Non mi sembra decorosa la polemica in corso tra il Ministro della Giustizia e il Ministro delle Infrastrutture. L’immagine del governo non ne guadagna. Certo ci si aspettava come primo atto un disegno di legge di riforma della giustizia per renderla efficiente e rapida, dando, inoltre, al cittadino la certezza delle pene.
Invece il primo atto è un momento di clemenza del tutto plausibile, dopo ben 16 anni dall’ultimo. Per cui non è vero che ogni nuovo governo vara un indulto.
Non voglio entrare in merito alla giustezza e all’opportunità del provvedimento che porterà fuori dalle patrie galere 13 mila detenuti, ma al cittadino non sfugge la mancanza della totale collegialità segnata dalla presa di posizione del ministro Di Pietro che ne contesta i contenuti.
A suo parere occorre escludere dal provvedimento i reati finanziari, societari e contro la pubblica amministrazione; in altre parole la corruzione, la concussione, il falso in bilancio.
Così, stando al testo approvato dalla Commissione Giustizia, i reati legati a Tangentopoli e Bancopoli godranno di un vero e proprio colpo di spugna, con buona pace dei contribuenti onesti e dei tanti frodati.
Ancora una volta i furbi avranno sconti e chiunque potrà cimentarsi nello sport nazionale del “reato finanziario”. Tanto, tra un condono e un indulto, chi mai avrà la certezza della pena?Borgetto 23,07,06
24 luglio 2006
LA POLITICA ESTERA NEL SEGNO DELLA DISCONTINUITA’
La scelta di Roma come sede della conferenza sul Medio Oriente è, senza dubbio, un successo del governo Prodi e del suo Ministro degli esteri che alla politica delle “pacche sulle spalle” sta sostituendo finalmente la politica dei principi e della chiarezza.
E’ un atto profondo di cambiamento, è il preludio al nuovo ruolo dell’Italia nella politica internazionale che deve vedere sempre più il nostro Paese impegnato nel costruire la pace
Ma una politica estera non si costruisce di colpo ma vuole tempo, specialmente dopo il triste quinquennio Berlusconi – Fini.
A questo punto sarebbe opportuno che i senatori-pacifisti concedessero credito al governo votando il rifinanziamento alla missione in Afghanistan senza che venga posto il voto di fiducia che è sempre un azzardo e indice di debolezza.
Votare si, non significa rinnegare i principi del pacifismo, significa mettersi al servizio dello Stato, significa essere da sprone oggi e domani a iniziative di pace che un governo di destra non potrà mai realizzare, significa, infine, dare la possibilità ad un governo che sta ben operando, di continuare a lavorare per il cittadino dopo lo sfascio del governo prcedente.
Le cose da fare, a tal proposito, sono tante e di rilevante importanza per la democrazia: la nuova legge elettorale, la legge sul conflitto d’interesse, la legge sul riordino delle frequenze, le ulteriori liberalizzazioni come liberazione dalle lobby e dai monopoli.
Borgetto 23,07,06
E’ un atto profondo di cambiamento, è il preludio al nuovo ruolo dell’Italia nella politica internazionale che deve vedere sempre più il nostro Paese impegnato nel costruire la pace
Ma una politica estera non si costruisce di colpo ma vuole tempo, specialmente dopo il triste quinquennio Berlusconi – Fini.
A questo punto sarebbe opportuno che i senatori-pacifisti concedessero credito al governo votando il rifinanziamento alla missione in Afghanistan senza che venga posto il voto di fiducia che è sempre un azzardo e indice di debolezza.
Votare si, non significa rinnegare i principi del pacifismo, significa mettersi al servizio dello Stato, significa essere da sprone oggi e domani a iniziative di pace che un governo di destra non potrà mai realizzare, significa, infine, dare la possibilità ad un governo che sta ben operando, di continuare a lavorare per il cittadino dopo lo sfascio del governo prcedente.
Le cose da fare, a tal proposito, sono tante e di rilevante importanza per la democrazia: la nuova legge elettorale, la legge sul conflitto d’interesse, la legge sul riordino delle frequenze, le ulteriori liberalizzazioni come liberazione dalle lobby e dai monopoli.
Borgetto 23,07,06
23 luglio 2006
MEOCCI E LA MULTA DI 14,3 MILIONI. CHI PAGA?
L’Autorità per le comunicazioni aveva sanzionato (27 Aprile 2006) Mocci, l’ex direttore della RAI di 373 mila euro e la RAI di 14;3 milioni di euro..
Il TAR cui era stato fatto ricorso, si è espresso negli stessi termini.
Meocci, infatti, ha ricoperto la carica di direttore generale della RAI per nove mesi in maniera illegittima, perché aveva lavorato presso l’Autorità come garante TV (all’epoca dei fatti i giornali hanno parlato abbondantemente della questione, sottolineando i motivi dell’incompatibilità.) e, quindi, a norma di legge vigente, il suo incarico risultava incompatibile.
Penso che Mocci per gli incarichi ricoperti conoscesse la normativa e forse la convinzione che la stessa si potesse impunemente violare (parodiando, così fan tutti…) o qualche velata rassicurazione avuta, l’abbiano convinto ad accettare, considerando il rischio di una tale multa. Ognuno, poi, è artefice delle proprie azioni è giusto assumersi le responsabilità delle scelte, tutte.
La multa inflitta alla RAI, cioè agli utenti, quelli che pagano il canone, è un’enormità.
E allora si pone il problema della responsabilità della nomina, operata nonostante si sapesse palesemente dell’incompatibilità dell’incarico che Meocci sarebbe andato a ricoprire.
E’ il responsabile (i responsabili, se più d’uno) del pastrocchio, pertanto, che deve pagare, avendo l’azienda subito un danno, già evidente all’epoca della nomina.
La responsabilità prima, immediata, è del Consiglio di amministrazione della RAI e più specificamente dei consiglieri di maggioranza (centro destra) che hanno accettato di votare Mocci come caldeggiava il Ministero dell’economia del Governo Berlusconi il quale non poteva non sapere…come capitava per le altre nomine.
E’ facile, quindi, trovare le responsabilità. Si conoscono nomi e cognomi. Non possono nascondersi dietro a nessuna giustificazione.
Sono stati cattivi amministratori (politici, aziendali) è hanno procurato coi loro comportamenti irresponsabili, forse dolosi, un danno di grosse proporzioni all’azienda RAI che, anche in regime di duopolio, non può sottrarre risorse al settore della concorrenza.
Il problema non si pone solo per l’affare Meocci, ma si pone nella sua oggettività e investe i vari livelli delle istituzioni. Mai un responsabile individuato che ripari il danno procurato!
E’ sempre il cittadino a pagare le colpe di altri e ben individuati soggetti colpevoli nel loro operato, in quanto sono tenuti a conoscere le leggi relative al proprio ambito di lavoro.
Occorre una legge di un solo articolo: “Chi, politici di ogni livello istituzionale, amministratori nominati o funzionari, con comportamenti dolosi, procurano un danno all’Amministrazione dello Stato, alle aziende e agli di stato, deve rifondere il danno.”
