Si ha notizia che i manager pubblici devolveranno in beneficenza la parte del loro compenso eccedente il tetto, previsto nella legge finanziaria prima che fosse tagliata dalla Camera.
Si costruiranno scuole nei Paesi poveri dell’Africa.
Le aziende con fondi neri nei paradisi fiscali, poiché a Natale siamo tutti più buoni e consapevoli, creeranno con gli stessi un Fondo Monetario Internazionale, in alternativa a quello esistente, e presteranno capitali a interessi zero ai Paesi del Terzo mondo.
La Chiesa, per l’amore e la solidarietà insite nella sua predicazione, il suo farsi prossimo, a partire da subito, rinuncerà all’otto per mille investendo in ospedali e in ricerca nei paesi più poveri della Terra, mandando preti e vescovi, poveri tra i poveri, ad alleviare sofferenze e disagi.
I politici, oltre ai numerosi privilegi, taglieranno le spese clientelari e andranno in giro senza scorta, restituendo al loro ruolo originario il personale, e rinunceranno definitivamente al 50% dei loro emolumenti che saranno utilizzati per la riduzione del debito pubblico che hanno contribuito a determianre sfatando così il mito della “casta”.
“Non ci posso credere”, pensavo tra me. Eppure il TG ne sta illustrando i dettagli.
Non posso credere alle mie orecchie…alle pareole si sovrappone una musica lontana sempre più invadente e vicina…
La radiosveglia mi porta alla realtà di ogni giorno…ma il sogno è stato bellissimo…grazie.
26 dicembre 2007
25 dicembre 2007
PAROLE AL VENTO DI UN PAROLAIO
Il parolaio rosso, come lo chiama Pansa, nella conferenza di fine anno, sputa sentenze e proposte pregne di qualunquismo e di demagogia e lancia un duro monito sulle intercettazioni.
Non vanno rese pubbliche perché “è una violazione dei diritti (perfetta sintonia col Cavaliere che li definisce un crimine) individuali del cittadino e della persona (appassionata difesa della “casta” e commovente solidarietà). Sono tutte cattive (se tutti siamo corruttori, nessuno va in galera). Ciò che emerge …non deve essere usato per colpire qualcuno (giusto! Specialmente se cittadini di comprovata moralità, assolti per decorrenza dei termini…), e guai al loro uso politico che va bandito (la ciliegina sulla torta! I politici, nell’esercizio delle proprie funzioni, sempre più allargate e improprie, devono essere intoccabili…non censurabili)”.
Quando il politico, di qualunque colore, finisce sui giornali che rendono note le sue malefatte attraverso pubblicazioni integrali delle sue telefonate, tutti fanno quadrato (domani potrebbe toccare a loro…Dio salvi il re!) e Bertinotti, la terza carica dello Stato, con le mirate esternazioni rappresenta uno dei lati forti.
E’, comunque, paradossale parlare dei diritti individuali del cittadino, quando gli stessi parlamentari continuamente li calpestano, dimostrando che contano solo i loro diritti, consolidati da apposite leggi che loro stessi votano. Ma parlare e ancora parlare, fa chic!
E ammette che dalla vicenda BER – RAI , emergono (bontà sua!) “forti elementi di degrado del costume (affermazione assai generica, considerando che esistono nomi e cognomi…un colpo alla botte e una al cerchio!)”. Siamo fatti proprio così perché “il trasformismo è parte della storia italiana (come dire:siamo figli dei nostri cattivi padri, non abbiamo colpa alcuna)… interrotto dalla nascita dei partiti di massa (se l’equazione fosse vera la nascitra di F.I. avrebbe dovuto portare una maggiore etica nella politica italiansa, ma così non è stato. Inoltre, siccome Rifondazione non è un grande partito di massa, Bertinotti dovrebbe agire di conseguenza).
Sinceramente, dal presidente Bertinotti mi aspettavo di più e meglio, ma si vede che il suo più grande pregio è quello di saper usare la bocca, salvo quando attacca, nonostante il ruolo super partes fortemente voluto, il governo di cui il suo partito è parte integrante.
Forse non riesce a dividere il ruolo istituzionale dal malcelato leaderismo di uomo di parte. Forse non si rende conto che se tutti tirano la corda questa prima o dopo si spezza e le parole poi serviranno a poco. Forse, nonostante la sua cultura profonda e salottiera e il suo passato di sindacalista, non è in grado di capire dove sta andando il Paese.
