Eluana è stata uccisa. È questa la triste certezza del signor Marco Tarquinio, giornalista di punta dell’Avvenire, l’organo della CEI. Ne è talmente convinto che usa l’intercalare all’inizio di ogni periodo, come atto d’accusa certo. È un’accusa che ha dei destinatari ben individuati cui si rivolge con linguaggio da “Santa” inquisizione, violento e arrogante, in un momento in cui la riflessione dovrebbe guidare le nostre pulsioni.
“Se non gridassimo questa…verità, non avremmo più titolo morale per parlare ai nostri lettori, ai nostri concittadini, ai nostri figli”. Non capisco a quale verità si riferisce il signor Tarquinio, se alla sua o a quella divina, perché, nell’un caso e nell’altro deve dimostrarlo e se è proprio convinto che Eluana è stata uccisa e conosce i nomi dei suoi assassini, e li conosce, come si evince dalla lettura dell’articolo, ha una sola strada da percorrere, quella della denuncia circostanziata alla Magistratura, proprio per non “consentire menzogne e tollerare mistificazioni”. Una tale azione gli darebbe “titolo morale” per parlare a lettori, cittadini e figli (ma non sarebbe stato meglio invertire l’ordine dei destinatari?). Sulla verità divina, cioè rivelata, avrei molte perplessità, viste le manipolazioni a cui è stata sottoposta la Bibbia, come sul titolo morale, considerando che nel “Nuovo catechismo della Chiesa cattolica, 1999” si legge “l’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude (…) il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani…”.
Parla, l’articolista, di Eluana “strappata all’affetto e alle competenze di vita delle suore, contrapposta a una competenza di morte messa in campo a Udine”. E l’affetto dei genitori quello che li ha legati per diciassette anni al calvario di Eluana, a quanto ho capito, si trasforma in “competenza di morte”, poiché i nostri figli “rinunceranno a ragionare della vita e della morte con chi gli è padre e madre (…) e gli potrebbe diventare testimone d’accusa e pubblico ministero e giudice e boia?”. Linguaggio violento e farneticante!
Concordo nella richiesta che la politica s’impegni a colmare il vuoto legislativo in merito, elaborando una legge che tenga conto della volontà chiaramente espressa dal paziente che verrebbe a trovarsi in una condizione di stato vegetativo o di coma irreversibile prevedendo, altresì, strumenti di aiuto per le famiglie coinvolte, proprio per dare un senso a quella che viene definita “cultura della vita”.
Il signor Tarquinio, conclude chiedendo ai giudici, prima chiamati a correo, “che si faccia giustizia” e ci dicano “come è stata uccisa Eluana”.
Ecco, come insegna la Chiesa e la sua gerarchia, emerge sempre la visione dualistica della realtà divisa tra il bene e il male, tra l’assolutismo dogmatico e il relativismo, tra il giusto e ciò che giusto non è. Ovviamente la verità sta sempre dalla loro parte, gli altri di adeguino alla legge divina se non vogliono finire all’Inferno e patire mille pene, come la giustizia divina ci insegna, poiché quella umana è lontana assai dalla perfezione. La perfettibilità della legge umana è certezza di rispetto della dignità e della libertà dell’uomo, di una ricerca che va verso il divino senza certezze assolute ma con il desiderio di conoscenza.
Invito, infine, il signor Tarquini, a non chiedere perdono in mia vece al suo Dio. Innanzitutto perché non credo di dover chiedere perdono perché ho condiviso la posizione di Eluana e della famiglia, e poi perché il perdono è un atto personale e non delegabile. Lo chieda per sé per quanto a scritto e per le pietre che ha lanciato senza dimenticare quello che dice Gesù in Giovanni1, 8-7: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro…”. Oppure lo chieda per tutti i morti dovuti all’integr5alismo cattolico in secoli di massacri.