Una tale legge, chiara nella sua semplicità, andrebbe a colpire comportamenti illegittimi e illeciti che colpiscono l’amministrazione pubblica.
Borgetto 21,07,06
Il TAR cui era stato fatto ricorso, si è espresso negli stessi termini.
Meocci, infatti, ha ricoperto la carica di direttore generale della RAI per nove mesi in maniera illegittima, perché aveva lavorato presso l’Autorità come garante TV (all’epoca dei fatti i giornali hanno parlato abbondantemente della questione, sottolineando i motivi dell’incompatibilità.) e, quindi, a norma di legge vigente, il suo incarico risultava incompatibile.
Penso che Mocci per gli incarichi ricoperti conoscesse la normativa e forse la convinzione che la stessa si potesse impunemente violare (parodiando, così fan tutti…) o qualche velata rassicurazione avuta, l’abbiano convinto ad accettare, considerando il rischio di una tale multa. Ognuno, poi, è artefice delle proprie azioni è giusto assumersi le responsabilità delle scelte, tutte.
La multa inflitta alla RAI, cioè agli utenti, quelli che pagano il canone, è un’enormità.
E allora si pone il problema della responsabilità della nomina, operata nonostante si sapesse palesemente dell’incompatibilità dell’incarico che Meocci sarebbe andato a ricoprire.
E’ il responsabile (i responsabili, se più d’uno) del pastrocchio, pertanto, che deve pagare, avendo l’azienda subito un danno, già evidente all’epoca della nomina.
La responsabilità prima, immediata, è del Consiglio di amministrazione della RAI e più specificamente dei consiglieri di maggioranza (centro destra) che hanno accettato di votare Mocci come caldeggiava il Ministero dell’economia del Governo Berlusconi il quale non poteva non sapere…come capitava per le altre nomine.
E’ facile, quindi, trovare le responsabilità. Si conoscono nomi e cognomi. Non possono nascondersi dietro a nessuna giustificazione.
Sono stati cattivi amministratori (politici, aziendali) è hanno procurato coi loro comportamenti irresponsabili, forse dolosi, un danno di grosse proporzioni all’azienda RAI che, anche in regime di duopolio, non può sottrarre risorse al settore della concorrenza.
Il problema non si pone solo per l’affare Meocci, ma si pone nella sua oggettività e investe i vari livelli delle istituzioni. Mai un responsabile individuato che ripari il danno procurato!
E’ sempre il cittadino a pagare le colpe di altri e ben individuati soggetti colpevoli nel loro operato, in quanto sono tenuti a conoscere le leggi relative al proprio ambito di lavoro.
Occorre una legge di un solo articolo: “Chi, politici di ogni livello istituzionale, amministratori nominati o funzionari, con comportamenti dolosi, procurano un danno all’Amministrazione dello Stato, alle aziende e agli di stato, deve rifondere il danno.”
Una tale legge, chiara nella sua semplicità, andrebbe a colpire comportamenti illegittimi e illeciti che colpiscono l’amministrazione pubblica.
Borgetto 21,07,06
19 luglio 2006
MEDIO ORIENTE: LA PACE COME DISCONTINUITA’ COL PASSATO
Ho scritto il 17 scorso che esprimere un’opinione nel conflitto arabo-israeliano- palestinese, uscendo dalla strada tracciata da un’ipocrisia sottaciuta unita ad un servilismo umiliante, significa venire tacciati di antisemitismo….anche dai nipotini del Duce. Ed è quanto dire.
Durante il dibattito al Senato seguito alla relazione del ministro degli esteri sulla crisi Medio orientale, il senatore Andreotti ha osato uscire dalla suddetta strada, attirandosi le reazioni sdegnate del centro destra e del signor Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche. Voglio citare integralmente la frase incriminata :”Credo che ognuno di noi e fosse nato in un campo di concentramento, da cinquant’anni fosse lì e non avesse alcuna prospettiva di poter dare ai propri figli un avvenire, sarebbe un terrorista.”
E’ una frase vera che, d’improvviso forse con brutalità, ci costringe a togliere la testa dalla sabbia, a ritornare per un attimo uomini, ad abbandonare la corazza piumata degli struzzi.
Se vogliamo affrontare il drammatico problema, cercando una soluzione vera, non un palliativo, bisogna abbandonare i soliti schemi che, dalla prima risoluzione ONU ad oggi, non hanno risolto un bel niente.
Il diritto all’esistenza e all’autodifesa d’Israele nessuno li nega.
Ma incominciamo a parlare di diritto all’esistenza e all’autodifesa dei palestinesi.
Eliminiamo i campi profughi dando agli occupanti una patria e una dignità.
Eliminiamo le colonie dai territori assegnati ai palestinesi.
Se accusiamo di terrorismo i palestinesi delle striscia di Gaza e della Cisgiordania occupata, abbiamo il coraggio di sanzionare duramente gli attacchi dell’esercito israeliano che procurano numerosi vittime tra i civili e distruggono le poche strutture come centrali nucleari o ospedali. Se condanniamo il rapimento dei soldati israeliani perché permettiamo che ministri di un governo democraticamente e legittimamente eletto vengano prelevati e trasferiti nelle prigioni d’Israele, con quale diritto?
Se promuoviamo una veglia di solidarietà per i cittadini israeliani perché non ne promoviamo una per i cittadini palestinesi?
Perché le richieste di tregua del governo libanese, del G8 e di Kofi Annan non vengono prese in considerazione dal premier Olmert che, invece, rilancia l’offensiva, cosa dicono i nostri bravi ed esperti politici?
Certo , “la discontinuità” in questo caso li farebbe pensare troppo, ne affaticherebbe la mente “in tutt’altre faccende affaccendata”. E così il Medio-oriente sarà sempre più una palude, Israele costruirà muri, i palestinesi faranno qualche attentato e subiranno la solita reazione, gli hezbollah, la Siria e l’Iran strumentalizzeranno la situazione e Bush avrà un colpevole da indicare e possibilmente da colpire con l’aiuto della comunità internazionale e che, proprio per questo, sarà sempre più forte e , questo è l’aspetto più grave, punto di riferimento dei palestinesi più oltranzisti e del mondo arabo. Insomma, una guerra senza fine.
Borgetto 19, 07,06
Durante il dibattito al Senato seguito alla relazione del ministro degli esteri sulla crisi Medio orientale, il senatore Andreotti ha osato uscire dalla suddetta strada, attirandosi le reazioni sdegnate del centro destra e del signor Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche. Voglio citare integralmente la frase incriminata :”Credo che ognuno di noi e fosse nato in un campo di concentramento, da cinquant’anni fosse lì e non avesse alcuna prospettiva di poter dare ai propri figli un avvenire, sarebbe un terrorista.”
E’ una frase vera che, d’improvviso forse con brutalità, ci costringe a togliere la testa dalla sabbia, a ritornare per un attimo uomini, ad abbandonare la corazza piumata degli struzzi.
Se vogliamo affrontare il drammatico problema, cercando una soluzione vera, non un palliativo, bisogna abbandonare i soliti schemi che, dalla prima risoluzione ONU ad oggi, non hanno risolto un bel niente.
