, cincischiava con il tovagliolo di carta, un tormento gli mangiava le dita, guardava il piattino, la tazzina, il tavolo. Poi mi posò addosso il suo sguardo malinconico. “Accadde una domenica pomeriggio. Era dicembre, e fuori pioveva. In genere, nei pomeriggi di domenica, si giocava a calcetto nel cortile del seminario. Invece quella volta don Bruno venne da me e mi invitò nella sua camera a riposare. Accadeva spesso che noi ragazzi entrassimo nelle camere degli assistenti. Magari per fare due chiacchiere. Invece quel pomeriggio lui mi spogliò, mi baciò, e poi... poi abusò di me”. Per un attimo la voce vacillò, sembrò sul punto di rompersi, ma riprese. Con lentezza, in un rievocare che dava ancora dolore. “Dopo lui andò in bagno. Quando tornò mi chiese solo: ‘Ti sei sporcato?’. Mi diceva di non preoccuparmi, che non c’era nulla di male. La nostra era solo un’amicizia, un’amicizia particolare, ecco. Così mi diceva. E io gli credevo. Non avevo mai avuto esperienze sessuali, e gli credevo. Mi diceva che era normale, che era giusto. Mi diceva anche che non dovevo dirlo a nessuno, perché avrei suscitato invidie, gelosie. E io non lo dissi a nessuno. Neanche quando l’abuso si ripeté. E poi si ripeté ancora, e ancora. Soprattutto quando pioveva. Veniva a chiamarmi e io andavo da lui”. Sul suo volto fiorì un sorriso amaro, una smorfia alla propria ingenuità di un tempo. “Del resto, io mi ero convinto che la nostra fosse un’amicizia ‘divina’, come diceva lui. Era un uomo di Dio: con lui pregavo, mi fidavo. Ciecamente”. “E poi? Che cos’è accaduto?” “Dopo un anno, lui divenne prete e lasciò il seminario. Però i nostri rapporti divennero ancora più stretti, perché divenne il mio padrino di cresima. Così, nei fine settimana che avevo a disposizione e durante le vacanze, andavo a trovarlo nella sua parrocchia. E accadeva anche lì. In sacrestia. A casa sua. Nel pomeriggio. Anche la sera, se restavo a dormire. Per quattro anni”. [...]
Alla fine in tribunale non ci erano arrivati. La trasmissione [Mi manda Raitre del 15 dicembre 2006, ndr] aveva sollevato un grosso scalpore, l’avvocato della Curia aveva saputo attirare perfino le antipatie dei cattolici più accesi. Il vescovo aveva dovuto fare marcia indietro e ritirare la richiesta di danni. Anzi, fece di tutto per evitare il processo civile. Don Bruno firmò un accordo con il quale riconosceva ogni responsabilità e si impegnava a corrispondere a Marco un risarcimento per i danni morali. “Si trattava di cinquantamila euro”. Le mani adesso riposavano tranquille sul tavolo, accanto alla tazzina. “Li ho impiegati per sovvenzionare la mia associazione. Si chiama Mobilitazione Sociale. Ci occupiamo soprattutto di ascoltare e aiutare i bambini vittime di abusi”. Per la prima volta sorrise davvero. Un sorriso aperto, giovane, fiducioso. Durò solo un attimo.“C’è talmente tanto da fare, e se ne sa così poco. Il mio non è un caso isolato. Anzi. Le associazioni contro la pedofilia ricevono migliaia di telefonate, di e-mail, di segnalazioni. Non ci sono solo io. La maggior parte delle vittime non ha il coraggio di denunciare. Subisce e tace. Nonostante i dolori dentro, nonostante gli incubi, i malesseri, il desiderio di morire”. Il sole era scomparso dietro le case, il cielo scuriva, e in via dell’Orologio si accendevano i lampioni. Nell’aria tiepida della sera, la gente sciamava verso i locali, i bar, i ristoranti. Per i vicoli rimbalzavano richiami, chiacchiere, risate. Le donne avevano vestiti leggeri che ondeggiavano intorno alle gambe, tacchi che si impigliavano tra le “balate”, sorrisi come lampi di bianco. Gli uomini profumavano di dopobarba e lanciavano occhiate alle ragazze. Sembrava una serata qualunque. Il viaggio nel silenzio era appena incominciato.
DON GELMINI: “SCHERZI DA PRETE”
“Non mi hanno creduto nemmeno quando per loro facevo il corrispondente lì in Bosnia. La mia strada e quella di don Pierino si sono incrociate molte volte. In un certo momento della mia vita sono finito a vivere in un borgo della Sabina, Castel di Tora, dove il ‘Don’ aveva messo su una comunità spirituale. C’era un numero ristretto di ragazzi, tutti piuttosto avvenenti, ma ben poco spirituali . Andavano di nascosto a comprar vino e alcolici in paese. Con un paio di loro feci amicizia, entrai in confidenza. Mi confermarono quello che già sapevo. Monsignor Giovanni d’Ercole, funzionario del Vaticano con il quale ero in rapporti per via del mio lavoro, lo sapeva. L’avevo informato anni fa su don Pierino: gli avevo detto tutto, che adescava i ragazzi, che molti anni prima aveva adescato anche me assieme a un amico, e che ora era accusato dai suoi ragazzi di molestie sessuali. Padre Federico Lombardi, all’epoca direttore dei servizi giornalistici di Radio Vaticana, lo sapeva. Durante un’accesa discussione glielo dissi in faccia chi erano e cosa erano stati certi preti per me, gli dissi di don Pierino e di come l’avevo conosciuto, non batté ciglio. Poco dopo gli mandai una lettera. Lo informai fino ai dettagli: manco mi rispose. Scrissi anche alla Procura di Terni, ho fatto un esposto senza firmarmi. Mia madre era ancora viva, avevo due figli piccoli. Lottavo nella totale solitudine, e poi avevo paura che mi accusassero di smania di protagonismo. Ma lo sapevano tutti. Uno di quelli che sapevano era il vescovo di Terni, monsignor Gualdrini. E poi lo dissi al segretario della Cei, che mi attaccò il telefono in faccia. Lo dissi a monsignor Salvatore Boccaccio al tempo vescovo di Poggio Mirteto e ora di Frosinone, telefonai a don Ciotti: era perplesso, mi disse di avere le mani legate”. “Ho un dubbio atroce, Bruno. Se lo sapevano tutti, com’è stato possibile che lasciassero centinaia di ragazzi inermi nelle mani di qualcuno che avrebbe potuto approfittarsi della loro debolezza, del loro bisogno di aiuto, del loro bisogno di protezione?”. Mi guardò con amarezza, si passò una mano irruvidita in mezzo ai capelli grigi, a pettinare i pensieri. “Lo sapevano perché io lo avevo detto, e non ero mica il solo. I ragazzi della comunità lo sapevano tutti. Chi non ci stava veniva allontanato, oppure se ne andava da solo. Nessuno si è mai preso la briga di vedere cosa succedeva in queste comunità”. [...]
Di quella giornata, un ospite mi raccontò: “Il più bel regalo di compleanno, ottant’anni ieri, don Pierino Gelmini l’ha avuto da Silvio Berlusconi: dieci miliardi di vecchie lire. Il più bel regalo, senza compleanno, Berlusconi lo ha avuto da don Gelmini, sempre ieri, che ha ordinato di accoglierlo con un canto di ‘Alleluja’ a tutto volume. Ovunque entrasse il premier, prima nella sala mensa e poi nell’auditorium della Comunità Incontro, veniva preceduto dalle note gloriose riservate, in Chiesa, a onorare il Signore. Un incontro di due ego travolgenti quello di ieri ad Amelia, nella struttura per il recupero dei tossicodipendenti nata nel 1979. Don Gelmini che spiegava al premier: ‘Preferirei essere Papa che capo del governo’. Berlusconi che gli diceva, dopo avere visto i preti, destinati alla successione da don Pierino, inginocchiarsi e promettergli fedeltà: ‘Mi hai dato un’idea, quasi quasi chiamo i miei ministri azzurri e li faccio inginocchiare davanti a me...’.Una festa-show con GigiD’Alessio che cantava la sua nuova canzone Non c’è vita da buttare dedicata ai ragazzi persi e che salutava Berlusconi con un "salve collega". Amedeo Minghi che dedicava un videoclip a don Pierino. Ad Amelia, per omaggiare questo fenomenale prete, esarca precisa lui, che a ottant’anni ha una vitalità e un’energia travolgenti, sono arrivati in tanti a iniziare dal capo del comitato dei festeggiamenti, il ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri. C’erano anche il ministro Rocco Buttiglione, il ministro Lunardi, Gustavo Selva, una sfilata di sottosegretari. Della prima Repubblica c’era l’ex ministro De Lorenzo che sembrava avere una missione: parlare con Berlusconi. E quando c’è riuscito, l’ha baciato, anche. A rappresentare l’opposizione, la presidente della Regione Maria Rita Lorenzetti, che nel salutare il padrone di casa, seduto nell’auditorium in prima fila vicino a Berlusconi, gli ha riconosciuto il grande impegno nella lotta contro la droga, ma ha anche detto: ‘Non siamo d’accordo su molte cose’. Non c’era il fratello di don Pierino, padre Eligio stava male. Una giornata lunga, iniziata di mattina presto nello studio privato di don Pierino dove sono arrivati in tanti a salutarlo, molti genitori di ragazzi salvati dalla comunità. Un padre è entrato piangendo, con una busta da lettera in mano piena di soldi da offrire a colui che aveva ridato la vita a suo figlio. ‘Era rinato qui dentro, purtroppo poi fuori non ce l’ha fatta’. Don Pierino ha preso la busta e lo ha abbracciato. ‘Suo figlio era un cantautore’, ha spiegato poi. A mezzogiorno tutti a messa. Don Pierino è entrato tra due ali di sacerdoti, seguito dal cardinale Jorge Maria Mejia. Mischiato tra i concelebranti c’era anche Alessandro Meluzzi, ex deputato azzurro, psichiatra fino a qualche giorno fa impegnato a commentare in tv gli irrecuperabili de L’Isola dei famosi, e adesso qui, in comunità di recupero, in un angolo di Umbria, con il saio da frate e la croce indosso. Nelle pause del serrato programma, Rocco Buttiglione ha parlato della sua prossima terza prova da nonno, la figlia partorirà ad agosto, e ha rivelato di aver cambiato idea su quale sia la vera vocazione della donna: ‘Credevo che fosse essere mamma. A un certo punto ho anche pensato che potesse essere suocera. Adesso che vedo mia moglie con i nipoti ho capito che la vera vocazione è quella di essere nonna. Un ruolo che la ringiovanisce di vent’anni’. Come sempre, era difficile capire se scherzava o diceva sul serio”.