L’onorevole Bertinotti deve scegliere tra lo stare al governo e avere le mani legate perché parte di una coalizione o lasciare il governo e avere le mani libere e lavorare per l’orticello di Rifondazione. Ma prima deve verificare ciò che è bene oggi per il Paese che, per quanto afferma, mostra di conoscere: “non si può negare che c’è una crisi paralizante che riguarda l’intero sistema politico istituzionale” e “se non si fanno le riforme rischiamo una deriva drammatica in cui non si salva nessuno”e, cosa grave, “ senza riforme si limita la maggioranza e si penalizza l’opposizione”.
Tutto vero. E allora? Interrompa il flert con le parole e faccia parlare i fatti con proposte vere, semplici e incisive. Non la luna, ma la semplicità del contadino che della sua terra conosce tutto.
Non vanno rese pubbliche perché “è una violazione dei diritti (perfetta sintonia col Cavaliere che li definisce un crimine) individuali del cittadino e della persona (appassionata difesa della “casta” e commovente solidarietà). Sono tutte cattive (se tutti siamo corruttori, nessuno va in galera). Ciò che emerge …non deve essere usato per colpire qualcuno (giusto! Specialmente se cittadini di comprovata moralità, assolti per decorrenza dei termini…), e guai al loro uso politico che va bandito (la ciliegina sulla torta! I politici, nell’esercizio delle proprie funzioni, sempre più allargate e improprie, devono essere intoccabili…non censurabili)”.
Quando il politico, di qualunque colore, finisce sui giornali che rendono note le sue malefatte attraverso pubblicazioni integrali delle sue telefonate, tutti fanno quadrato (domani potrebbe toccare a loro…Dio salvi il re!) e Bertinotti, la terza carica dello Stato, con le mirate esternazioni rappresenta uno dei lati forti.
E’, comunque, paradossale parlare dei diritti individuali del cittadino, quando gli stessi parlamentari continuamente li calpestano, dimostrando che contano solo i loro diritti, consolidati da apposite leggi che loro stessi votano. Ma parlare e ancora parlare, fa chic!
E ammette che dalla vicenda BER – RAI , emergono (bontà sua!) “forti elementi di degrado del costume (affermazione assai generica, considerando che esistono nomi e cognomi…un colpo alla botte e una al cerchio!)”. Siamo fatti proprio così perché “il trasformismo è parte della storia italiana (come dire:siamo figli dei nostri cattivi padri, non abbiamo colpa alcuna)… interrotto dalla nascita dei partiti di massa (se l’equazione fosse vera la nascitra di F.I. avrebbe dovuto portare una maggiore etica nella politica italiansa, ma così non è stato. Inoltre, siccome Rifondazione non è un grande partito di massa, Bertinotti dovrebbe agire di conseguenza).
Sinceramente, dal presidente Bertinotti mi aspettavo di più e meglio, ma si vede che il suo più grande pregio è quello di saper usare la bocca, salvo quando attacca, nonostante il ruolo super partes fortemente voluto, il governo di cui il suo partito è parte integrante.
Forse non riesce a dividere il ruolo istituzionale dal malcelato leaderismo di uomo di parte. Forse non si rende conto che se tutti tirano la corda questa prima o dopo si spezza e le parole poi serviranno a poco. Forse, nonostante la sua cultura profonda e salottiera e il suo passato di sindacalista, non è in grado di capire dove sta andando il Paese.
L’onorevole Bertinotti deve scegliere tra lo stare al governo e avere le mani legate perché parte di una coalizione o lasciare il governo e avere le mani libere e lavorare per l’orticello di Rifondazione. Ma prima deve verificare ciò che è bene oggi per il Paese che, per quanto afferma, mostra di conoscere: “non si può negare che c’è una crisi paralizante che riguarda l’intero sistema politico istituzionale” e “se non si fanno le riforme rischiamo una deriva drammatica in cui non si salva nessuno”e, cosa grave, “ senza riforme si limita la maggioranza e si penalizza l’opposizione”.
Tutto vero. E allora? Interrompa il flert con le parole e faccia parlare i fatti con proposte vere, semplici e incisive. Non la luna, ma la semplicità del contadino che della sua terra conosce tutto.