Il diritto all’esistenza e all’autodifesa d’Israele nessuno li nega.
Ma incominciamo a parlare di diritto all’esistenza e all’autodifesa dei palestinesi.
Eliminiamo i campi profughi dando agli occupanti una patria e una dignità.
Eliminiamo le colonie dai territori assegnati ai palestinesi.
Se accusiamo di terrorismo i palestinesi delle striscia di Gaza e della Cisgiordania occupata, abbiamo il coraggio di sanzionare duramente gli attacchi dell’esercito israeliano che procurano numerosi vittime tra i civili e distruggono le poche strutture come centrali nucleari o ospedali. Se condanniamo il rapimento dei soldati israeliani perché permettiamo che ministri di un governo democraticamente e legittimamente eletto vengano prelevati e trasferiti nelle prigioni d’Israele, con quale diritto?
Se promuoviamo una veglia di solidarietà per i cittadini israeliani perché non ne promoviamo una per i cittadini palestinesi?
Perché le richieste di tregua del governo libanese, del G8 e di Kofi Annan non vengono prese in considerazione dal premier Olmert che, invece, rilancia l’offensiva, cosa dicono i nostri bravi ed esperti politici?
Certo , “la discontinuità” in questo caso li farebbe pensare troppo, ne affaticherebbe la mente “in tutt’altre faccende affaccendata”. E così il Medio-oriente sarà sempre più una palude, Israele costruirà muri, i palestinesi faranno qualche attentato e subiranno la solita reazione, gli hezbollah, la Siria e l’Iran strumentalizzeranno la situazione e Bush avrà un colpevole da indicare e possibilmente da colpire con l’aiuto della comunità internazionale e che, proprio per questo, sarà sempre più forte e , questo è l’aspetto più grave, punto di riferimento dei palestinesi più oltranzisti e del mondo arabo. Insomma, una guerra senza fine.
Borgetto 19, 07,06
18 luglio 2006
MEDIO-ORIENTE : LA PACE NECESSARIA
“Ebrei, Cristiani e Musulmani stanno riscrivendo la storia della loroo origine, con lo stesso sangue di Abele.
In quanto tale, questa storia non è soltanto palestinese,, è universale.” (Adonis, poeta libanese)
Dissertare sulle cause del conflitto arabo-israeliano-palestinese e indicarne una soluzione è cosa ardua per esperti di politica orientali. Ma, cosa assai più ardua, è esprimere un’opinione in merito, in quanto si corre il rischio, se non si percorre la strada già tracciata dalla quale non è lecito uscire, di essere accusato, come minimo, di antisemitismo.
In uno stato di guerra non di chiarata ma continua con centinaia di morti tra i cittadini inermi e distruzioni di strutture civili, come centrali elettriche, ponti, aeroporti e quartieri residenziali individuati come covi di terroristi, avere l’ardire della somma verità nell’indicare i colpevoli, non è né razionale né utile per cercare una soluzione affinché due popoli prima e un’intera regioni, poi, trovino la pace.
La pace in Palestina quasi sicuramente rappresenterebbe il disarmo dei gruppi integralisti ne di tutti i…terroristi e un passo decisivo verso una convivenza serena tra i popoli della regione.
Gli atti di intransigenza unilaterali, l’uso della forza a qualsiasi costo, in quanto convinti di essere invincibili,o il “daremo una lezione che non dimenticheranno più”, non risolvono il problema, anzi lo aggravano, aggiungono legna al fuoco alimentandolo, significa allungare una catena d’odio senza fine che legherà le mani e la mente dei figli e dei figli dei figli…
Chi ha iniziato? Arriveremmo a Caino. Con quale profitto? Le cose rimarrebbero come stanno perché Caino giustificherebbe il suo atto.
Le dichiarazioni degli uomini di governo e i commentatori fanno riferimento alle risoluzioni dell’ONU, ognuna segnata da un diverso numero. Cosa dicono? Difficilmente l’opinione pubblica ne conosce il contenuto. Ma la prima, se non erro, prevedeva la nascita di due Stati: uno, Israele, è nato ed è un paese avanzato, l’altro, la Palestina, non c’è ancora e se nascerà, come è legittimo, sarà formato dalla Cisgiordania e dalla striscia di Gaza separati da “un corridoio israeliano”. Ma che almeno nasca! Realmente indipendente e autonomo!
I “Grandi”, mentre la guerra in Libano rischia di degenerare, riuniti a San Pietroburgo, non trovano di meglio che condannare le milizie islamiche per i loro atti di terrorismo e chiedono ad Israele moderazione e aperture ai palestinesi. E’ il vecchio ritornello che si ripete da anni, è una pura formalità: Israele farà come avrà deciso di fare forte del cappello protettivo di Bush che ha già individuato, da parecchi anni ormai, l’impero del male; Hamas e gli Hezbollah, la Siria, l’Iran strumentalizzeranno la situazione, mentre i palestinesi piangeranno la loro sorte.
E’ giusto che Israele Abbia il diritto all’esistenza, ma è anche giusto che i palestinesi godano dello stesso diritto.
E’ giusto che Israele abbia il diritto di difendersi, ma è anche giusto che i palestinesi godano dello stesso diritto.
Se esiste un solo Stato, ci sono sicuramente delle responsabilità e oggi non è più lecito nascondere la realtà (uno stato di guerra fa vivere male e gli israeliani e i palestinesi). E’ arrivato il momento della svolta: applicare la prima risoluzione dell’ONU senza limiti imposti, mentre Israele restituirà i territori illegittimamente colonizzati ai palestinesi e quelli occupati durante le varie guerre ai paesi confinanti.
Sarebbe un atto di grande maturità politica che i “Grandi” si impegneranno a far rispettare.
Borgetto 17,07,06
In quanto tale, questa storia non è soltanto palestinese,, è universale.” (Adonis, poeta libanese)
Dissertare sulle cause del conflitto arabo-israeliano-palestinese e indicarne una soluzione è cosa ardua per esperti di politica orientali. Ma, cosa assai più ardua, è esprimere un’opinione in merito, in quanto si corre il rischio, se non si percorre la strada già tracciata dalla quale non è lecito uscire, di essere accusato, come minimo, di antisemitismo.
In uno stato di guerra non di chiarata ma continua con centinaia di morti tra i cittadini inermi e distruzioni di strutture civili, come centrali elettriche, ponti, aeroporti e quartieri residenziali individuati come covi di terroristi, avere l’ardire della somma verità nell’indicare i colpevoli, non è né razionale né utile per cercare una soluzione affinché due popoli prima e un’intera regioni, poi, trovino la pace.
La pace in Palestina quasi sicuramente rappresenterebbe il disarmo dei gruppi integralisti ne di tutti i…terroristi e un passo decisivo verso una convivenza serena tra i popoli della regione.