IL CASO AMERICANO
A Boston cominciò così. In sordina, senza troppo rumore. L’avvocato che mise la prima pietra aveva un nome armeno, difficile da pronunciare: si chiamava Mitchell Garabedian, e non era mai stato uno di quegli avvocati inseguiti dai giornalisti all’uscita dell’aula di dibattimento. Si era laureato all’Università statale, si era sempre occupato di piccoli casi. Insomma, uno sconosciuto. Uno fra i tanti avvocati di Boston. Gli piaceva il suo lavoro; certe mattine arrivava in ufficio prestissimo e andava avanti a lavorare fino a tarda sera. Era il 1994 quando un uomo era entrato nel suo studio, s’era seduto di fronte alla vecchia scrivania, e gli aveva parlato di padre Geoghan. Mitch non lo sapeva, ma quell’incontro avrebbe segnato la sua vita. “Ero un ragazzino normale” raccontò l’uomo all’avvocato, “andavo bene a scuola e mi piaceva lo sport. Facevo anche parte di una squadra. Non avevo neanche dodici anni, ma mi dicevano che ero un bravo atleta. I miei genitori erano orgogliosi di me. Poi arrivò lui. I miei si fidavano, lo consideravano quasi una persona di famiglia: lo invitavano a cena, a qualche partita di bridge, ai compleanni. Spesso, dopo cena, mi portava fuori a prendere un gelato, a fare un giro in macchina. Nessuno ha mai saputo che mi facesse quelle cose. Non lo dissi neppure a mia madre, a mio padre. Per loro, padre Geoghan era un buon amico, un amico di tutta la famiglia. Come potevo dirgli che mi faceva quelle cose? Stavo male. Riuscivo a fare solo questo: star male. Certi giorni non andavo nemmeno a scuola, agli allenamenti. Lasciai la squadra. E comincia i a bere. Ero solo un bambino, Dio mio, ero solo un bambino”.
GLI INTOCCABILI LEGIONARI DI CRISTO
Il potere della Legione di Cristo all’interno della Chiesa è tale che Lennon, uno degli accusatori di Maciel, parlando dei rapporti tra quest’ultimo e il Vaticano, affermò: “Maciel è intoccabile. Ha lavorato con molti Papi, conosce i procedimenti interni, conosce vescovi, conosce cardinali, conosce quelli che hanno realmente il potere, e li conosce bene, molto bene”. Alejandro Espinosa, nel libro El prodigioso ilusionista, il seguito di El legionario, avanza sospetti e ipotesi inquietanti sulla vita del fondatore dei Legionari di Cristo. Già in El legionario, Espinosa aveva fatto riferimento alle “morti provvidenziali” di alcuni nemici di Maciel, ma è soprattutto nel suo secondo libro che le ipotesi si fanno dettagliate. Espinosa parte dagli anni giovanili del sacerdote, dai tempi in cui frequentava il seminario retto da suo zio, il vescovo Rafael Guizar y Valencia, e sostiene che si siano verificate circostanze quanto meno singolari, coincidenze preoccupanti. Sembra che lo stesso giorno della sua morte, il vescovo avesse avuto un’accalorata discussione con Marcial Maciel, e avesse decretato la sua espulsione per mancanza di attitudine allo studio, per mancanza di spirito di sacrificio e di vocazione al sacerdozio, oltre che per avere saputo dei suoi approcci sessuali nei confronti di seminaristi più giovani. Pare sia arrivato perfino a dire che se avesse proseguito il cammino verso l’ordinazione si sarebbe esposto alla dannazione eterna. Rafael Guizar y Valencia morì poche ore dopo. Un dettagliato resoconto sulla sua morte, racconta che fu impossibile coricarlo nel letto e dovettero lasciarlo steso al suolo, spiegando che volle giacere lì “come san Francesco”. A dodici anni dalla morte, le spoglie del vescovo furono riesumate per essere trasportate dal cimitero di Xalapa alla Cattedrale: aprendo la bara, il corpo fu trovato integro, ma i suoi capelli bianchi erano diventati rossicci. Espinosa sostiene che Maciel possa aver avvelenato lo zio con il cianuro, secondo alcune confessioni che lo stesso Maciel gli avrebbe fatto quando Alejandro era stato in seminario, e la colorazione rossiccia dei capelli dovrebbe esserne testimonianza, così come l’impossibilità di trasportare il vescovo agonizzante nel letto, poiché le convulsioni e gli spasmi dell’avvelenamento sono tali da riuscire a fratturare la colonna vertebrale. Tuttavia, padre Rafael González Hernández, il sacerdote che si è occupato della canonizzazione del vescovo, smentisce assolutamente l’ipotesi di un omicidio: “Monsignore Guizar morì nel 1938 a causa di un’insufficienza cardiaca e di un attacco di diabete. Aveva sessant’anni ma era piuttosto malandato per aver speso la vita al servizio dei fedeli”. Espinosa prosegue con l’elenco delle morti “provvidenziali” tra quelli che disturbarono Maciel. Padre Francisco Orozco Yepes morì in strane circostanze, mentre viaggiava dall’Irlanda a Roma, dove aveva il fermo proposito di denunciare le perversioni di Marcial Maciel davanti alla Sacra Rota Romana. Non si sa che cosa o chi lo convinse ad abbandonare l’aereo allo scalo di Madrid, si sa solo che preferì affittare un’automobile all’aeroporto e fare migliaia di chilometri per raggiungere Roma, dove non arrivò mai.
Un vescovo del Messico, che si opponeva al riconoscimento canonico della Legione di Cristo, fu minacciato da Marcial Maciel durante una discussione, davanti a testimoni. Pochi giorni dopo, un camion investì l’automobile del vescovo: morirono due dei suoi quattro occupanti ma il prelato riuscì a uscirne indenne. Nello stesso mese, si verificò un secondo incidente con la stessa dinamica del precedente, questa volta con esito tragico per il vescovo. Anche la morte di Juan-Manuel Fernández Amenábar, come abbiamo visto, avvenne in circostanze singolari: soffocato da un pezzo di pollo mentre era in ospedale, dove si stava riprendendo da un ictus. Perfino Juan José Vaca temeva una reazione alla lettera che inviò a Maciel quando lasciò la Legione. Perciò quella lettera, nella quale gli rimproverava il danno irreparabile che gli aveva fatto e gliene domandava conto, conteneva un avvertimento: “Desiderando essere assolutamente sincero con lei, l’informo che l’originale di questo scritto, più altre undici copie, si trovano dentro buste sigillate, in un deposito inaccessibile agli indiscreti. Queste dodici buste recano già il nome e l’indirizzo dei destinatari – alte personalità della Chiesa e della società che, nel caso, conosceranno il loro contenuto – e immediatamente giungeranno nella mani dei destinatari, in due circostanze. La prima, nel caso in cui io muoia o sparisca inaspettatamente... “.
di Vania Lucia Gaito da Il Fatto Quotidiano del 24 marzo 2010
24 marzo 2010
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO … EPISCOPALE, (RI)DISCENDE IN POLITICA
Così, i cittadini italiani si ritrovano, in piena campagna elettorale, con due presidenti del Consiglio, di diverse istituzioni, schierati a favore della Polverini e di Cota. Sembra fantapolitica, ma è la realtà.