22 dicembre 2007
INTERCCETTAZIONI E PRIVACY: UN IMBROGLIO
Non si parla d’altro che delle intercettazioni Saccà – Berlusconi. Come da copione, in un’Italia da farsa, i politici, l’informazione si schierano, ognuno a fianco della propria parte, si tifa e la confusione, appositamente voluta, regna sovrana.
La parola d’ordine di padroni e servi è una sola, usata e abusata, privacy (dal dizionario Garzanti: nella vita di una persona, la dimensione più privata, che essa ha diritto di salvaguardare…intimità).
A me viene difficile, nonostante la definizione, vedere un minimo di privacy da salvaguardare nella conversazione telefonica tra il capo e il suo cortigiano.
Quello che emerge è l’arrogante uso privatistico delle istituzioni in barba a qualsiasi norma di convivenza civile e democratica. Nella fattispecie ricordiamo le raccomandazioni e la caduta del governo a queste legata: poca cosa per un leader che ha dato sempre l’impressione di considerare l’”azienda Italia”, come la chiamava, la sua azienda, il conflitto d’interesse inesistente, inventato dall’invidia della sinistra e il parlamento un supermercato dove fare acquisti.
La reazione dell’onorevole è stata violenta, incontrollata (“quello che sta succedendo ha mille risvolti che fanno a pugni con la libertà, la democrazia e il buon gusto” – senti chi parla!) e astiosa (“Se vogliomo incomincio a tira fuori gli elenchi”)
Non mi soffermo sulle espressioni colorite (“…in Rai si lavora soltanto se ti prostituisci oppure se sei di sinistra”, “non c’è nessuno che non sia raccomandato…”) su un mondo che egli stesso ha contribuito a creare, che si è diffuso nelle istituzioni con le famose leggi “vergogna” .
Ma l’espressione più singolare e patetica assieme riguarda l’appello al popolo : “Mi rivolgo ai cittadini italiani. Se… non ne potete più… di certo sostegno che la magistratura dà a questo governo, entrando con violenza nella vita dei cittadini…votare tutti per chi difende la libertà da sempre”.
Nella richiesta d’aiuto ai cittadini, ancora una volta come perseguitato, emerge la sua concezione populista della politica, che non si fa problema di delegittimare un’istituzione fondamentale dello stato democratico che è la magistratura, tanto da affermare che la sua prima legge s’interesserà delle intercettazioni “con la possibilità per questi signori della pubblica accusa di intervenire soltanto per quei reati gravi, con una pena che parta dai 15 anni in su”.
Bene, una istigazione a delinguere bella e buona, che nessun parlamentare e nessun organo di stampa ha stigmatizzato, forse per paura che il dialogo aperto sulla legge elettorale si possa interrompere, o forse è proprio vero che le intercettazioni danno fastidio a molti e bisogna intervenire presto, anche con un Decreto Legge, in nome della salvaguardia della privacy.
I politici non sono semplici cittadini, sono i rappresentanti delle istituzioni, votati dai cittadini e, come tali, non devono nascondere i loro comportamenti né sfuggire alle proprie responsabilità. Hanno, come personaggi pubblici, dei doveri verso gli elettori e sono doveri di lealtà, di onestà e di trasparenza. D’altro canto possono dimettersi dal mandato quando vogliono e se lo vogliono, se si sentono limitati e controllati.
La privacy non deve essere usata come un alibi o giustificazione impedendo ai cittadini, a quelli che ancora credono nelle istituzioni e nell’onestà di chi li rappresenta (indipendentemente dal voto espresso), di poterne prendere le distanze, insomma, di non votarli più.
Ma, in fin dei conti, è giusto invocare la privacy, per comportamenti scorretti verso la comunità?
E’ giusto che la pricacy diventi uno strumento a garanzia della “casta”?
La omogeneità di vedute sulla necessità di una legge che metta freno alle intercettazioni, ci dà facili risposte e rende vana la speranza che i politici possano cambire l’attuale etica politica.
La parola d’ordine di padroni e servi è una sola, usata e abusata, privacy (dal dizionario Garzanti: nella vita di una persona, la dimensione più privata, che essa ha diritto di salvaguardare…intimità).
A me viene difficile, nonostante la definizione, vedere un minimo di privacy da salvaguardare nella conversazione telefonica tra il capo e il suo cortigiano.