Gli atti di intransigenza unilaterali, l’uso della forza a qualsiasi costo, in quanto convinti di essere invincibili,o il “daremo una lezione che non dimenticheranno più”, non risolvono il problema, anzi lo aggravano, aggiungono legna al fuoco alimentandolo, significa allungare una catena d’odio senza fine che legherà le mani e la mente dei figli e dei figli dei figli…
Chi ha iniziato? Arriveremmo a Caino. Con quale profitto? Le cose rimarrebbero come stanno perché Caino giustificherebbe il suo atto.
Le dichiarazioni degli uomini di governo e i commentatori fanno riferimento alle risoluzioni dell’ONU, ognuna segnata da un diverso numero. Cosa dicono? Difficilmente l’opinione pubblica ne conosce il contenuto. Ma la prima, se non erro, prevedeva la nascita di due Stati: uno, Israele, è nato ed è un paese avanzato, l’altro, la Palestina, non c’è ancora e se nascerà, come è legittimo, sarà formato dalla Cisgiordania e dalla striscia di Gaza separati da “un corridoio israeliano”. Ma che almeno nasca! Realmente indipendente e autonomo!
I “Grandi”, mentre la guerra in Libano rischia di degenerare, riuniti a San Pietroburgo, non trovano di meglio che condannare le milizie islamiche per i loro atti di terrorismo e chiedono ad Israele moderazione e aperture ai palestinesi. E’ il vecchio ritornello che si ripete da anni, è una pura formalità: Israele farà come avrà deciso di fare forte del cappello protettivo di Bush che ha già individuato, da parecchi anni ormai, l’impero del male; Hamas e gli Hezbollah, la Siria, l’Iran strumentalizzeranno la situazione, mentre i palestinesi piangeranno la loro sorte.
E’ giusto che Israele Abbia il diritto all’esistenza, ma è anche giusto che i palestinesi godano dello stesso diritto.
E’ giusto che Israele abbia il diritto di difendersi, ma è anche giusto che i palestinesi godano dello stesso diritto.
Se esiste un solo Stato, ci sono sicuramente delle responsabilità e oggi non è più lecito nascondere la realtà (uno stato di guerra fa vivere male e gli israeliani e i palestinesi). E’ arrivato il momento della svolta: applicare la prima risoluzione dell’ONU senza limiti imposti, mentre Israele restituirà i territori illegittimamente colonizzati ai palestinesi e quelli occupati durante le varie guerre ai paesi confinanti.
Sarebbe un atto di grande maturità politica che i “Grandi” si impegneranno a far rispettare.
Borgetto 17,07,06
13 luglio 2006
UN GIUDICE CORAGGIOSO A MILANO
Il giudice Perozziello (seconda sezione penale del Tribunale di Milano) in un’ordinanza afferma che lo sciopero degli avvocati è illegittimo perché “non sono stati rispettati i vincoli di preavviso e di durata” previsti.
Agli avvocati che sostengono che la loro è una protesta “in difesa dei valori costituzionali ( o dei valori …bollati?) ovvero per gravi attentati ai diritti fondamentali dei cittadini e alle garanzie essenziali del processo”, il giudice Perozziello , dopo aver affermato che il Decreto Bersani sulle liberalizzazioni non lede i diritti costituzionali, risponde che “le questioni poste a fondamento dell’astensione risultano semplicemente estranee alla specifica materia delle garanzie del processo”, che lo sciopero tocca solo aspetti strettamente inerenti la disciplina della professione forense” che doveva seguire le regole. E poiché “l’astensione dalle udienze appare dichiarata in violazione delle regole previste, il giudice rigetta la richiesta di rinvio (delle udienze)”.
Ringrazio a nome della “lobby dei cittadini” il giudice Perozziello e mi auguro che altri, tanti, lo seguano in quello che può sembrare un atto di coraggio, ma che più semplicemente è un atto dovuto in difesa della Costituzione e del diritto del cittadino alla difesa.Borgetto 12,07,06
Agli avvocati che sostengono che la loro è una protesta “in difesa dei valori costituzionali ( o dei valori …bollati?) ovvero per gravi attentati ai diritti fondamentali dei cittadini e alle garanzie essenziali del processo”, il giudice Perozziello , dopo aver affermato che il Decreto Bersani sulle liberalizzazioni non lede i diritti costituzionali, risponde che “le questioni poste a fondamento dell’astensione risultano semplicemente estranee alla specifica materia delle garanzie del processo”, che lo sciopero tocca solo aspetti strettamente inerenti la disciplina della professione forense” che doveva seguire le regole. E poiché “l’astensione dalle udienze appare dichiarata in violazione delle regole previste, il giudice rigetta la richiesta di rinvio (delle udienze)”.
Ringrazio a nome della “lobby dei cittadini” il giudice Perozziello e mi auguro che altri, tanti, lo seguano in quello che può sembrare un atto di coraggio, ma che più semplicemente è un atto dovuto in difesa della Costituzione e del diritto del cittadino alla difesa.Borgetto 12,07,06
L’AFGHANISTAN E I DISSIDENTI-PACIFISTI
D’Alema minaccia le dimissioni se i cosiddetti dissidenti-pacifisti non voteranno il rifinanziamento delle missioni italiane, in primis quella in Afghanistan, rifiutando stravaganze”, cioè, immagino, soluzione pasticciate e di dubbio valore sulla politica estera italiana.
Sicuramente i pacifisti, fuori e dentro il Parlamento, portano avanti il valore assoluto e imprescindibile della pace che va perseguita ad ogni costo e sempre, senza se e senza ma.
Ma oggi, non rifinanziare la missione in Afghanistan sarebbe esiziale per il governo, per altro ad appena due mesi dall’insediamento, a causa della stentata maggioranza al Senato che deve indurre a serie riflessioni.
Non si può essere così “coglioni” da permettere a Berlusconi , a Calderoni e ai post-fascisti di Fini di rientrare in gioco. Sarebbe un ritorno al passato più triste!
E’ indubbio che un messaggio di discontinuità va dato. Innanzitutto è stato risolto, a quanto pare, il problema della presenza di militari italiani in Iraq. Riguardo all’Afghanistan i dissidenti -pacifisti ricorderanno che non è stato un intervento unilaterale americano ma deciso in sede ONU e la missione italiana è in ambito NATO. Ciò non significa che il ruolo dell’Italia non sia modificabile ed è giusto che chi si è sempre battuto contro ogni guerra ponga il problema del ritiro; ma è anche vero che l’Italia ha assunto in antecedenza degli impegni che nell’immediato deve mantenere.
E’, pertanto, auspicabile che, prima della discussione a Montecitorio, il presidente Prodi e il ministro D’Alema incontrino i parlamentari dissidenti (l’umiltà è sempre l’arma più giusta), che chiariscano le ragioni del governo, che non sono peregrine ma pregnanti, e che si assumano l’impegno che l’Italia si farà promotrice di una iniziativa che prevede per L’Afghanistan la fine dell’egemonia guerriera degli Stati Uniti e metta in luce le vere ragioni del conflitto ormai troppo lungo, quasi un’occupazione.
In fondo, l’art. 11 della nostra Costituzione ripudia il ricorso alla guerra per dirimere le controversie internazionali.
Borgetto 12,07,06
Sicuramente i pacifisti, fuori e dentro il Parlamento, portano avanti il valore assoluto e imprescindibile della pace che va perseguita ad ogni costo e sempre, senza se e senza ma.