Il cardinale Bagnasco, presidente della Cei, il parlamento dei vescovi italiani, rompe gli indugi ed irrompe con tutta la forza di un’istituzione spirituale ed etica nella già difficile campagna elettorale, decidendo di dare una mano, com’era ovvio, al Pdl (ahi Casini, Casini …), forse in difficoltà.
Quando il finanziatore delle scuole confessionali chiama, il fruitore, dopo avere criticato l’impiego della RU486 nelle strutture pubbliche (… un “aborto prolungato e banalizzato” che rappresenta il “disconoscimento che ogni essere è per se stesso, fin dall’inizio della sua avventura umana”), risponde con parole forti e chiare: “In questo contesto, inevitabilmente denso di significati, sarà bene che la cittadinanza inquadri con attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale”
Chi ha orecchie per intendere, intenda. Gli elettori sappiano che la Bonino, candidata nel Lazio e la Bresso, candidata in Piemonte, hanno già preso pubblicamente posizione a favore dell’impiego della RU486 nelle strutture sanitarie delle regioni in cui sono candidate alla presidenza. Quindi … non votatele!
Poi invita i politici a tornare “sul piano della politica vera” contro gli scandali e le ruberie, equilibrando in tal modo il suo intervento. La Chiesa in ciò è magister vitae, la sua ipocrisia è proverbiale come la differenza tra il dire e il fare, due categorie da sempre usate con vantaggio.
L’Italia serva di due padroni. Almeno Pulcinella ci sapeva fare …
Votate contro chi vede nell’aborto terapeutico un’emancipazione della donna, contro chi ha liberato la donna dalle mammane e dal rischio della vita in improvvisate sale operatorie. Votate contro chi ha realizzato, attraverso la legalità, la maternità consapevole.
A quando, signor Bagnasco, la crociata contro il divorzio?
Sappia che anche in questo campo troverà la sponda favorevole dei suoi referenti politici. Non importa se hanno uno o più divorzi in … carriera.
La Sacra Rota, poi, dispensa, annullamenti a gogò. Basta pagare e tacere, anzi … alzare la voce per una famiglia composta secondo natura … da uomo e donna.
Dell’ipocrisia della Chiesa sulla pedofilia e della lettera del 18 Maggio 2001 del cardinale Ratzinger nella qualità di Prefetto della Congregazione per la fede ex Sant’Uffizio inviata ai vescovi americani. … ne parleremo in questi giorni.
L’ingerenza della Chiesa è una vergogna per l’Italia. Parlo d’ingerenza e non di espressione dei propri valori (libera di farlo), perché il signor Bagnasco ha dato un’indicazione di voto, subito raccolta da un tal prete di Roma che ha invaso la privacy di numerosi cittadini italiani con e-mail elettorali a vantaggio della Polverini. Ma se c’è una giustizia divina …
Il cardinale Bagnasco, presidente della Cei, il parlamento dei vescovi italiani, rompe gli indugi ed irrompe con tutta la forza di un’istituzione spirituale ed etica nella già difficile campagna elettorale, decidendo di dare una mano, com’era ovvio, al Pdl (ahi Casini, Casini …), forse in difficoltà.
Quando il finanziatore delle scuole confessionali chiama, il fruitore, dopo avere criticato l’impiego della RU486 nelle strutture pubbliche (… un “aborto prolungato e banalizzato” che rappresenta il “disconoscimento che ogni essere è per se stesso, fin dall’inizio della sua avventura umana”), risponde con parole forti e chiare: “In questo contesto, inevitabilmente denso di significati, sarà bene che la cittadinanza inquadri con attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale”
Chi ha orecchie per intendere, intenda. Gli elettori sappiano che la Bonino, candidata nel Lazio e la Bresso, candidata in Piemonte, hanno già preso pubblicamente posizione a favore dell’impiego della RU486 nelle strutture sanitarie delle regioni in cui sono candidate alla presidenza. Quindi … non votatele!
Poi invita i politici a tornare “sul piano della politica vera” contro gli scandali e le ruberie, equilibrando in tal modo il suo intervento. La Chiesa in ciò è magister vitae, la sua ipocrisia è proverbiale come la differenza tra il dire e il fare, due categorie da sempre usate con vantaggio.
L’Italia serva di due padroni. Almeno Pulcinella ci sapeva fare …
Votate contro chi vede nell’aborto terapeutico un’emancipazione della donna, contro chi ha liberato la donna dalle mammane e dal rischio della vita in improvvisate sale operatorie. Votate contro chi ha realizzato, attraverso la legalità, la maternità consapevole.
A quando, signor Bagnasco, la crociata contro il divorzio?
Sappia che anche in questo campo troverà la sponda favorevole dei suoi referenti politici. Non importa se hanno uno o più divorzi in … carriera.
La Sacra Rota, poi, dispensa, annullamenti a gogò. Basta pagare e tacere, anzi … alzare la voce per una famiglia composta secondo natura … da uomo e donna.
Dell’ipocrisia della Chiesa sulla pedofilia e della lettera del 18 Maggio 2001 del cardinale Ratzinger nella qualità di Prefetto della Congregazione per la fede ex Sant’Uffizio inviata ai vescovi americani. … ne parleremo in questi giorni.
L’ingerenza della Chiesa è una vergogna per l’Italia. Parlo d’ingerenza e non di espressione dei propri valori (libera di farlo), perché il signor Bagnasco ha dato un’indicazione di voto, subito raccolta da un tal prete di Roma che ha invaso la privacy di numerosi cittadini italiani con e-mail elettorali a vantaggio della Polverini. Ma se c’è una giustizia divina …
23 marzo 2010
5 MILIONI D’INNAMORATI ALLA MANIFESTAZIONE DEL PDL
Sono stati 5 milioni alla manifestazione del Pdl o Partito dell’Amore. Né un milione né 150 mila né 500 mila né … tanto nell’immaginario collettivo, che coincide con le cosiddette leggende metropolitane, suffragate dai tigi di MediaRai e da programmi d’intrattenimento vari, Piazza San Giovanni s’ingrandisce come si vuole … o si restringe con striscioni di 500 metri di lunghezza o con gazebo posti ai lati della stessa.
Quel che resta della manifestazione è la sostanza: ancora una volta l’Amore ha trionfato, non solo sull’odio della sinistra, ma anche su quanti hanno voluto sminuire la portata dell’oceanico raduno (ah, se fosse stata disponibile Piazza Venezia!), come la Questura di Roma (anche questo un covo della sinistra?). Meno male che se ne sono accorti i più “accorti” dei colonnelli dell’Amore, che, diciamocelo pure, non può lasciar correre mistificazioni di tale portata, lo stesso Amore non può perdonarselo né perdonare. Se si chiudono gli occhi una volta, perdindirindina, si corre il rischio di creare un precedente e poi … dove andremo a finire?
Così, i “2” capigruppo hanno dovuto, loro malgrado, esternare. Per Cicchitto nella Questura di Roma c’è qualcosa che non funziona … ha perso credibilità. Gasparri è stato più preciso: “Crisi etilica in Questura!
Ma l’amore trionfa sempre e Berlusconi dice che non è una questione di numeri ma di qualità.
E il suo discorso, non c’era da dubitarne, è stato di qualità, da vero leader e vero statista, dispiaciuto dal trascurare il governo del Paese sempre più bisognoso di cure, considera rata la crisi economica.
Questa distrazione dagli affari di Stato è almeno provvisoria, se confrontata alla pretesa di certa magistratura politicizzata che vorrebbe costringerlo a passare gran parte del suo tempo da un Palazzo di giustizia all’altro per fatti irrisori e talvolta inesistenti come, per esempio, le intercettazioni effettuate dalla Procura di Trani. L’invadenza di una sperduta Procura che si permette d’incettare il presidente del Consiglio mentre esprime la sua opinione sulla bontà di una trasmissione come quella di “Anno zero”.
Anche il presidente del Consiglio è un cittadino, anzi, Il Cittadino, e come tale ha tutto il diritto di esplicitare il suo dissenso verso una trasmissione che fa processi in diretta, anche se sono presenti l’avvocato-onorevole Ghedini o il direttore Belpietro o il vice direttore Sallustri.
Meno male che il direttore Minzolini qualche volta interviene con un editoriale apposito o non interviene quando nel tigi si parla di assoluzione per li processo Mills e non di sopravvenuta prescrizione. Ma chi volete che capisca il linguaggio giuridico se lo stesso presidente spesso ne rimane coinvolto. Inutile dire che la prescrizione non cancella il reato … in fondo la colpa, se un processo non si conclude, è dei giudici che “non sono stati capaci di avvalorare la loro tesi accusatoria”. È giusto, comunque, che gli italiani credano al loro Premier, che, essendo chiamato in causa, conosce il fatto che lo riguarda e può giurare di non averlo commesso: “Ho giurato. Nessuna delle accuse della magistratura è fondata e sinora ho avuto sempre ragione”.