Segue l'articolo di prima pagine del signor Tarquini che invito a leggere
10 Febbraio 2009
Non morta, ma uccisa
Adesso però vogliamo sapere tutto
Eluana è stata uccisa. Davanti alla morte le parole tornano nude. Non consentono menzogne, non tollerano mistificazioni. E se noi – oggi – non le scrivessimo, queste parole nude e vere, se noi – oggi – non chiamassimo le cose con il loro nome, se noi – oggi – non gridassimo questa tristissima verità, non avremmo più titolo morale per parlare ai nostri lettori, ai nostri concittadini, ai nostri figli. Non saremmo cronisti, e non saremmo nemmeno uomini.
Eluana è stata uccisa. Una settimana esatta dopo essere stata strappata all’affetto e alla «competenza di vita» delle sorelle che per 15 anni, a Lecco, si erano pienamente e teneramente occupate di lei. In un momento imprecisato e oscuro del «protocollo», orribile burocratico eufemismo con il quale si è cercato di sterilizzare invano l’idea di una «competenza di morte» messa in campo, a Udine, per porre fine artificialmente ai suoi giorni.
Eluana è stata uccisa. E noi osiamo chiedere perdono a Dio per chi ha voluto e favorito questa tragedia. Per ogni singola persona che ha contribuito a fermare il respiro e il cuore di una giovane donna che per mesi era stata ostinatamente raccontata, anzi <+corsivo>sentenziata<+tondo>, come «già morta» e che morta non era. Chiediamo perdono per ognuno di loro, ma anche per noi stessi. Per non aver saputo parlare e scrivere più forte. Per essere riusciti a scalfire solo quando era troppo tardi il muro omertoso della falsa pietà. Per aver trovato solo quando nessuno ha voluto più ascoltarle le voci per Eluana (le altre voci di Eluana) che erano state nascoste. Sì, chiediamo perdono per ogni singola persona che ha voluto e favorito questa tragedia. E per noi che non abbiamo saputo gridare ancora di più sui tetti della nostra Italia la scandalosa verità sul misfatto che si stava compiendo: senza umanità, senza legge e senza giustizia.
Eluana è stata uccisa. E noi vogliamo chiedere perdono ai nostri figli e alle nostre figlie. Ci perdonino, se possono, per questo Paese che oggi ci sembra pieno di frasi vuote e di un unico gesto terribile, che li scuote e nessuno saprà mai dire quanto. Con che occhi ci guarderanno? Misurando come le loro parole, le esclamazioni? Rinunceranno, forse per paura e per sospetto, a ragionare della vita e della morte con chi gli è padre e madre e maestro e amico e gli potrebbe diventare testimone d’accusa e pubblico ministero e giudice e boia? Chi insegnerà, chi dimostrerà, loro che certe parole, che le benedette, apodittiche certezze dei vent’anni non sono necessariamente e sempre pietre che gli saranno fardello, che forse un giorno potrebbero silenziosamente lapidarli. Ci perdonino, se possono. Perché Eluana è stata uccisa.
Sì, Eluana è stata uccisa. E noi, oggi, abbiamo solo una povera tenace speranza, già assediata – se appena guardiamo nel recinto delle aule parlamentari – dalle solite cautelose sottigliezze, dalle solite sferraglianti polemiche. Eppure questa povera tenace speranza noi la rivendichiamo: che non ci sia più un altro caso così. Che Eluana non sia morta invano, e che non muoia mai più. Ci sia una legge, che la politica ci dia subito una legge. E che nessuno, almeno nel nostro Paese, sia più ucciso così: di fame e di sete.
Ma che si faccia, ora, davvero giustizia. Che s’indaghi fino in fondo, adesso che il «protocollo» è compiuto e il mistero di questa fine mortalmente c’inquieta. Non ci si risparmi nessuna domanda, signori giudici. Ci sia trasparenza finalmente, dopo l’opacità che ci è stata imposta fino a colmare la misura della sopportazione. E si risponda presto, si risponda subito, si risponda totalmente. Come è stata uccisa Eluana?
Marco Tarquinio
11 febbraio 2009
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