Quello che emerge è l’arrogante uso privatistico delle istituzioni in barba a qualsiasi norma di convivenza civile e democratica. Nella fattispecie ricordiamo le raccomandazioni e la caduta del governo a queste legata: poca cosa per un leader che ha dato sempre l’impressione di considerare l’”azienda Italia”, come la chiamava, la sua azienda, il conflitto d’interesse inesistente, inventato dall’invidia della sinistra e il parlamento un supermercato dove fare acquisti.
La reazione dell’onorevole è stata violenta, incontrollata (“quello che sta succedendo ha mille risvolti che fanno a pugni con la libertà, la democrazia e il buon gusto” – senti chi parla!) e astiosa (“Se vogliomo incomincio a tira fuori gli elenchi”)
Non mi soffermo sulle espressioni colorite (“…in Rai si lavora soltanto se ti prostituisci oppure se sei di sinistra”, “non c’è nessuno che non sia raccomandato…”) su un mondo che egli stesso ha contribuito a creare, che si è diffuso nelle istituzioni con le famose leggi “vergogna” .
Ma l’espressione più singolare e patetica assieme riguarda l’appello al popolo : “Mi rivolgo ai cittadini italiani. Se… non ne potete più… di certo sostegno che la magistratura dà a questo governo, entrando con violenza nella vita dei cittadini…votare tutti per chi difende la libertà da sempre”.
Nella richiesta d’aiuto ai cittadini, ancora una volta come perseguitato, emerge la sua concezione populista della politica, che non si fa problema di delegittimare un’istituzione fondamentale dello stato democratico che è la magistratura, tanto da affermare che la sua prima legge s’interesserà delle intercettazioni “con la possibilità per questi signori della pubblica accusa di intervenire soltanto per quei reati gravi, con una pena che parta dai 15 anni in su”.
Bene, una istigazione a delinguere bella e buona, che nessun parlamentare e nessun organo di stampa ha stigmatizzato, forse per paura che il dialogo aperto sulla legge elettorale si possa interrompere, o forse è proprio vero che le intercettazioni danno fastidio a molti e bisogna intervenire presto, anche con un Decreto Legge, in nome della salvaguardia della privacy.
I politici non sono semplici cittadini, sono i rappresentanti delle istituzioni, votati dai cittadini e, come tali, non devono nascondere i loro comportamenti né sfuggire alle proprie responsabilità. Hanno, come personaggi pubblici, dei doveri verso gli elettori e sono doveri di lealtà, di onestà e di trasparenza. D’altro canto possono dimettersi dal mandato quando vogliono e se lo vogliono, se si sentono limitati e controllati.
La privacy non deve essere usata come un alibi o giustificazione impedendo ai cittadini, a quelli che ancora credono nelle istituzioni e nell’onestà di chi li rappresenta (indipendentemente dal voto espresso), di poterne prendere le distanze, insomma, di non votarli più.
Ma, in fin dei conti, è giusto invocare la privacy, per comportamenti scorretti verso la comunità?
E’ giusto che la pricacy diventi uno strumento a garanzia della “casta”?
La omogeneità di vedute sulla necessità di una legge che metta freno alle intercettazioni, ci dà facili risposte e rende vana la speranza che i politici possano cambire l’attuale etica politica.
21 dicembre 2007
IL CATECHISMO E LA PENA DI MORTE
Cesare Beccaria , a proposito della pena di morte, nel pamphlet "Dei delitti e delle pene" nel 1764 scriveva: "Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscano l'omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordini un pubblico assassinio".
Il Granducato di Toscana nel 1786 fu il primo Stato al mondo ad abolire la pena di morte.
Su iniziativa dell'Italia, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 18 Dicembre2007, ha approvato la risoluzione per la moratoria universale contro la pena di morte nel mondo.
Ma il punto 2267 de "Il nuovo catechismo della Chiesa cattolica" (1992, rivisto nel 1999) così recita: "L'insegnamento tradizinale della Chiesa non esclude (...) il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani. (...).
Oggi (...) i casi di assoluta necessità di soppressione del reo sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti (quest'ultimo paragrafo, aggiunto successivamente, proviene dall'enciclica di Giovanni Paolo II "Evangelium vitae" del 1995)".
Ecco l'assurdo! La Chiesa nella sua dottrina fondamentale, il catechismmo, mantiene ancora la pena di morte anche se edulcorata dall'aggiunta di un paragrafetto dell'enciclica sopradetta. Le lancette del tempo sembrano essersi fermate, meno male che la ...Santa Inquisizione è lontana!
