Ho letto con interesse, apprezzandolo, l’articolo di Ilvo Diamanti “Siamo tutti tassisti”.
Condivido molte considerazioni che, a mio giudizio, meriterebbero un approfondimento almeno da parte dei politici di centro sinistra invece di misurare ogni evento sociale o economico col metro della loro ideologia, misura di tutte le cose, “summa” di verità ritenute incontestabili.
Esaminando i contenuti (7 punti) dell’indagine della Demos commissionata dalla Confindustria, Diamanti sottolinea le contraddizione degli Italiani in merito al decreto sulle liberalizzazioni: istintivamente sono d’accordo, ma, dopo, riflettendoci, affiorano i dubbi
Vizio che “affonda le radici nei caratteri della nostra storia”. Concordo e aggiungo che non è vero che siamo un Paese diviso in due in politica (magari!), come vogliono farci credere giornalisti e politologi (in Italia abbondano e sono ben pagati), ma siamo un Paese senza identità (solo il calcio, quando vinciamo, ci unisce), ovvero con più identità, come se l’attuale fosse ancora l’epoca dei “Comuni” quando, faccio notare, le corporazioni nacquero.
E così tutti ci sentiamo iscritti ad un “ordine” o siamo solidali con parenti o amici che ne fanno parte, salvo lamentarci all’occorrenza. Penso che a rafforzare questi caratteri unici del popolo italiano contribuiscano i nostri politici (vedo la barba non i filosofi, diceva un adagio dell’antica Roma), di destra o di sinistra e in ogni ordine di esercizio del loro mandato.
Se i comuni cittadini sono dei cerchiobottisti, che cosa dovremmo dire dei politici?
Si nascondono consapevolmente dietro sigle di comodo che generano confusione, forse per giustificare provvedimenti privi di coerenza e di chiarezza.
Due schieramenti si affrontano: il centro destra e il centro sinistra, ovvero destra-centro-sinistra (ricordate la disputa del “trattino”?), ovvero la palude della politica italiana.
Sono i politici che per primi danno l’esempio e il cittadino si adegua, ad esso si ispira.
Non bisogna rassegnarsi, ma reagire, afferma Diamanti, senza illudersi che il problema si risolva per decreto perché “rischia di produrre l’effetto opposto”.
Diamanti, dopo un’attenta analisi, cade, purtroppo, nell’errore di non dare soluzioni.
Inoltre, se bisogna rifuggire “al destino ineluttabile”, perché parlare parlare di radici che affondano nei caratteri della nostra storia?
La considero una contraddizione dalla quale si esce partendo dalle ragioni “istintive” ma vere di quel 65% di italiani che pensano che la concorrenza, frutto delle liberalizzazioni, sia una virtù, che le tariffe dovrebbero essere stabilite dal mercato e, perché no, anche da quell’80% secondo cui è naturale per svolgere una professione essere iscritti a un albo.
Borgetto 10,07,06
10 luglio 2006
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