Come si può non prestare fede a un giuramento fatto davanti a milioni di cittadini? È pazzesco! È una farsa!
- Ci sono, però, le intercettazioni?
- Queste, fuori dal contesto, senza l’audio, senza i toni delle voci, rappresentano uno strumento “barbaro e incivile”.
- In America non la pensano così, anzi …
- È una questione di privacy. Il cittadino non può essere controllato nella sua vita privata e, poi la magistratura spende per queste spiate un patrimonio che potremmo utilizzare per potenziare le procure …
- … o per gonfiare gli appalti. Intanto, le intercettazioni non riguardano i cittadini comuni, né i cittadini onesti che nulla hanno da temere, perché nessuno si sognerebbe mai di mettere sotto controllo il loro telefono e che, certamente, hanno il diritto di conoscere i comportamenti legati alle attività di coloro i quali rivestono incarichi pubblici pagati con denaro pubblico. E’, inoltre, una leggenda metropolitana il presunto elevato costo delle intercettazioni se confrontato con altri Paesi. Mentre in Italia le intercettazioni le può disporre solo la Magistratura, negli altri Paesi sono molte le istituzioni preposte a tale compito, anche il sindaco di un piccolo Villaggio e senza ricorrere alla Magistratura.
È stato molto coreografico, perfino commovente, il giuramento di gruppo sul programma da realizzare dai presidenti di Regione, peccato che nessuno ha avuto l’opportunità di conoscerlo, tanto che sorge ilo dubbio se si andrà a votare per le regionali o per le nazionali. È certamente un problema di lana caprina perché nell’era di Berlusconi si vota contro o a suo favore … tutto il resto è solo … il resto.
Che significato può avere, allora, il confronto proposto da Bersani? Nessun significato! È meglio non farlo . Sarebbe una perdita di tempo, visti i numerosi impegni istituzionali del Premier.
E, poi, questa sinistra giustizialista, “ammanettata a Di Pietro e ai pm” non merita nessuna considerazione. Ma quale confronto, se non è mai d’accordo sulle decisioni della maggioranza di governo, espressione del popolo Italiano che ha votato plebiscitariamente per Silvio!
Questo non è populismo, come la stampa rossa, vuol far credere, ma è consenso verso il pdftm (partito del fare tutto mi), anche se poi qualcosa si tralascia, come lo sgombero delle macerie da L’Aquila, o il dissesto idrogeologico della Calabria e della Sicilia, o il raddoppio delle ferrovie in Sicilia. Però, in compenso c’è stato il lodo Alfano, il legittimo impedimento, lo scudo fiscale, il decreto salva liste, lo scempio della scuola pubblica con l’esclusione della Geografia dai programmi delle Superiori, il finanziamento delle scuole confessionali …
- Sei proprio diparte, si vede. Mancano ancora tre anni alla fine della legislatura. Vedrai che, se i comunisti non faranno, come sempre, ostruzionismo, anche le littorine della linea Palermo – Trapani, dopo ottant’anni andranno finalmente in pensione rubandoci un pezzo del nostro passato di bambini …
- … e non solo questo.
Quel che resta della manifestazione è la sostanza: ancora una volta l’Amore ha trionfato, non solo sull’odio della sinistra, ma anche su quanti hanno voluto sminuire la portata dell’oceanico raduno (ah, se fosse stata disponibile Piazza Venezia!), come la Questura di Roma (anche questo un covo della sinistra?). Meno male che se ne sono accorti i più “accorti” dei colonnelli dell’Amore, che, diciamocelo pure, non può lasciar correre mistificazioni di tale portata, lo stesso Amore non può perdonarselo né perdonare. Se si chiudono gli occhi una volta, perdindirindina, si corre il rischio di creare un precedente e poi … dove andremo a finire?
Così, i “2” capigruppo hanno dovuto, loro malgrado, esternare. Per Cicchitto nella Questura di Roma c’è qualcosa che non funziona … ha perso credibilità. Gasparri è stato più preciso: “Crisi etilica in Questura!
Ma l’amore trionfa sempre e Berlusconi dice che non è una questione di numeri ma di qualità.
E il suo discorso, non c’era da dubitarne, è stato di qualità, da vero leader e vero statista, dispiaciuto dal trascurare il governo del Paese sempre più bisognoso di cure, considera rata la crisi economica.
Questa distrazione dagli affari di Stato è almeno provvisoria, se confrontata alla pretesa di certa magistratura politicizzata che vorrebbe costringerlo a passare gran parte del suo tempo da un Palazzo di giustizia all’altro per fatti irrisori e talvolta inesistenti come, per esempio, le intercettazioni effettuate dalla Procura di Trani. L’invadenza di una sperduta Procura che si permette d’incettare il presidente del Consiglio mentre esprime la sua opinione sulla bontà di una trasmissione come quella di “Anno zero”.
Anche il presidente del Consiglio è un cittadino, anzi, Il Cittadino, e come tale ha tutto il diritto di esplicitare il suo dissenso verso una trasmissione che fa processi in diretta, anche se sono presenti l’avvocato-onorevole Ghedini o il direttore Belpietro o il vice direttore Sallustri.
Meno male che il direttore Minzolini qualche volta interviene con un editoriale apposito o non interviene quando nel tigi si parla di assoluzione per li processo Mills e non di sopravvenuta prescrizione. Ma chi volete che capisca il linguaggio giuridico se lo stesso presidente spesso ne rimane coinvolto. Inutile dire che la prescrizione non cancella il reato … in fondo la colpa, se un processo non si conclude, è dei giudici che “non sono stati capaci di avvalorare la loro tesi accusatoria”. È giusto, comunque, che gli italiani credano al loro Premier, che, essendo chiamato in causa, conosce il fatto che lo riguarda e può giurare di non averlo commesso: “Ho giurato. Nessuna delle accuse della magistratura è fondata e sinora ho avuto sempre ragione”.
Come si può non prestare fede a un giuramento fatto davanti a milioni di cittadini? È pazzesco! È una farsa!
- Ci sono, però, le intercettazioni?
- Queste, fuori dal contesto, senza l’audio, senza i toni delle voci, rappresentano uno strumento “barbaro e incivile”.
- In America non la pensano così, anzi …
- È una questione di privacy. Il cittadino non può essere controllato nella sua vita privata e, poi la magistratura spende per queste spiate un patrimonio che potremmo utilizzare per potenziare le procure …
- … o per gonfiare gli appalti. Intanto, le intercettazioni non riguardano i cittadini comuni, né i cittadini onesti che nulla hanno da temere, perché nessuno si sognerebbe mai di mettere sotto controllo il loro telefono e che, certamente, hanno il diritto di conoscere i comportamenti legati alle attività di coloro i quali rivestono incarichi pubblici pagati con denaro pubblico. E’, inoltre, una leggenda metropolitana il presunto elevato costo delle intercettazioni se confrontato con altri Paesi. Mentre in Italia le intercettazioni le può disporre solo la Magistratura, negli altri Paesi sono molte le istituzioni preposte a tale compito, anche il sindaco di un piccolo Villaggio e senza ricorrere alla Magistratura.
È stato molto coreografico, perfino commovente, il giuramento di gruppo sul programma da realizzare dai presidenti di Regione, peccato che nessuno ha avuto l’opportunità di conoscerlo, tanto che sorge ilo dubbio se si andrà a votare per le regionali o per le nazionali. È certamente un problema di lana caprina perché nell’era di Berlusconi si vota contro o a suo favore … tutto il resto è solo … il resto.
Che significato può avere, allora, il confronto proposto da Bersani? Nessun significato! È meglio non farlo . Sarebbe una perdita di tempo, visti i numerosi impegni istituzionali del Premier.
E, poi, questa sinistra giustizialista, “ammanettata a Di Pietro e ai pm” non merita nessuna considerazione. Ma quale confronto, se non è mai d’accordo sulle decisioni della maggioranza di governo, espressione del popolo Italiano che ha votato plebiscitariamente per Silvio!
Questo non è populismo, come la stampa rossa, vuol far credere, ma è consenso verso il pdftm (partito del fare tutto mi), anche se poi qualcosa si tralascia, come lo sgombero delle macerie da L’Aquila, o il dissesto idrogeologico della Calabria e della Sicilia, o il raddoppio delle ferrovie in Sicilia. Però, in compenso c’è stato il lodo Alfano, il legittimo impedimento, lo scudo fiscale, il decreto salva liste, lo scempio della scuola pubblica con l’esclusione della Geografia dai programmi delle Superiori, il finanziamento delle scuole confessionali …
- Sei proprio diparte, si vede. Mancano ancora tre anni alla fine della legislatura. Vedrai che, se i comunisti non faranno, come sempre, ostruzionismo, anche le littorine della linea Palermo – Trapani, dopo ottant’anni andranno finalmente in pensione rubandoci un pezzo del nostro passato di bambini …
- … e non solo questo.
19 marzo 2010
DECRETI ED ESTERNAZIONI: ILO PRESIDENTE A TUTTO CAMPO
Il Presidente Napolitano esterna e “firma” più di quanto imperversi il Papa nella tivù italiana.