Eppure nel Nuovo testamento Gesù invoca il perdono nell'episodio della lapidazione della donna adultera: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei (Giovanni 1 cap 8, 7)".
E Giovanni Paolo II dichiara durante la visita negli USA che la Chiesa è "incondizionatamente a favore della vita" e che, essendo la nostra società "in possesso dei mezzi per proteggersi (...) la pena si morte è crudele e non necessaria".
Insomma sembra l'applicazione completa del V comandamento: non uccidere. Ma non è così. Infatti, quando si afferma che sono rari i casi "di assoluta necessità di soppressione del reo", si ammette che in qualche caso la pena di morte è ammessa.
Qualcuno scrive che questo vale per la legittima difesa (punto 2266). Ma quanti innocenti, nel Far West del mondo civilizzato, furono uccisi in nome della legittima difesa? Quando, allora, si può parlare di legittima difesa, ovvero quale tipo di reato autorizza alla pena capitale?
E se "la pena di morte è crudele e non necessaria" perché viene ancora mantenuto nel catechismo il punto 2267, che rappresenta un affronto all'etica del perdono e della misericordia e lascia l'impressione che si possa, in qualche caso, utilizzarlo?
I cittadini italiani, fedeli e non, considerando la presenza invasiva della Chiesa nella vita pubblica e privata e l'affermazione di Giovanni Paolo II, secondo cui il diritto alla vita è il fondamento di ogni altro diritto, vogliono che Essa intervenga anche in maniera formale cancellando dal catechismo il punto 2267, sgombrando così il campo da ogni malcelato dubbio di opportunismo.
Il Granducato di Toscana nel 1786 fu il primo Stato al mondo ad abolire la pena di morte.
Su iniziativa dell'Italia, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 18 Dicembre2007, ha approvato la risoluzione per la moratoria universale contro la pena di morte nel mondo.
Ma il punto 2267 de "Il nuovo catechismo della Chiesa cattolica" (1992, rivisto nel 1999) così recita: "L'insegnamento tradizinale della Chiesa non esclude (...) il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani. (...).
Oggi (...) i casi di assoluta necessità di soppressione del reo sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti (quest'ultimo paragrafo, aggiunto successivamente, proviene dall'enciclica di Giovanni Paolo II "Evangelium vitae" del 1995)".
Ecco l'assurdo! La Chiesa nella sua dottrina fondamentale, il catechismmo, mantiene ancora la pena di morte anche se edulcorata dall'aggiunta di un paragrafetto dell'enciclica sopradetta. Le lancette del tempo sembrano essersi fermate, meno male che la ...Santa Inquisizione è lontana!
Eppure nel Nuovo testamento Gesù invoca il perdono nell'episodio della lapidazione della donna adultera: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei (Giovanni 1 cap 8, 7)".
E Giovanni Paolo II dichiara durante la visita negli USA che la Chiesa è "incondizionatamente a favore della vita" e che, essendo la nostra società "in possesso dei mezzi per proteggersi (...) la pena si morte è crudele e non necessaria".
Insomma sembra l'applicazione completa del V comandamento: non uccidere. Ma non è così. Infatti, quando si afferma che sono rari i casi "di assoluta necessità di soppressione del reo", si ammette che in qualche caso la pena di morte è ammessa.
Qualcuno scrive che questo vale per la legittima difesa (punto 2266). Ma quanti innocenti, nel Far West del mondo civilizzato, furono uccisi in nome della legittima difesa? Quando, allora, si può parlare di legittima difesa, ovvero quale tipo di reato autorizza alla pena capitale?
E se "la pena di morte è crudele e non necessaria" perché viene ancora mantenuto nel catechismo il punto 2267, che rappresenta un affronto all'etica del perdono e della misericordia e lascia l'impressione che si possa, in qualche caso, utilizzarlo?
I cittadini italiani, fedeli e non, considerando la presenza invasiva della Chiesa nella vita pubblica e privata e l'affermazione di Giovanni Paolo II, secondo cui il diritto alla vita è il fondamento di ogni altro diritto, vogliono che Essa intervenga anche in maniera formale cancellando dal catechismo il punto 2267, sgombrando così il campo da ogni malcelato dubbio di opportunismo.
20 dicembre 2007
QUOUSQUE TANDEM CATILINA ABUTERIS?