Ma oggi, non rifinanziare la missione in Afghanistan sarebbe esiziale per il governo, per altro ad appena due mesi dall’insediamento, a causa della stentata maggioranza al Senato che deve indurre a serie riflessioni.
Non si può essere così “coglioni” da permettere a Berlusconi , a Calderoni e ai post-fascisti di Fini di rientrare in gioco. Sarebbe un ritorno al passato più triste!
E’ indubbio che un messaggio di discontinuità va dato. Innanzitutto è stato risolto, a quanto pare, il problema della presenza di militari italiani in Iraq. Riguardo all’Afghanistan i dissidenti -pacifisti ricorderanno che non è stato un intervento unilaterale americano ma deciso in sede ONU e la missione italiana è in ambito NATO. Ciò non significa che il ruolo dell’Italia non sia modificabile ed è giusto che chi si è sempre battuto contro ogni guerra ponga il problema del ritiro; ma è anche vero che l’Italia ha assunto in antecedenza degli impegni che nell’immediato deve mantenere.
E’, pertanto, auspicabile che, prima della discussione a Montecitorio, il presidente Prodi e il ministro D’Alema incontrino i parlamentari dissidenti (l’umiltà è sempre l’arma più giusta), che chiariscano le ragioni del governo, che non sono peregrine ma pregnanti, e che si assumano l’impegno che l’Italia si farà promotrice di una iniziativa che prevede per L’Afghanistan la fine dell’egemonia guerriera degli Stati Uniti e metta in luce le vere ragioni del conflitto ormai troppo lungo, quasi un’occupazione.
In fondo, l’art. 11 della nostra Costituzione ripudia il ricorso alla guerra per dirimere le controversie internazionali.
Borgetto 12,07,06
11 luglio 2006
LO SCIOPERO DEGLI AVVOCATI
Gli avvocati protestano contro il Decreto Bersani sulle liberalizzazioni e si asterranno dal lavoro, ovvero sciopereranno, per 12 giorni a partire dal 10 Luglio (non ci dicono se sono conteggiati i sabati e le domeniche).
L’astensione dal lavoro è prevista dalla Costituzione e a questa forma di lotta ricorrono i lavoratori, avverso al loro datore di lavoro, per difendere diritti lesi o chiedere il rispetto del contratto o il congruo rinnovo dello stesso già scaduto.
Ma la protesta degli avvocati, pur legittima , contro chi è diretta? Quale ne è l’oggetto?
Il governo, verso cui, mi sembra, protestino, non è il loro datore di lavoro che, se non erro, è dato dall’insieme composito di cittadini che hanno da risolvere un contenzioso. Sono loro che subiscono un danno, innanzitutto morale, in quanto vedranno ritardare l’iter del procedimento processuale e aumentare le spese. Insomma, è sempre il povero diavolo a pagare vedendo, per di più, umiliati i propri diritti proprio da chi paga perché li difenda.
Allora, bisogna chiamare la “protesta” col giusto nome, una “pressione” che l’”Ordine” intende esercitare sul governo per indurlo a ritirare la parte del Decreto che li riguarda.
Potrebbero praticare la pressione in modo diverso, continuando ad esercitare la funzioni per cui vengono pagati da una parte che, non dimentichiamolo, è “terza”: autosospendendosi da pagamento delle tasse per i giorni di protesta (in questo caso 12 su 365), non fumando e non acquistando benzina e alcolici (danneggiando così l’erario), recandosi in Tribunale con la barba e i capelli incolti o…difendendo gratuitamente i poveri…
Ma lasciando in pace i cittadini- clienti, compiendo il proprio dovere di professionisti!
Ma perché gli avvocati protestano avverso al decreto Bersani? Perché si abbarbicano tanto alla tariffa minima (ma minima quanto?)? Perché non vogliono creare all’interno delle professioni una vera e libera concorrenza che farebbe piazza pulita di colleghi ciarlatani, impreparati e deontologicamente non corretti?
La risposta immediata è una sola: non vogliono perdere privilegi, si badi bene in una società liberale e liberista, che lucrano sui loro colleghi più giovani (usati nel praticantato) e sulle disgrazie dei comuni mortali.
Certo 12 giorni continui di astensione dal lavoro nessun lavoratore., dal metalmeccanico al dirigente, può permetterselo, ma non gli avvocati… loro recupereranno. Guadagneranno così bene (tanto?) che possono permettersi, oltre alle ferie, un diritto in quanto lavoratori, 12 e più giorni di sciopero. Non bisogna pensar male, ma, permettetemi, gatta ci cova!
Borsetto 11,07,06
L’astensione dal lavoro è prevista dalla Costituzione e a questa forma di lotta ricorrono i lavoratori, avverso al loro datore di lavoro, per difendere diritti lesi o chiedere il rispetto del contratto o il congruo rinnovo dello stesso già scaduto.
Ma la protesta degli avvocati, pur legittima , contro chi è diretta? Quale ne è l’oggetto?
Il governo, verso cui, mi sembra, protestino, non è il loro datore di lavoro che, se non erro, è dato dall’insieme composito di cittadini che hanno da risolvere un contenzioso. Sono loro che subiscono un danno, innanzitutto morale, in quanto vedranno ritardare l’iter del procedimento processuale e aumentare le spese. Insomma, è sempre il povero diavolo a pagare vedendo, per di più, umiliati i propri diritti proprio da chi paga perché li difenda.
Allora, bisogna chiamare la “protesta” col giusto nome, una “pressione” che l’”Ordine” intende esercitare sul governo per indurlo a ritirare la parte del Decreto che li riguarda.
Potrebbero praticare la pressione in modo diverso, continuando ad esercitare la funzioni per cui vengono pagati da una parte che, non dimentichiamolo, è “terza”: autosospendendosi da pagamento delle tasse per i giorni di protesta (in questo caso 12 su 365), non fumando e non acquistando benzina e alcolici (danneggiando così l’erario), recandosi in Tribunale con la barba e i capelli incolti o…difendendo gratuitamente i poveri…
Ma lasciando in pace i cittadini- clienti, compiendo il proprio dovere di professionisti!
Ma perché gli avvocati protestano avverso al decreto Bersani? Perché si abbarbicano tanto alla tariffa minima (ma minima quanto?)? Perché non vogliono creare all’interno delle professioni una vera e libera concorrenza che farebbe piazza pulita di colleghi ciarlatani, impreparati e deontologicamente non corretti?
La risposta immediata è una sola: non vogliono perdere privilegi, si badi bene in una società liberale e liberista, che lucrano sui loro colleghi più giovani (usati nel praticantato) e sulle disgrazie dei comuni mortali.
Certo 12 giorni continui di astensione dal lavoro nessun lavoratore., dal metalmeccanico al dirigente, può permetterselo, ma non gli avvocati… loro recupereranno. Guadagneranno così bene (tanto?) che possono permettersi, oltre alle ferie, un diritto in quanto lavoratori, 12 e più giorni di sciopero. Non bisogna pensar male, ma, permettetemi, gatta ci cova!