Nella sua frenetica attività di mostrarsi sempre più al di sopra delle parti e garante indiscusso della Costituzione, ritiene di non poter fare a meno d’intervenire per dare, anche Lui che ne ha la facoltà, un’”interpretazione autentica” di regole e comportamenti che potrebbero degenerare in scontri istituzionali.
Ferma restando la sua buona fede, simile a quella che un buon padre esercita nell’ambito educativo che riguarda la prole in formazione, i risultati di tanta solerzia non sono dei più rasserenanti.
Ogni sua esternazione, insomma, invece di portare ordine determina molte “interpretazioni autentiche”, tante quante sono le forze politiche in campo e anche di più, in ragione dei numerosi leader in passerella televisiva.
È il caso del Decreto salva-liste, firmato ad ora tarda, vista l’urgenza del provvedimento governativo. Al di là di tutte le giustificazioni addotti da valenti opinionisti di destra e di sinistra, due domande sorgono spontanee:
- perché il Presidente al suo rientro dal viaggio all’estero ha ritenuto di dover collaborare, (anche aspramente, come ci dicono le cronache), alla stesura del Decreto, sfacciatamente rivolto all’ammissione di una sola forza politica e del tutto anticostituzionale?
- perché, nel ruolo che gli assegna la Costituzione, non aspettava “il parto” del governo, riservandosi di firmarlo?
Sono domande semplici, ma difficilmente avranno una risposta semplice…solo risposte “interpretative autentiche”, con qualche voce fuori dal coro, che viene subito criminalizzata come “lesa maestà”.
- Dimentichi le minacce di convocare la piazza. Un Presidente non può non pensare alla pace nazionale, s’introduce il mio amico.
- È vero, la concordia nazionale prima di tutto, ma, come l’esperienza Gli avrebbe dovuto insegnare, cedere al ricatto della piazza non ha mai pagato: lodo Alfano docet. Avrebbe potuto denunciare le pressioni ricevute e dichiarare di essere in attesa di un decreto definitivo elaborato dal Governo…
- Avrebbe provocato una situazione di contrapposizione senza precedenti e con questa destra…
- Intanto, nonostante la prudenza, domani la destra scenderà in piazza a Roma e tutti noi, immaginiamo il comportamento del suo leader: attacco alla magistratura politicizzata, alla sinistra senza amore, all’odio verso la sua persona, ai possibili attentati…Almeno una volta il Presidente non sarà attaccato, non sarà un Presidente comunista, anzi sarà visto come l’unico baluardo contro la deriva rossa.
- Però la sua lettera con la quale si rivolge ai Partiti e alle istituzioni (CSM e Ministero della Giustiizia) dà una chiara lezione sull’osservanza delle regole, con colpi equamente distribuiti a destra e a manca. Emerge…
- …un Capo dello Stato, ancora una volta poco chiaro che, proprio perché d° un colpo al cerchio e uno alla botte, non fra chiarezza su come le regole vanno rispettate: ognuno , come ho detto prima, dà la sua interpretazione autentica e, per di più,un altro soggetto s’intromette nella contesa tra destra e sinistra che viene tirato per la giacchetta ora da una parte ora dall’altra, generando, suo malgrado, molta confusione e…
- …i cittadini si disamorano della politica…tanto i partiti“sono tutti uguali”.
Nella sua frenetica attività di mostrarsi sempre più al di sopra delle parti e garante indiscusso della Costituzione, ritiene di non poter fare a meno d’intervenire per dare, anche Lui che ne ha la facoltà, un’”interpretazione autentica” di regole e comportamenti che potrebbero degenerare in scontri istituzionali.
Ferma restando la sua buona fede, simile a quella che un buon padre esercita nell’ambito educativo che riguarda la prole in formazione, i risultati di tanta solerzia non sono dei più rasserenanti.
Ogni sua esternazione, insomma, invece di portare ordine determina molte “interpretazioni autentiche”, tante quante sono le forze politiche in campo e anche di più, in ragione dei numerosi leader in passerella televisiva.
È il caso del Decreto salva-liste, firmato ad ora tarda, vista l’urgenza del provvedimento governativo. Al di là di tutte le giustificazioni addotti da valenti opinionisti di destra e di sinistra, due domande sorgono spontanee:
- perché il Presidente al suo rientro dal viaggio all’estero ha ritenuto di dover collaborare, (anche aspramente, come ci dicono le cronache), alla stesura del Decreto, sfacciatamente rivolto all’ammissione di una sola forza politica e del tutto anticostituzionale?
- perché, nel ruolo che gli assegna la Costituzione, non aspettava “il parto” del governo, riservandosi di firmarlo?
Sono domande semplici, ma difficilmente avranno una risposta semplice…solo risposte “interpretative autentiche”, con qualche voce fuori dal coro, che viene subito criminalizzata come “lesa maestà”.
- Dimentichi le minacce di convocare la piazza. Un Presidente non può non pensare alla pace nazionale, s’introduce il mio amico.
- È vero, la concordia nazionale prima di tutto, ma, come l’esperienza Gli avrebbe dovuto insegnare, cedere al ricatto della piazza non ha mai pagato: lodo Alfano docet. Avrebbe potuto denunciare le pressioni ricevute e dichiarare di essere in attesa di un decreto definitivo elaborato dal Governo…
- Avrebbe provocato una situazione di contrapposizione senza precedenti e con questa destra…
- Intanto, nonostante la prudenza, domani la destra scenderà in piazza a Roma e tutti noi, immaginiamo il comportamento del suo leader: attacco alla magistratura politicizzata, alla sinistra senza amore, all’odio verso la sua persona, ai possibili attentati…Almeno una volta il Presidente non sarà attaccato, non sarà un Presidente comunista, anzi sarà visto come l’unico baluardo contro la deriva rossa.
- Però la sua lettera con la quale si rivolge ai Partiti e alle istituzioni (CSM e Ministero della Giustiizia) dà una chiara lezione sull’osservanza delle regole, con colpi equamente distribuiti a destra e a manca. Emerge…
- …un Capo dello Stato, ancora una volta poco chiaro che, proprio perché d° un colpo al cerchio e uno alla botte, non fra chiarezza su come le regole vanno rispettate: ognuno , come ho detto prima, dà la sua interpretazione autentica e, per di più,un altro soggetto s’intromette nella contesa tra destra e sinistra che viene tirato per la giacchetta ora da una parte ora dall’altra, generando, suo malgrado, molta confusione e…
- …i cittadini si disamorano della politica…tanto i partiti“sono tutti uguali”.
18 marzo 2010
IL PARTITO DELL’AMORE E LE AUTENTICHE INTERPRETAZIONI
L’altra sera, facendo zapping, sono capitato su “La sette, mentre andava in onda “otto e mezzo”, il programma condotto dalla Gruber.
L’europarlamentare De Magistris stava rispondendo molto compostamente alla domanda posta dalla giornalista, quando irrompe, prima, la voce alterata del ministro Bondi, nonché membro della triade dei coordinatori del Pdl (non so se Verdini dopo lo scandalo degli appalti si sia dimesso…ma non importa) e, poi, il suo viso paonazzo e sofferente, forse ricordando il suo passato di sindaco comunista, convertito nella strada di Arcore.
“Vergogna, vergogna, vergogna...“, gridava, cercando di coprire la voce di De Magistris, mentre la Gruber tentava di fermarlo.
Ritornata la calma, il ministro, ormai visibilmente soddisfatto dell’exploit, si ricompone, ma poi esplode alle…provocazioni(si fa per dire) di De Magistris, urlando le sue ragioni (si fa per dire): “E’ un ignorante sia giuridicamente che politicamente”.
Devo dire che mi sono vergognato per l’on. Bondi, mortificato dal livore e dalla cattiveria espressi e teletrasmessi ad alcuni milioni di telespettatori da un ministro della Repubblica, addirittura dal ministro della cultura, dal ministro poeta (che c’entra…anche Verlaine…).
E l’amore?
Quale amore! Il ministro non è nuovo a tali miserevoli comportamenti. Sicuramente non ha cancellato del tutto il suo passato comunista che, nonostante gli sforzi e il sorriso accattivante, ritorna prepotentemente e così l’avversario politico diventa nemico e il Gulag nei ricordi nascosto ritorna. È un lampo…poi l’affabile Bondi ritorna all’Amore…di Silvio.
- È un caso isolato, interviene il mio amico.
- Si! Bondi la mente e il collega La Russa il braccio. In fondo, ma molto in fondo, sempre amore è. Per il loro capo…s’intende. Ma, dico, cosa ci faceva un disturbatore tra i giornalisti durante la conferenza stampa del premier? E se tale personaggio, avesse avuto intenzioni violente verso Silvio? La scorta era lontana…meglio prendere l’iniziativa e così il ministro della difesa, a spintoni e manate, ha provveduto ad allontanare il non gradito ospite (che soddisfazione rivedersi ancora giovane e aitante…chissà quanti bei ricordi di un tempo lontano, che spesso ritorna).