La Legge finanziaria, approvata alla Camera con ben tre voti di fiducia, ha tagliato i tagli che il Senato, con un altro voto di fiducia, aveva approvato.
I tagli in questione riguardano il tetto dei manager pubblici che, stando all'ingaggio (proprio come i migliori calciatori) e alle liquidazioni percepite, sarebbero i migliori d'Europa. Sarebbero, ma non sono perché basta guardare il bilancio del loro operato per chiederci ancora una volta, quali sono i criteri che guidano (e hanno giudato) le loro nomine e determinano i loro ingaggi.
Così, noi, per non farli scappare via (magari! affermano gli economisti più onesti) i nostri bravi parlamentari aumentano, anzi liberalizzano i tetti d'ingaggio...tanto su di loro non piove mai. E se piove...piovono soldi!
I manager delle aziende private, forse hanno un tetto d'ingaggio più alto, ma a fine contratto devono dimostrare di avere operato, procurando un vantaggio all'azienda. In caso contrario il contratto viene scisso, la liquidazione subisce le penali previste e i manager si rimettono sul mercato, cercando un nuovo ingaggio, se trovano aqualche azienda disposta ad assumerli, visti i risultati.
Tutto ciò non vale per le aziende di stato, dove manager strapagati e meglio liquidati, a fine incarico vengono trasferiti...con tutte le competenze acquisite, ad altra azienda pubblica con un ingaggio più alto e una liquidazione più sostanziosa.
E i risultati? A quanto pare nessuno chiede loro conto e ragione del loro passato fallimentare...tanto paga il cittadino, quello della busta paga.
Ma ciò che più mortifica il cittadino è l'arroganza, non tanto dei manager che sono quel che sono, ma dei soliti politici che prima sbandierano ai quattro venti i tagli, intesi come l'inizio di un rinnovamento etico della politica, e poi nel chiuso dei palazzi del potere, ritornano al solito deja vu.
Non so se ciò finirà e quando finirà, ma sarà sempre tardi. E oggi non rimane nemmeno la speranza, l'ultima dea dei Romani.
L'implosione...ma quale implosione! Nuove elezioni e nuovo governo....ma quali elezioni, ma quale nuovo governo!
Nessuno ha più niente da proporre, ormai; il cittadino, impotente, non reagisce più...tanto...
L'Italia è come una bellissima auto alla quale in discesa si sono rotti i freni e l'autista continua ad accelerare...tanto poi la discesa finirà, mentre il baratro è lì, oltre la curva.
I tagli in questione riguardano il tetto dei manager pubblici che, stando all'ingaggio (proprio come i migliori calciatori) e alle liquidazioni percepite, sarebbero i migliori d'Europa. Sarebbero, ma non sono perché basta guardare il bilancio del loro operato per chiederci ancora una volta, quali sono i criteri che guidano (e hanno giudato) le loro nomine e determinano i loro ingaggi.
Così, noi, per non farli scappare via (magari! affermano gli economisti più onesti) i nostri bravi parlamentari aumentano, anzi liberalizzano i tetti d'ingaggio...tanto su di loro non piove mai. E se piove...piovono soldi!
I manager delle aziende private, forse hanno un tetto d'ingaggio più alto, ma a fine contratto devono dimostrare di avere operato, procurando un vantaggio all'azienda. In caso contrario il contratto viene scisso, la liquidazione subisce le penali previste e i manager si rimettono sul mercato, cercando un nuovo ingaggio, se trovano aqualche azienda disposta ad assumerli, visti i risultati.
Tutto ciò non vale per le aziende di stato, dove manager strapagati e meglio liquidati, a fine incarico vengono trasferiti...con tutte le competenze acquisite, ad altra azienda pubblica con un ingaggio più alto e una liquidazione più sostanziosa.
E i risultati? A quanto pare nessuno chiede loro conto e ragione del loro passato fallimentare...tanto paga il cittadino, quello della busta paga.
Ma ciò che più mortifica il cittadino è l'arroganza, non tanto dei manager che sono quel che sono, ma dei soliti politici che prima sbandierano ai quattro venti i tagli, intesi come l'inizio di un rinnovamento etico della politica, e poi nel chiuso dei palazzi del potere, ritornano al solito deja vu.
Non so se ciò finirà e quando finirà, ma sarà sempre tardi. E oggi non rimane nemmeno la speranza, l'ultima dea dei Romani.
