Non si parla d’altro che delle intercettazioni Saccà – Berlusconi. Come da copione, in un’Italia da farsa, i politici, l’informazione si schierano, ognuno a fianco della propria parte, si tifa e la confusione, appositamente voluta, regna sovrana.
La parola d’ordine di padroni e servi è una sola, usata e abusata, privacy (dal dizionario Garzanti: nella vita di una persona, la dimensione più privata, che essa ha diritto di salvaguardare…intimità).
A me viene difficile, nonostante la definizione, vedere un minimo di privacy da salvaguardare nella conversazione telefonica tra il capo e il suo cortigiano.
Quello che emerge è l’arrogante uso privatistico delle istituzioni in barba a qualsiasi norma di convivenza civile e democratica. Nella fattispecie ricordiamo le raccomandazioni e la caduta del governo a queste legata: poca cosa per un leader che ha dato sempre l’impressione di considerare l’”azienda Italia”, come la chiamava, la sua azienda, il conflitto d’interesse inesistente, inventato dall’invidia della sinistra e il parlamento un supermercato dove fare acquisti.
La reazione dell’onorevole è stata violenta, incontrollata (“quello che sta succedendo ha mille risvolti che fanno a pugni con la libertà, la democrazia e il buon gusto” – senti chi parla!) e astiosa (“Se vogliomo incomincio a tira fuori gli elenchi”)
Non mi soffermo sulle espressioni colorite (“…in Rai si lavora soltanto se ti prostituisci oppure se sei di sinistra”, “non c’è nessuno che non sia raccomandato…”) su un mondo che egli stesso ha contribuito a creare, che si è diffuso nelle istituzioni con le famose leggi “vergogna” .
Ma l’espressione più singolare e patetica assieme riguarda l’appello al popolo : “Mi rivolgo ai cittadini italiani. Se… non ne potete più… di certo sostegno che la magistratura dà a questo governo, entrando con violenza nella vita dei cittadini…votare tutti per chi difende la libertà da sempre”.
Nella richiesta d’aiuto ai cittadini, ancora una volta come perseguitato, emerge la sua concezione populista della politica, che non si fa problema di delegittimare un’istituzione fondamentale dello stato democratico che è la magistratura, tanto da affermare che la sua prima legge s’interesserà delle intercettazioni “con la possibilità per questi signori della pubblica accusa di intervenire soltanto per quei reati gravi, con una pena che parta dai 15 anni in su”.
Bene, una istigazione a delinguere bella e buona, che nessun parlamentare e nessun organo di stampa ha stigmatizzato, forse per paura che il dialogo aperto sulla legge elettorale si possa interrompere, o forse è proprio vero che le intercettazioni danno fastidio a molti e bisogna intervenire presto, anche con un Decreto Legge, in nome della salvaguardia della privacy.
I politici non sono semplici cittadini, sono i rappresentanti delle istituzioni, votati dai cittadini e, come tali, non devono nascondere i loro comportamenti né sfuggire alle proprie responsabilità. Hanno, come personaggi pubblici, dei doveri verso gli elettori e sono doveri di lealtà, di onestà e di trasparenza. D’altro canto possono dimettersi dal mandato quando vogliono e se lo vogliono, se si sentono limitati e controllati.
La privacy non deve essere usata come un alibi o giustificazione impedendo ai cittadini, a quelli che ancora credono nelle istituzioni e nell’onestà di chi li rappresenta (indipendentemente dal voto espresso), di poterne prendere le distanze, insomma, di non votarli più.
Ma, in fin dei conti, è giusto invocare la privacy, per comportamenti scorretti verso la comunità?
E’ giusto che la pricacy diventi uno strumento a garanzia della “casta”?
La omogeneità di vedute sulla necessità di una legge che metta freno alle intercettazioni, ci dà facili risposte e rende vana la speranza che i politici possano cambire l’attuale etica politica.
22 dicembre 2007
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