E l’amore?
Il Pdl ce la mette tutta, fa il possibile per farsi amare, ma lotta contro un muro di odio. Non può fare miracoli…almeno per ora, visto che in Campania la spazzatura, nonostante Bertolaso, sta ri-invadendo le strade. Ma sarà un complotto contro Berlusconi messo in atto dagli operatori ecologici senza stipendio e dall’incerto futuro.
E dove lo mettiamo il complotto delle liste elettorali (di chi?...ma dei giudici comunisti!). Meno male che il governo del fare ha immediatamente emanato il Decreto di interpretazione autentica di una legge… collaudata da decenni. Tutti i gradi della magistratura laziale hanno bocciato i ricorsi del Pdl e la sua lista non è stata riammessa. Ma la colpa è dei radicali che hanno partecipato al complotto della sinistra che sta diventando troppo invasiva.
Con tutti i complotti che si registrano, la Procura di Trani ha il coraggio d’indagare Berlusconi, l’inventore, il portatore dell’Amore, per alcune telefonate fatte a Minzolini, direttore del Tg1, e a Innocenzi, commissario dell’Agcom.
Ma dove viviamo! Il presidente che non può telefonare, che non può esprimere giudizi e preferenze sulle trasmissioni della Rai…che, in un momento d’ira, non può esprimere il desiderio che alcune di queste vengano chiuse. Siamo alla paranoia, alla pazzia!
Ma se siamo i primi noi ad esprimere giudizi, spesso poco lusinghieri, sulle stesse trasmissioni!
Ma va là! Viviamo, diciamolo pure, in un mondo alla rovescia…
- Ma le regole…
- Ma quali regole! Se queste sono vetuste e contrastano con la normale visione della maggioranza degli elettori, è giusto che vengano cambiate…anche in corsa…per renderla più spedita e arrivare prima al traguardo.
- Ma il Parlamento…
- Ma quale Parlamento! Sono state le segreterie dei partiti a comporre le liste e i parlamentari devono rispondere. solo ai loro leaders.
- Allora gli onorevoli non sono degli eletti ma dei nominati.
- È così! Ciò dà una maggiore garanzia di tenuta della maggioranza
- Allora perché il governo pone spesso la fiducia, pur potendo contare su una schiacciante maggioranza?
- Per controllare che questa non si sfaldi e per individuare colui che poi sarà per sempre il “traditore” e non più candidato e in ultima analisi per imporre l’amore per il leader...
- Ma l’amore non s’impone. È un sentimento spontaneo…
- Ma va là! All’amore si viene educati e gli Italiani ne sanno qualcosa.
Il poeta Quoist afferma, ma apparteneva ad un altro pianeta:
”L’amore non è un vestito già confezionato, una stoffa da tagliare, preparare e cucire. Non è un appartamento chiavi in mano, ma una casa da concepire, costruire, conservare e, spesso, riparare”.
L’europarlamentare De Magistris stava rispondendo molto compostamente alla domanda posta dalla giornalista, quando irrompe, prima, la voce alterata del ministro Bondi, nonché membro della triade dei coordinatori del Pdl (non so se Verdini dopo lo scandalo degli appalti si sia dimesso…ma non importa) e, poi, il suo viso paonazzo e sofferente, forse ricordando il suo passato di sindaco comunista, convertito nella strada di Arcore.
“Vergogna, vergogna, vergogna...“, gridava, cercando di coprire la voce di De Magistris, mentre la Gruber tentava di fermarlo.
Ritornata la calma, il ministro, ormai visibilmente soddisfatto dell’exploit, si ricompone, ma poi esplode alle…provocazioni(si fa per dire) di De Magistris, urlando le sue ragioni (si fa per dire): “E’ un ignorante sia giuridicamente che politicamente”.
Devo dire che mi sono vergognato per l’on. Bondi, mortificato dal livore e dalla cattiveria espressi e teletrasmessi ad alcuni milioni di telespettatori da un ministro della Repubblica, addirittura dal ministro della cultura, dal ministro poeta (che c’entra…anche Verlaine…).
E l’amore?
Quale amore! Il ministro non è nuovo a tali miserevoli comportamenti. Sicuramente non ha cancellato del tutto il suo passato comunista che, nonostante gli sforzi e il sorriso accattivante, ritorna prepotentemente e così l’avversario politico diventa nemico e il Gulag nei ricordi nascosto ritorna. È un lampo…poi l’affabile Bondi ritorna all’Amore…di Silvio.
- È un caso isolato, interviene il mio amico.
- Si! Bondi la mente e il collega La Russa il braccio. In fondo, ma molto in fondo, sempre amore è. Per il loro capo…s’intende. Ma, dico, cosa ci faceva un disturbatore tra i giornalisti durante la conferenza stampa del premier? E se tale personaggio, avesse avuto intenzioni violente verso Silvio? La scorta era lontana…meglio prendere l’iniziativa e così il ministro della difesa, a spintoni e manate, ha provveduto ad allontanare il non gradito ospite (che soddisfazione rivedersi ancora giovane e aitante…chissà quanti bei ricordi di un tempo lontano, che spesso ritorna).
E l’amore?
Il Pdl ce la mette tutta, fa il possibile per farsi amare, ma lotta contro un muro di odio. Non può fare miracoli…almeno per ora, visto che in Campania la spazzatura, nonostante Bertolaso, sta ri-invadendo le strade. Ma sarà un complotto contro Berlusconi messo in atto dagli operatori ecologici senza stipendio e dall’incerto futuro.
E dove lo mettiamo il complotto delle liste elettorali (di chi?...ma dei giudici comunisti!). Meno male che il governo del fare ha immediatamente emanato il Decreto di interpretazione autentica di una legge… collaudata da decenni. Tutti i gradi della magistratura laziale hanno bocciato i ricorsi del Pdl e la sua lista non è stata riammessa. Ma la colpa è dei radicali che hanno partecipato al complotto della sinistra che sta diventando troppo invasiva.
Con tutti i complotti che si registrano, la Procura di Trani ha il coraggio d’indagare Berlusconi, l’inventore, il portatore dell’Amore, per alcune telefonate fatte a Minzolini, direttore del Tg1, e a Innocenzi, commissario dell’Agcom.
Ma dove viviamo! Il presidente che non può telefonare, che non può esprimere giudizi e preferenze sulle trasmissioni della Rai…che, in un momento d’ira, non può esprimere il desiderio che alcune di queste vengano chiuse. Siamo alla paranoia, alla pazzia!
Ma se siamo i primi noi ad esprimere giudizi, spesso poco lusinghieri, sulle stesse trasmissioni!
Ma va là! Viviamo, diciamolo pure, in un mondo alla rovescia…
- Ma le regole…
- Ma quali regole! Se queste sono vetuste e contrastano con la normale visione della maggioranza degli elettori, è giusto che vengano cambiate…anche in corsa…per renderla più spedita e arrivare prima al traguardo.
- Ma il Parlamento…
- Ma quale Parlamento! Sono state le segreterie dei partiti a comporre le liste e i parlamentari devono rispondere. solo ai loro leaders.
- Allora gli onorevoli non sono degli eletti ma dei nominati.
- È così! Ciò dà una maggiore garanzia di tenuta della maggioranza
- Allora perché il governo pone spesso la fiducia, pur potendo contare su una schiacciante maggioranza?
- Per controllare che questa non si sfaldi e per individuare colui che poi sarà per sempre il “traditore” e non più candidato e in ultima analisi per imporre l’amore per il leader...
- Ma l’amore non s’impone. È un sentimento spontaneo…
- Ma va là! All’amore si viene educati e gli Italiani ne sanno qualcosa.
Il poeta Quoist afferma, ma apparteneva ad un altro pianeta:
”L’amore non è un vestito già confezionato, una stoffa da tagliare, preparare e cucire. Non è un appartamento chiavi in mano, ma una casa da concepire, costruire, conservare e, spesso, riparare”.
11 marzo 2010
"Premier denigra, a rischio democrazia"
A larghissima maggioranza ("no" dei laici del Pdl) approvato il documento che accusa il presidente del Consiglio
"Attacchi inaccettabili che delegittimano le istituzioni. Il premier non può insultare e intimidire"
ROMA - A larghissima maggioranza, con il solo scontato "no" dei laici del Pdl, il plenum del Csm ha approvato il documento che accusa il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di aver denigrato e delegittimato la magistratura.
Tra i favorevoli alla delibera, il vice presidente del Csm Nicola Mancino. Che fa sentire la sua voce: "Il presidente del Consiglio è un organo istituzionale, ha responsabilità politica, non può usare un linguaggio di insulti e talvolta di intimidazioni nei confronti del libero esercizio dell'attività giudiziaria".