Borsetto 11,07,06
10 luglio 2006
SIAMO TUTI TASSISTI per Ilvo Diamanti
Ho letto con interesse, apprezzandolo, l’articolo di Ilvo Diamanti “Siamo tutti tassisti”.
Condivido molte considerazioni che, a mio giudizio, meriterebbero un approfondimento almeno da parte dei politici di centro sinistra invece di misurare ogni evento sociale o economico col metro della loro ideologia, misura di tutte le cose, “summa” di verità ritenute incontestabili.
Esaminando i contenuti (7 punti) dell’indagine della Demos commissionata dalla Confindustria, Diamanti sottolinea le contraddizione degli Italiani in merito al decreto sulle liberalizzazioni: istintivamente sono d’accordo, ma, dopo, riflettendoci, affiorano i dubbi
Vizio che “affonda le radici nei caratteri della nostra storia”. Concordo e aggiungo che non è vero che siamo un Paese diviso in due in politica (magari!), come vogliono farci credere giornalisti e politologi (in Italia abbondano e sono ben pagati), ma siamo un Paese senza identità (solo il calcio, quando vinciamo, ci unisce), ovvero con più identità, come se l’attuale fosse ancora l’epoca dei “Comuni” quando, faccio notare, le corporazioni nacquero.
E così tutti ci sentiamo iscritti ad un “ordine” o siamo solidali con parenti o amici che ne fanno parte, salvo lamentarci all’occorrenza. Penso che a rafforzare questi caratteri unici del popolo italiano contribuiscano i nostri politici (vedo la barba non i filosofi, diceva un adagio dell’antica Roma), di destra o di sinistra e in ogni ordine di esercizio del loro mandato.
Se i comuni cittadini sono dei cerchiobottisti, che cosa dovremmo dire dei politici?
Si nascondono consapevolmente dietro sigle di comodo che generano confusione, forse per giustificare provvedimenti privi di coerenza e di chiarezza.
Due schieramenti si affrontano: il centro destra e il centro sinistra, ovvero destra-centro-sinistra (ricordate la disputa del “trattino”?), ovvero la palude della politica italiana.
Sono i politici che per primi danno l’esempio e il cittadino si adegua, ad esso si ispira.
Non bisogna rassegnarsi, ma reagire, afferma Diamanti, senza illudersi che il problema si risolva per decreto perché “rischia di produrre l’effetto opposto”.
Diamanti, dopo un’attenta analisi, cade, purtroppo, nell’errore di non dare soluzioni.
Inoltre, se bisogna rifuggire “al destino ineluttabile”, perché parlare parlare di radici che affondano nei caratteri della nostra storia?
La considero una contraddizione dalla quale si esce partendo dalle ragioni “istintive” ma vere di quel 65% di italiani che pensano che la concorrenza, frutto delle liberalizzazioni, sia una virtù, che le tariffe dovrebbero essere stabilite dal mercato e, perché no, anche da quell’80% secondo cui è naturale per svolgere una professione essere iscritti a un albo.
Borgetto 10,07,06
Condivido molte considerazioni che, a mio giudizio, meriterebbero un approfondimento almeno da parte dei politici di centro sinistra invece di misurare ogni evento sociale o economico col metro della loro ideologia, misura di tutte le cose, “summa” di verità ritenute incontestabili.
Esaminando i contenuti (7 punti) dell’indagine della Demos commissionata dalla Confindustria, Diamanti sottolinea le contraddizione degli Italiani in merito al decreto sulle liberalizzazioni: istintivamente sono d’accordo, ma, dopo, riflettendoci, affiorano i dubbi
Vizio che “affonda le radici nei caratteri della nostra storia”. Concordo e aggiungo che non è vero che siamo un Paese diviso in due in politica (magari!), come vogliono farci credere giornalisti e politologi (in Italia abbondano e sono ben pagati), ma siamo un Paese senza identità (solo il calcio, quando vinciamo, ci unisce), ovvero con più identità, come se l’attuale fosse ancora l’epoca dei “Comuni” quando, faccio notare, le corporazioni nacquero.
E così tutti ci sentiamo iscritti ad un “ordine” o siamo solidali con parenti o amici che ne fanno parte, salvo lamentarci all’occorrenza. Penso che a rafforzare questi caratteri unici del popolo italiano contribuiscano i nostri politici (vedo la barba non i filosofi, diceva un adagio dell’antica Roma), di destra o di sinistra e in ogni ordine di esercizio del loro mandato.
Se i comuni cittadini sono dei cerchiobottisti, che cosa dovremmo dire dei politici?
Si nascondono consapevolmente dietro sigle di comodo che generano confusione, forse per giustificare provvedimenti privi di coerenza e di chiarezza.
Due schieramenti si affrontano: il centro destra e il centro sinistra, ovvero destra-centro-sinistra (ricordate la disputa del “trattino”?), ovvero la palude della politica italiana.
Sono i politici che per primi danno l’esempio e il cittadino si adegua, ad esso si ispira.
Non bisogna rassegnarsi, ma reagire, afferma Diamanti, senza illudersi che il problema si risolva per decreto perché “rischia di produrre l’effetto opposto”.
Diamanti, dopo un’attenta analisi, cade, purtroppo, nell’errore di non dare soluzioni.
Inoltre, se bisogna rifuggire “al destino ineluttabile”, perché parlare parlare di radici che affondano nei caratteri della nostra storia?
La considero una contraddizione dalla quale si esce partendo dalle ragioni “istintive” ma vere di quel 65% di italiani che pensano che la concorrenza, frutto delle liberalizzazioni, sia una virtù, che le tariffe dovrebbero essere stabilite dal mercato e, perché no, anche da quell’80% secondo cui è naturale per svolgere una professione essere iscritti a un albo.
Borgetto 10,07,06
05 luglio 2006
LA LOBBY DEI CITTADINI PLAUDE PRODI
Il primo atto concreto del governo Prodi, decreto sulle liberalizzazioni, è volto a favorire la…lobby dei cittadini. Cittadini sono anche tutti coloro che, toccati dal decreto nei privilegi, già protestano e quanti per pura convenienza politico-elettorale soffiano sul fuoco della polemica con argomenti estremi e non giustificabili.
Esaminando il provvedimento dalla parte del cittadino- utente, non si può che affermarne la validità.
Finalmente , a sessant’anni dalla caduta del regime fascista, un governo repubblicano (pieno zeppo di comunisti,anche estremi…) fa sul serio in merito alle liberalizzazioni dichiarando guerra a monopoli, oligopoli pubblici o privati, e alle tanti lobby che impongono ai cittadini tariffe e prezzi senza giustificazioni di una certa validità e che ostacolano con regole vessatorie il libero esercizio di arti e mestieri.
Il decreto Bersani rappresenta un ariete contro le rendite corporative e un forte incentivo alla valorizzazione del mercato attraverso una vera e libera concorrenza.
Che protestino le categorie interessate ( tassisti, farmacisti, notai, avvocati, assicuratori, bancari, commercianti) è normale e accettabile, ma non si possono accettare le proteste di gran parte dell’opposizione politica né sui metodi né sui contenuti.