L'implosione...ma quale implosione! Nuove elezioni e nuovo governo....ma quali elezioni, ma quale nuovo governo!
Nessuno ha più niente da proporre, ormai; il cittadino, impotente, non reagisce più...tanto...
L'Italia è come una bellissima auto alla quale in discesa si sono rotti i freni e l'autista continua ad accelerare...tanto poi la discesa finirà, mentre il baratro è lì, oltre la curva.
LA LEGGE ELETTORALE CHE VERRA’: UNA FURBATA
Vassallum o bozza Bianco…o referendum: interviste, dichiarazioni, esternazioni riempiono pagine di giornali e talk show. La politica sembra riappropriarsi del suo spazio.
Ma è il solito specchietto per le allodole, un’ulteriore disunione per noi cittadini. I politici e i politologi (schiere di cortigiani con qualche eccezione) discutono non per dare all’Italia una legge adeguata ad una grande democrazia moderna rispettosa della Costituzione, ma per se stessi, per mantenere spazi e prebende.
Tutti i piccoli partiti fanno la voce…grossa; nessuno vuole essere tagliato fuori, ognuno reclama il proprio orticello: meglio generale di un drappello che soldato tra soldati.
E nel reclamare il proprio spazio usano il ricatto, la sola arma, per la verità molto potente, di cui attualmente dispongono e qualcuno, mi sembra Mastella, minaccia addirittura di non votare la finanziaria o di allocarsi altrove.
Legittime e nobili pretese, come si vede, di partiti familiari o locali che dimenticano, come i grandi, che la sovranità (comma 2, articolo 1 della Costituzione) appartiene al popolo e non ai capipartito.
La nuova legge elettorale si rende necessaria per la governabilità. Bene, giusto. Ma allora perché non spiegano ai cittadini come mai sia il vassallum, sia la bozza Bianco, sia il referendum non prevedono il voto di preferenza ma le liste bloccate?
In democrazia è fondamentale che l’elettore scelga il candidato di sua fiducia non quello (collegi uninominali) o quelli (liste bloccate) che il partito gli impone in ordine di eleggibilità.
Ma ad oggi nessun partito, sottolineo nessuno, si espresso sulla reintroduzione del voto di preferenza, in quanto le liste bloccate rappresentano il paradiso dei familiari o degli impresentabili o dei trasformisti o, comunque, dei privi di preferenza e rimarcano l’invadenza dei partiti.
Io voglio che mi sia ridato il voto di preferenza di cui sono stato espropriato.
Desidero, altresì, la scomparsa di tutti i cespugli che inselvatichiscono la politica, immiserendola e rendendola vittima di ogni ricatto.
Ma è il solito specchietto per le allodole, un’ulteriore disunione per noi cittadini. I politici e i politologi (schiere di cortigiani con qualche eccezione) discutono non per dare all’Italia una legge adeguata ad una grande democrazia moderna rispettosa della Costituzione, ma per se stessi, per mantenere spazi e prebende.
Tutti i piccoli partiti fanno la voce…grossa; nessuno vuole essere tagliato fuori, ognuno reclama il proprio orticello: meglio generale di un drappello che soldato tra soldati.
E nel reclamare il proprio spazio usano il ricatto, la sola arma, per la verità molto potente, di cui attualmente dispongono e qualcuno, mi sembra Mastella, minaccia addirittura di non votare la finanziaria o di allocarsi altrove.
Legittime e nobili pretese, come si vede, di partiti familiari o locali che dimenticano, come i grandi, che la sovranità (comma 2, articolo 1 della Costituzione) appartiene al popolo e non ai capipartito.
La nuova legge elettorale si rende necessaria per la governabilità. Bene, giusto. Ma allora perché non spiegano ai cittadini come mai sia il vassallum, sia la bozza Bianco, sia il referendum non prevedono il voto di preferenza ma le liste bloccate?
In democrazia è fondamentale che l’elettore scelga il candidato di sua fiducia non quello (collegi uninominali) o quelli (liste bloccate) che il partito gli impone in ordine di eleggibilità.
Ma ad oggi nessun partito, sottolineo nessuno, si espresso sulla reintroduzione del voto di preferenza, in quanto le liste bloccate rappresentano il paradiso dei familiari o degli impresentabili o dei trasformisti o, comunque, dei privi di preferenza e rimarcano l’invadenza dei partiti.
Io voglio che mi sia ridato il voto di preferenza di cui sono stato espropriato.