Il documento approvato è la conseguenza dei frequenti attacchi del premier verso le toghe. Un fascicolo che è andato via via ingrossandosi. Attacchi con un unico filo conduttore. Nel mirino del premier erano finiti tra gli altri i magistrati "comunisti" del processo Mills, i pm che hanno riaperto le indagini sulle stragi mafiose (accusati da Berlusconi di cospirare contro di lui), le toghe di Firenze che hanno messo sotto inchiesta Guido Bertolaso ("si vergognino"), la Corte Costituzionale e da ultimo le "bande" dei pm "talebani" "che perseguono fini eversivi". All'opposto il Csm elogia "la compostezza" e il "silenzio" opposto ad accuse "generiche e ingiuste" da questi magistrati.
Nei confronti del premier i consiglieri non usano giri di parole: l'assunto di una magistratura che vuole "sovvertire l'assetto istituzionale" è "la più grave delle accuse" e "una obiettiva delegittimazione della funzione giudiziaria nel suo complesso e dei singoli magistrati". E il pericolo per l'equilibrio tra poteri dello Stato, che è il fondamento della democrazia, è legato proprio al fatto che queste affermazioni ("inaccettabili") provengano "dal massimo rappresentante del potere esecutivo". Perché "non è ammissibile una delegittimazione di un'istituzione nei confronti dell'altra, pena la caduta di credibilità dell'intero assetto costituzionale".
I consiglieri si appellano a tutte le istituzioni "perché, sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell'intera magistratura, condizione imprescindibile di un'ordinata vita democratica". Un passo indispensabile anche per poter affrontare "serenamente le auspicate riforme in materia di giustizia".
10 marzo 2010
da: Repubblica. it
"Attacchi inaccettabili che delegittimano le istituzioni. Il premier non può insultare e intimidire"
ROMA - A larghissima maggioranza, con il solo scontato "no" dei laici del Pdl, il plenum del Csm ha approvato il documento che accusa il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di aver denigrato e delegittimato la magistratura.
Tra i favorevoli alla delibera, il vice presidente del Csm Nicola Mancino. Che fa sentire la sua voce: "Il presidente del Consiglio è un organo istituzionale, ha responsabilità politica, non può usare un linguaggio di insulti e talvolta di intimidazioni nei confronti del libero esercizio dell'attività giudiziaria".
Il documento approvato è la conseguenza dei frequenti attacchi del premier verso le toghe. Un fascicolo che è andato via via ingrossandosi. Attacchi con un unico filo conduttore. Nel mirino del premier erano finiti tra gli altri i magistrati "comunisti" del processo Mills, i pm che hanno riaperto le indagini sulle stragi mafiose (accusati da Berlusconi di cospirare contro di lui), le toghe di Firenze che hanno messo sotto inchiesta Guido Bertolaso ("si vergognino"), la Corte Costituzionale e da ultimo le "bande" dei pm "talebani" "che perseguono fini eversivi". All'opposto il Csm elogia "la compostezza" e il "silenzio" opposto ad accuse "generiche e ingiuste" da questi magistrati.
Nei confronti del premier i consiglieri non usano giri di parole: l'assunto di una magistratura che vuole "sovvertire l'assetto istituzionale" è "la più grave delle accuse" e "una obiettiva delegittimazione della funzione giudiziaria nel suo complesso e dei singoli magistrati". E il pericolo per l'equilibrio tra poteri dello Stato, che è il fondamento della democrazia, è legato proprio al fatto che queste affermazioni ("inaccettabili") provengano "dal massimo rappresentante del potere esecutivo". Perché "non è ammissibile una delegittimazione di un'istituzione nei confronti dell'altra, pena la caduta di credibilità dell'intero assetto costituzionale".
I consiglieri si appellano a tutte le istituzioni "perché, sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell'intera magistratura, condizione imprescindibile di un'ordinata vita democratica". Un passo indispensabile anche per poter affrontare "serenamente le auspicate riforme in materia di giustizia".
10 marzo 2010
da: Repubblica. it
09 marzo 2010
Il Csm: "Il premier denigra la magistratura
Lo afferma un documento, votato all'unanimità, della Prima Commissione
del Consiglio Superiore della Magistratura che dovrà essere ratificato dal plenum
ROMA - Il Csm reagisce ai ripeturi pronunciamenti di discredito, da parte di Silvio Berlusconi, nei confronti dei giudici e dice: "Episodi di denigrazione e di condizionamento della magistratura e di singoli magistrati" sono "del tutto inaccettabili" perchè cosi si mette "a rischio l'equilibrio stesso tra poteri e ordini dello Stato, sul quale è fondato l'ordinamento democratico di questo Paese". E' quanto scrive la Prima Commissione del Csm nella pratica a tutela di diversi magistrati accusati da Silvio Berlusconi di agire per finalità politiche.
Il giudizio unanime. Il documento, approvato all'unanimità e che sarà discusso domani pomeriggio dal plenum, contiene anche un "un pressante appello a tutte le Istituzioni perché, sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell'intera magistratura, che è condizione imprescindibile di un'ordinata vita democratica". La pratica aperta in Commissione si è arricchita di mese in mese dei vari attacchi del premier alle varie toghe, da quelle del processo Mills a quelle di Napoli e Milano.
Delegittimati. "L'assunto di una magistratura requirente e giudicante che persegue finalità diverse da quelle sue proprie e, per di più, volte a sovvertire l'assetto istituzionale democraticamente voluto dai cittadini costituisce la più grave delle accuse - scrive la Commissione - ed integra, anche per il livello istituzionale da cui tali affermazioni provengono, una obiettiva e incisiva delegittimazione della funzione giudiziaria nel suo complesso e dei singoli magistrati".
Rispetto tra organi istituzionali. E il "discredito" gettato "sulla funzione giudiziaria nel suo complesso e sui singoli magistrati", può produrre, "oggettivamente, nell'opinione pubblica la convinzione che la magistratura non svolga la funzione di garanzia che le è propria, così determinando una grave lesione del prestigio e dell'indipendente esercizio della giurisdizione". Facendo proprie le preoccupazioni espresse in più occasioni dal Capo dello Stato, da ultimo nella sua lettera al vice presidente del Csm, i consiglieri affermano che per affrontare "serenamente le auspicate riforme in tema di giustizia è necessario il rispetto tra gli organi Istituzionali, che devono contribuire a garantire un clima sereno e costruttivo".
Episodi che non devono ripetersi. "Non è ammissibile una delegittimazione di una Istituzione nei confronti dell'altra, pena - avverte la Commissione - la caduta di credibilità dell'intero assetto costituzionale". Ed "è indispensabile che non si ripetano episodi di denigrazione e di condizionamento della magistratura e di singoli magistrati", perché "lo spirito di leale collaborazione Istituzionale - implica necessariamente che nessun organo Istituzionale denigri liberamente altra funzione di rilevanza costituzionale".
Il silenzio dei "Pm comunisti". Le toghe accusate da Berlusconi hanno dimostrato "la compostezza del corpo giudiziario, in generale, e dei singoli magistrati. Giudici che hanno continuato a svolgere in silenzio il proprio dovere, senza replicare alle generiche ed ingiuste accuse", nei loro confronti. In particolare, i consiglieri si riferiscono ad accuse precise: quella di "pm comunisti" fatta dal premier durante la trasmissione Ballarò o quella di "Pm talebani" fatta all'indomani della pronuncia della Cassazione sul caso Mills. E tra le altre, le accuse formulate in occasione del congresso del Partito Popolare europeo di Bonn, quando il premier parlò di un partito dei giudici nella sinistra, attaccando la Corte costituzionale. E ancora la definizione di "plotone di esecuzione" destinata ai giudici di Milano.
(09 marzo 2010) da Repubblica.it
del Consiglio Superiore della Magistratura che dovrà essere ratificato dal plenum
ROMA - Il Csm reagisce ai ripeturi pronunciamenti di discredito, da parte di Silvio Berlusconi, nei confronti dei giudici e dice: "Episodi di denigrazione e di condizionamento della magistratura e di singoli magistrati" sono "del tutto inaccettabili" perchè cosi si mette "a rischio l'equilibrio stesso tra poteri e ordini dello Stato, sul quale è fondato l'ordinamento democratico di questo Paese". E' quanto scrive la Prima Commissione del Csm nella pratica a tutela di diversi magistrati accusati da Silvio Berlusconi di agire per finalità politiche.
Il giudizio unanime. Il documento, approvato all'unanimità e che sarà discusso domani pomeriggio dal plenum, contiene anche un "un pressante appello a tutte le Istituzioni perché, sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell'intera magistratura, che è condizione imprescindibile di un'ordinata vita democratica". La pratica aperta in Commissione si è arricchita di mese in mese dei vari attacchi del premier alle varie toghe, da quelle del processo Mills a quelle di Napoli e Milano.
Delegittimati. "L'assunto di una magistratura requirente e giudicante che persegue finalità diverse da quelle sue proprie e, per di più, volte a sovvertire l'assetto istituzionale democraticamente voluto dai cittadini costituisce la più grave delle accuse - scrive la Commissione - ed integra, anche per il livello istituzionale da cui tali affermazioni provengono, una obiettiva e incisiva delegittimazione della funzione giudiziaria nel suo complesso e dei singoli magistrati".