Florilegi di alcuni esponenti di spicco della CdL:
- l’on. Sacconi, già sottosegretario all’economia, afferma che si tratta di un provvedimento “segnato da odio sociale”;
- l’on. Fini, già ministro degli esteri e vice presidente del Consiglio, dichiara che “L’Italia ha bisogno di una politica di liberalizzazione ma è significativo che Prodi abbia iniziato dall’anello più debole della catena. E’ troppo semplice prendersela con tassisti e farmacisti…invece di prendersela con i grandi monopoli….”. Se l’on. Fini conviene sulla necessità di una politica di liberalizzazioni, allora dovrebbe dire ai suoi elettori e agli italiani perché non abbia posto il problema nella sua qualità di vice premier del governo Berlusconi. E’ troppo semplicistico, on. Fini, accusare Prodi di iniziare, come lei dice, dall’anello più debole, prendendosela con tassisti e farmacisti. Non so se i tassisti e i farmacisti rappresentino davvero l’anello più debole ma se ha individuato gli anelli più forti (energia, municipalizzate, poste, ENEL, ENI…) perché il governo, di cui è stato un alto rappresentante, non ha provveduto o almeno perché non ha tentato di iniziare a intervenire? Forse la discussione si è arenata sulla definizione di categorie deboli e categorie forti in merito alle eccezioni presentate dai numerosi principi del foro presenti nella CdL? O forse è stata la mancanza di quel “coraggio politico” che rimprovera a Prodi e che l’on. Fini non ha avuto? Una cosa è certa: la CdL non ha affrontato il problema!
- l’on. Biondi, presidente del Consiglio Nazionale di FI, afferma che non si può “mercificare la libera professione forense né snaturare, svilendola, la funzione di una professione fondata sul rapporto fiduciario tra professionista e cliente (colui che paga ma non mercifica.).”,
- l’on Bruno avvocato forzista, è convinto che “eliminando le tariffe minime qualche problema si può porre, a discapito della qualità.”;
- l’on. La Russa, avvocato aennino, pur ammettendo un certo(?) ritardo della CdL, vede nel provvedimento “una vendetta contro certe categorie accusate di aver votato per la destra.”;
- L’on. Bonaiuti, già portavoce del presidente del Consiglio, parla di “provvedimento solo all’apparenza scintillante, ma con scarsi effetti”
- L’on. Castelli, già ministro della giustizia, considera il decreto “una piccola vendetta”
- L’on:Storace, già ministro della sanità, parla di tassisti e farmacisti umiliati.
Non capisco (a tal proposito sarebbe opportuno che “lor signori” usassero un linguaggio più comprensibile per comunicare a noi illetterati le loro certezze) perché il provvedimento in questione svilerebbe la professione e men che mai capisco perché verrebbe a mancare il rapporto di fiducia tra professionista e cliente: io penso che il rapporto si rafforzerebbe in quanto la parcella verrebbe stabilita da un concorso delle parti in relazioni a parametri diverse dalle puree e semplice tariffe minime. Inoltre, non temo, come l’on. Bruno, che l’eliminazione delle tariffe minime vada a discapito della qualità. Sarebbe avvilente e…svlente: ho sempre pensato che la qualità fosse in relazione alla deontologia professionale (deontologia, dizionario Garzanti: complesso di norme etico-sociali che disciplinano l’esercizio di una data professione.).
Le considerazioni di Sacconi (odio sociale), di La Russa (vendetta…) e di Castelli (piccola vendetta) servono a infuocare il clima, a portare il problema non sul lato della giustezza e dell’opportunità (liberare i cittadini da lacci e pastoie) ma sul lato dello scontro frontale come la CdL ha sempre fatto.
Molti esponenti della CdL parlano di mancanza di concertazione. Ma quando il governo Berlusconi ha concertato? C’era un solo direttore d’orchestra e una sola orchestra!
I tassisti non vogliono l’aumento del numero delle licenze e contro il decreto hanno indetto l’11 Luglio uno sciopero nazionale e nel frattempo faranno ostruzionismo. Licenze bloccate, tariffe elevate, mediamente tra le più alte delle principali città europee, un regime di monopolio (prendere o andate a piedi…), guadagni soddisfacenti….Né le attese al telefono o le code all’aeroporto né l’incremento dell’occupazione (oggi ci sono pochi taxi in rapporto alla popolazione; altrove non è così) sembra intere4ssino loro. L’investimento sull’auto e la sua manutenzione altro non sono che le normali spese che ogni azienda (meccanico, falegname…) sostiene per stare sul mercato. Sicuramente fa paura la concorrenza.
Il presidente dell’Associazione panificatori A. Marinoni: “La riforma Prodi semina zizzania e raccoglie tempesta (stesso linguaggio minaccioso di troppi politici).” I panettieri sostengono che “aumenteranno a dismisura i panifici, si venderà meno pane e, per sopravvivere e garantire un prodotto di qualità saranno costretti ad aumentare i prezzi.” La qualità del pane e dei prodotti da forno non è legata al numero degli esercizi, ma alla loro onestà ed ai controlli delle autorità. E, diciamocelo francamente, non è possibile a Milano e provincia vendere il pane comune (la michetta) a circa 4 euro il chilo, è un sopruso, specie per pensionati e indigenti, per i quali spesso rappresenta l’unico alimento. Anche loro, quindi, hanno paura della concorrenza!
I farmacisti, infine, avversano il decreto con giustificazioni strumentali. Da anni in USA o in Gran Bretagna i centri commerciali vendono i farmaci da banco (si acquistano senza ricetta medica senza responsabilità alcuna del farmacista). Si afferma l’importanza della figura del farmacista come unico professionista autorizzato per legge (su questo non c’è niente da ridire) a dispensare il farmaco (mi risulta solamente i farmaci non-da-banco). Tutte le volte che mi sono recato in farmacia per acquistare una scatola di aspirina o di aulin, mai il farmacista mi ha chiesto perché stessi usando quel farmaco o per curare cosa. Qualche volta interviene per dirmi che il farmaco alternativo deve ordinarlo e non sa quando arriverà.
Il governo deve ora procedere lungo la strada tracciata, senza cedere elle lobby e ai difensori, dentro e fuori del Parlamento, accettando solo suggerimenti che ne migliorino l’efficacia.
La lobby del cittadino non è molto potente, come si conviene a qualsivoglia lobby, ma è molto numerosa e…vota. Sta con chi ne salvaguarda i diritti. Le corporazioni, retaggio di un oscuro medioevo, devono lasciare il passo alla libera iniziativa e alla vera concorrenza.Borsetto 05,07,
Esaminando il provvedimento dalla parte del cittadino- utente, non si può che affermarne la validità.
Finalmente , a sessant’anni dalla caduta del regime fascista, un governo repubblicano (pieno zeppo di comunisti,anche estremi…) fa sul serio in merito alle liberalizzazioni dichiarando guerra a monopoli, oligopoli pubblici o privati, e alle tanti lobby che impongono ai cittadini tariffe e prezzi senza giustificazioni di una certa validità e che ostacolano con regole vessatorie il libero esercizio di arti e mestieri.