Desidero, altresì, la scomparsa di tutti i cespugli che inselvatichiscono la politica, immiserendola e rendendola vittima di ogni ricatto.
08 dicembre 2007
L’OMOSESSUALITA’ : A RISCHIO IL GOVERNO
Mercoledì scorso in Iran è stato giustiziato per impiccagione Makwan, un ragazzo di vent’anni accusato di essere gay. Il presidente Ahmadinejad afferma che i gay in Iran non esistono, piuttosto è la sodomia è il reato che porta alla morte (la sharia condanna l’omosessualità…). Meglio negarne l’esistenza e girarci attorno che giustificare un crimine commesso dall’istituzione.
Giovedì scorso la senatrice Binetti non vota la fiducia al governo per un emendamento a tutela delle diverse tendenze sessuali. La teodem del PD, già Margherita, quella del cilicio, pensava forse di essere in Iran in compagnia di ligi seguaci di San Paolo quali Andreotti, Buttiglione, Mastella (minaccia di non votare…), Mantovani …
L’emendamento incriminato rialza le pene (abbassate dal governo precedente) previste in applicazione dell’articolo 13 del Trattato di Amsterdam, che così recita: il Consiglio “può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, l’età o le tendenze sessuali”. Anche da noi è meglio negare l’evidenza della discriminazione: si evitano rompicapi e anatemi… dalle alte sfere.
Buttiglione chiede se la sinistra “vuole mandare in galera San Paolo” per quanto affermò sull’omosessualità.
Certo da un europarlamentare, già ministro e filosofo in carica, ci si aspetta qualcosa di meglio e un’argomentazione più consistente.
Ricordo che Gesù nei vangeli non parla mai di omosessualità. E San Paolo, il fondatore della dottrina cella Chiesa, afferma: “Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni verso gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento (Rm 1, 26-27) ”.
Mentre Joseph Ratzinger, in qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede scrive (Homosexualitatis Problema, 1986): “Occorre invece precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo da punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa deve essere considerata come oggettivamente disordinata”.
Non meritano commento le dichiarazioni dell’on. Mantovani (“…prevedere pene fino a tre anni per i cattolici che diffondono il pensiero del Papa”.), e della Lega che col solito colorito linguaggio vede nel provvedimento “una pistola puntata e un ricatto contro la Chiesa”.
Sono strumentali, distolgono dal vero significato dell’emendamento e lasciano intendere che il Papa la pensa come la Binetti. Fare quadrato contro un atto di civiltà non è certamente meritorio.
Giovedì scorso la senatrice Binetti non vota la fiducia al governo per un emendamento a tutela delle diverse tendenze sessuali. La teodem del PD, già Margherita, quella del cilicio, pensava forse di essere in Iran in compagnia di ligi seguaci di San Paolo quali Andreotti, Buttiglione, Mastella (minaccia di non votare…), Mantovani …
L’emendamento incriminato rialza le pene (abbassate dal governo precedente) previste in applicazione dell’articolo 13 del Trattato di Amsterdam, che così recita: il Consiglio “può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, l’età o le tendenze sessuali”. Anche da noi è meglio negare l’evidenza della discriminazione: si evitano rompicapi e anatemi… dalle alte sfere.
Buttiglione chiede se la sinistra “vuole mandare in galera San Paolo” per quanto affermò sull’omosessualità.
Certo da un europarlamentare, già ministro e filosofo in carica, ci si aspetta qualcosa di meglio e un’argomentazione più consistente.
Ricordo che Gesù nei vangeli non parla mai di omosessualità. E San Paolo, il fondatore della dottrina cella Chiesa, afferma: “Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni verso gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento (Rm 1, 26-27) ”.
Mentre Joseph Ratzinger, in qualità di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede scrive (Homosexualitatis Problema, 1986): “Occorre invece precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo da punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa deve essere considerata come oggettivamente disordinata”.
Non meritano commento le dichiarazioni dell’on. Mantovani (“…prevedere pene fino a tre anni per i cattolici che diffondono il pensiero del Papa”.), e della Lega che col solito colorito linguaggio vede nel provvedimento “una pistola puntata e un ricatto contro la Chiesa”.
Sono strumentali, distolgono dal vero significato dell’emendamento e lasciano intendere che il Papa la pensa come la Binetti. Fare quadrato contro un atto di civiltà non è certamente meritorio.
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