Rispetto tra organi istituzionali. E il "discredito" gettato "sulla funzione giudiziaria nel suo complesso e sui singoli magistrati", può produrre, "oggettivamente, nell'opinione pubblica la convinzione che la magistratura non svolga la funzione di garanzia che le è propria, così determinando una grave lesione del prestigio e dell'indipendente esercizio della giurisdizione". Facendo proprie le preoccupazioni espresse in più occasioni dal Capo dello Stato, da ultimo nella sua lettera al vice presidente del Csm, i consiglieri affermano che per affrontare "serenamente le auspicate riforme in tema di giustizia è necessario il rispetto tra gli organi Istituzionali, che devono contribuire a garantire un clima sereno e costruttivo".
Episodi che non devono ripetersi. "Non è ammissibile una delegittimazione di una Istituzione nei confronti dell'altra, pena - avverte la Commissione - la caduta di credibilità dell'intero assetto costituzionale". Ed "è indispensabile che non si ripetano episodi di denigrazione e di condizionamento della magistratura e di singoli magistrati", perché "lo spirito di leale collaborazione Istituzionale - implica necessariamente che nessun organo Istituzionale denigri liberamente altra funzione di rilevanza costituzionale".
Il silenzio dei "Pm comunisti". Le toghe accusate da Berlusconi hanno dimostrato "la compostezza del corpo giudiziario, in generale, e dei singoli magistrati. Giudici che hanno continuato a svolgere in silenzio il proprio dovere, senza replicare alle generiche ed ingiuste accuse", nei loro confronti. In particolare, i consiglieri si riferiscono ad accuse precise: quella di "pm comunisti" fatta dal premier durante la trasmissione Ballarò o quella di "Pm talebani" fatta all'indomani della pronuncia della Cassazione sul caso Mills. E tra le altre, le accuse formulate in occasione del congresso del Partito Popolare europeo di Bonn, quando il premier parlò di un partito dei giudici nella sinistra, attaccando la Corte costituzionale. E ancora la definizione di "plotone di esecuzione" destinata ai giudici di Milano.
(09 marzo 2010) da Repubblica.it
06 marzo 2010
UN’AGONIA LENTA E COSTANTE
Ora abbiamo, finalmente, il primo Decreto Legge interpretativo condiviso, scritto e approvato dal Consiglio dei ministri e sottoscritto dal Presidente della Repubblica: un atto dovuto viste le strette e continue consultazioni tra Palazzo Chigi e il Quirinale.
A questo decreto ne seguiranno altri, per interpretare correttamente le leggi che cittadini e magistratura finora hanno disatteso o misconosciuto nella loro sostanza ideale, anche se non scritta.
Grazie, signor Presidente della Repubblica Interpretativa per aver firmato (ma come poteva non farlo!) il decreto salvavita. Grazie per avere dato un vero esempio di collaborazione tra le istituzioni. Grazie per tutti i suoi consigli e i suoi interventi nell’agone politico che molto spesso sono stati fraintesi. Grazie, signor Presidente, perché, nel suo ruolo di super partes e di rappresentanza di tutti gli Italiani, quasi giornalmente ci indica la strada da seguire.
Da un sottobosco (o bosco?) politico litigioso, fatto di comunisti e sfascisti, è emerso chiaramente chi vuole bene veramente l’Italia, l’Italia delle regole da interpretare dopo averle scritte e averle per anni rispettate, l’Italia del fare ma anche del disfare, l’Italia dei tanti scudi non solo fiscali, l’Italia del dissesto idrogeologico e del ponte di Messina, l’Italia delle toghe rosse e della Corte Costituzionale che in un delirio di onnipotenza sentenzia sul lodo Alfano senza considerare l’esigente di governo del Presidente del Consiglio, l’Italia delle morti bianche causate dalle distrazioni dei lavoratori, l’Italia, l’Italia dei processi infiniti e dalle prescrizioni brevi, l’Italia delle assoluzioni scambiate per prescrizioni, l’Italia della par condicio subita, ancora oggi, dal partito di maggioranza relativa che avrebbe senz’altro diritto a uno spazio proporzionale ai voti presi, l’Italia delle tangenti scambiate per tangenziali, l’Italia senza disoccupati e con la cassa integrazione ai minimi storici, l’Italia, l’Italia dei “coglioni” e dei “fannulloni”.
Viva l’Italia! Viva l’Italia! Viva l’Italia!
Non voglio parlare dei contenuti del Decreto condiviso dai “2 Presidenti 2“. Voglio dire, innanzitutto, che non spetta al potere esecutivo dare la giusta interpretazione delle leggi dopo anni di univoca interpretazione e per di più in un’occasione che dimostra la partigianeria dell’Esecutivo (ripescaggio di liste e candidati del Pdl).
La firma del Decreto ha “decretato”, con un atto bilaterale e senza il concorso dell’opposizione (meno male), che pur rappresenta una parte consistente del Paese, la fine dello Stato di Diritto.
Le tante picconate, magistratura, informazione, diritti costituzionali non riconosciuti, intercettazioni da eliminare, leggi ad personam…, sono stati interventi soft per nascondere il regime che oggi viene fuori.
Gli inciuci dentro e fuori dei palazzi delle istituzioni, come i continui ricatti, hanno sicuramente avuto un peso determinante, hanno tracciato la via.
Siamo caduti in un pantano che ancora non si è trasformato in sabbie mobili, ma, attenti, basta una semplice pioggia….
È giunto il momento che l’opposizione unita faccia sentire con forza tutto il suo dissenso, con tutti gli strumenti che la democrazia legittimamente e mette loro a disposizione per salvare le istituzioni dal degrado in cui stanno precipitando. Devono farlo per dare un futuro di speranza ai nostri figli.
A questo decreto ne seguiranno altri, per interpretare correttamente le leggi che cittadini e magistratura finora hanno disatteso o misconosciuto nella loro sostanza ideale, anche se non scritta.
Grazie, signor Presidente della Repubblica Interpretativa per aver firmato (ma come poteva non farlo!) il decreto salvavita. Grazie per avere dato un vero esempio di collaborazione tra le istituzioni. Grazie per tutti i suoi consigli e i suoi interventi nell’agone politico che molto spesso sono stati fraintesi. Grazie, signor Presidente, perché, nel suo ruolo di super partes e di rappresentanza di tutti gli Italiani, quasi giornalmente ci indica la strada da seguire.
Da un sottobosco (o bosco?) politico litigioso, fatto di comunisti e sfascisti, è emerso chiaramente chi vuole bene veramente l’Italia, l’Italia delle regole da interpretare dopo averle scritte e averle per anni rispettate, l’Italia del fare ma anche del disfare, l’Italia dei tanti scudi non solo fiscali, l’Italia del dissesto idrogeologico e del ponte di Messina, l’Italia delle toghe rosse e della Corte Costituzionale che in un delirio di onnipotenza sentenzia sul lodo Alfano senza considerare l’esigente di governo del Presidente del Consiglio, l’Italia delle morti bianche causate dalle distrazioni dei lavoratori, l’Italia, l’Italia dei processi infiniti e dalle prescrizioni brevi, l’Italia delle assoluzioni scambiate per prescrizioni, l’Italia della par condicio subita, ancora oggi, dal partito di maggioranza relativa che avrebbe senz’altro diritto a uno spazio proporzionale ai voti presi, l’Italia delle tangenti scambiate per tangenziali, l’Italia senza disoccupati e con la cassa integrazione ai minimi storici, l’Italia, l’Italia dei “coglioni” e dei “fannulloni”.
Viva l’Italia! Viva l’Italia! Viva l’Italia!
Non voglio parlare dei contenuti del Decreto condiviso dai “2 Presidenti 2“. Voglio dire, innanzitutto, che non spetta al potere esecutivo dare la giusta interpretazione delle leggi dopo anni di univoca interpretazione e per di più in un’occasione che dimostra la partigianeria dell’Esecutivo (ripescaggio di liste e candidati del Pdl).
La firma del Decreto ha “decretato”, con un atto bilaterale e senza il concorso dell’opposizione (meno male), che pur rappresenta una parte consistente del Paese, la fine dello Stato di Diritto.
Le tante picconate, magistratura, informazione, diritti costituzionali non riconosciuti, intercettazioni da eliminare, leggi ad personam…, sono stati interventi soft per nascondere il regime che oggi viene fuori.
Gli inciuci dentro e fuori dei palazzi delle istituzioni, come i continui ricatti, hanno sicuramente avuto un peso determinante, hanno tracciato la via.
Siamo caduti in un pantano che ancora non si è trasformato in sabbie mobili, ma, attenti, basta una semplice pioggia….
È giunto il momento che l’opposizione unita faccia sentire con forza tutto il suo dissenso, con tutti gli strumenti che la democrazia legittimamente e mette loro a disposizione per salvare le istituzioni dal degrado in cui stanno precipitando. Devono farlo per dare un futuro di speranza ai nostri figli.
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