Il decreto Bersani rappresenta un ariete contro le rendite corporative e un forte incentivo alla valorizzazione del mercato attraverso una vera e libera concorrenza.
Che protestino le categorie interessate ( tassisti, farmacisti, notai, avvocati, assicuratori, bancari, commercianti) è normale e accettabile, ma non si possono accettare le proteste di gran parte dell’opposizione politica né sui metodi né sui contenuti.
Florilegi di alcuni esponenti di spicco della CdL:
- l’on. Sacconi, già sottosegretario all’economia, afferma che si tratta di un provvedimento “segnato da odio sociale”;
- l’on. Fini, già ministro degli esteri e vice presidente del Consiglio, dichiara che “L’Italia ha bisogno di una politica di liberalizzazione ma è significativo che Prodi abbia iniziato dall’anello più debole della catena. E’ troppo semplice prendersela con tassisti e farmacisti…invece di prendersela con i grandi monopoli….”. Se l’on. Fini conviene sulla necessità di una politica di liberalizzazioni, allora dovrebbe dire ai suoi elettori e agli italiani perché non abbia posto il problema nella sua qualità di vice premier del governo Berlusconi. E’ troppo semplicistico, on. Fini, accusare Prodi di iniziare, come lei dice, dall’anello più debole, prendendosela con tassisti e farmacisti. Non so se i tassisti e i farmacisti rappresentino davvero l’anello più debole ma se ha individuato gli anelli più forti (energia, municipalizzate, poste, ENEL, ENI…) perché il governo, di cui è stato un alto rappresentante, non ha provveduto o almeno perché non ha tentato di iniziare a intervenire? Forse la discussione si è arenata sulla definizione di categorie deboli e categorie forti in merito alle eccezioni presentate dai numerosi principi del foro presenti nella CdL? O forse è stata la mancanza di quel “coraggio politico” che rimprovera a Prodi e che l’on. Fini non ha avuto? Una cosa è certa: la CdL non ha affrontato il problema!
- l’on. Biondi, presidente del Consiglio Nazionale di FI, afferma che non si può “mercificare la libera professione forense né snaturare, svilendola, la funzione di una professione fondata sul rapporto fiduciario tra professionista e cliente (colui che paga ma non mercifica.).”,
- l’on Bruno avvocato forzista, è convinto che “eliminando le tariffe minime qualche problema si può porre, a discapito della qualità.”;
- l’on. La Russa, avvocato aennino, pur ammettendo un certo(?) ritardo della CdL, vede nel provvedimento “una vendetta contro certe categorie accusate di aver votato per la destra.”;
- L’on. Bonaiuti, già portavoce del presidente del Consiglio, parla di “provvedimento solo all’apparenza scintillante, ma con scarsi effetti”
- L’on. Castelli, già ministro della giustizia, considera il decreto “una piccola vendetta”
- L’on:Storace, già ministro della sanità, parla di tassisti e farmacisti umiliati.
Non capisco (a tal proposito sarebbe opportuno che “lor signori” usassero un linguaggio più comprensibile per comunicare a noi illetterati le loro certezze) perché il provvedimento in questione svilerebbe la professione e men che mai capisco perché verrebbe a mancare il rapporto di fiducia tra professionista e cliente: io penso che il rapporto si rafforzerebbe in quanto la parcella verrebbe stabilita da un concorso delle parti in relazioni a parametri diverse dalle puree e semplice tariffe minime. Inoltre, non temo, come l’on. Bruno, che l’eliminazione delle tariffe minime vada a discapito della qualità. Sarebbe avvilente e…svlente: ho sempre pensato che la qualità fosse in relazione alla deontologia professionale (deontologia, dizionario Garzanti: complesso di norme etico-sociali che disciplinano l’esercizio di una data professione.).
Le considerazioni di Sacconi (odio sociale), di La Russa (vendetta…) e di Castelli (piccola vendetta) servono a infuocare il clima, a portare il problema non sul lato della giustezza e dell’opportunità (liberare i cittadini da lacci e pastoie) ma sul lato dello scontro frontale come la CdL ha sempre fatto.
Molti esponenti della CdL parlano di mancanza di concertazione. Ma quando il governo Berlusconi ha concertato? C’era un solo direttore d’orchestra e una sola orchestra!
I tassisti non vogliono l’aumento del numero delle licenze e contro il decreto hanno indetto l’11 Luglio uno sciopero nazionale e nel frattempo faranno ostruzionismo. Licenze bloccate, tariffe elevate, mediamente tra le più alte delle principali città europee, un regime di monopolio (prendere o andate a piedi…), guadagni soddisfacenti….Né le attese al telefono o le code all’aeroporto né l’incremento dell’occupazione (oggi ci sono pochi taxi in rapporto alla popolazione; altrove non è così) sembra intere4ssino loro. L’investimento sull’auto e la sua manutenzione altro non sono che le normali spese che ogni azienda (meccanico, falegname…) sostiene per stare sul mercato. Sicuramente fa paura la concorrenza.
Il presidente dell’Associazione panificatori A. Marinoni: “La riforma Prodi semina zizzania e raccoglie tempesta (stesso linguaggio minaccioso di troppi politici).” I panettieri sostengono che “aumenteranno a dismisura i panifici, si venderà meno pane e, per sopravvivere e garantire un prodotto di qualità saranno costretti ad aumentare i prezzi.” La qualità del pane e dei prodotti da forno non è legata al numero degli esercizi, ma alla loro onestà ed ai controlli delle autorità. E, diciamocelo francamente, non è possibile a Milano e provincia vendere il pane comune (la michetta) a circa 4 euro il chilo, è un sopruso, specie per pensionati e indigenti, per i quali spesso rappresenta l’unico alimento. Anche loro, quindi, hanno paura della concorrenza!
I farmacisti, infine, avversano il decreto con giustificazioni strumentali. Da anni in USA o in Gran Bretagna i centri commerciali vendono i farmaci da banco (si acquistano senza ricetta medica senza responsabilità alcuna del farmacista). Si afferma l’importanza della figura del farmacista come unico professionista autorizzato per legge (su questo non c’è niente da ridire) a dispensare il farmaco (mi risulta solamente i farmaci non-da-banco). Tutte le volte che mi sono recato in farmacia per acquistare una scatola di aspirina o di aulin, mai il farmacista mi ha chiesto perché stessi usando quel farmaco o per curare cosa. Qualche volta interviene per dirmi che il farmaco alternativo deve ordinarlo e non sa quando arriverà.
Il governo deve ora procedere lungo la strada tracciata, senza cedere elle lobby e ai difensori, dentro e fuori del Parlamento, accettando solo suggerimenti che ne migliorino l’efficacia.
La lobby del cittadino non è molto potente, come si conviene a qualsivoglia lobby, ma è molto numerosa e…vota. Sta con chi ne salvaguarda i diritti. Le corporazioni, retaggio di un oscuro medioevo, devono lasciare il passo alla libera iniziativa e alla vera concorrenza.Borsetto 05,07,
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