Ormai le stragi in Iraq non solo non si contano più, ma non fanno più notizia. Tanto che alcuni giornali non sprecano nemmeno una colonna, un trafiletto di una qualsiasi pagina interna.
Ormai è una guerra dimenticata, come tante. Lontana dal quotidiano di ognuno di noi (l’abbiamo rimossa o la vogliano rimuovere). Salvo tornare impetuosamente se coinvolge, più o meno drammaticamente, il nostro contingente.
Eppure in Iraq è strage continua. Sciiti, Curdi, Sanniti, Americani, Inglesi, Italiani è una guerra di tutti contro tutti. Chi ha potuto, chi ha capito per tempo l’intrallazzo, ha lasciato la triste brigata. Anche il nostro contingente lascerà, almeno così ha deciso il Parlamento.
Non si vede una qualsivoglia soluzione e l’ONU, così come è organizzata, è impotente in quanto condizionata nelle decisioni dal famoso diritto di veto imposto dai suoi membri permanenti.
Dopo tre e passa anni di guerra, il generale americano John Abizaid, parlando al Congresso (3 Agosto 2006), ha dichiarato: “Ritengo che la violenza tra gruppi etnici abbia raggiunto un livello mai visto finora. Se non verrà fermata, si potrebbe andare verso una guerra civile”. Meglio tardi che mai!
Finalmente il mondo sa da fonte certa che l’Iraq “potrebbe” andare verso una guerra civile.
Ma il mondo, nonostante l’informazione narcotizzata, sa da tempo, prima del generale (o il generale ha nascosto la realtà?), che in Iraq è in corso una vera guerra che fa da cornice ad un’altra guerra, quella che per il gen. Abizaid potrà combattersi.
Ammettere il rischio della guerra civile per l’amministrazione americana è come ammettere il fallimento di quell’operazione che ha spaccato l’Europa e ridotto in un cumulo di macerie una Nazione che per di più oggi corre il rischio di smembrarsi.
Unica soddisfazione aver posto fine al regime del sanguinario dittatore Saddam (prima foraggiato nella guerra contro l’Iran). Ci si chiede: quando toccherà al dittatore pachistano?
Certamente per una grande Nazione quale gli USA, non è facile ammettere non solo di non aver vinto ed “esportato” la democrazia, ma di aver attizzato il focolaio del terrorismo in una regione sotto controllo.
E’, comunque, auspicabile che nel breve venga messa in noto una strategia multilaterale che permetta agli USA di uscire con decoro dall’Iraq e all’Occidente di elaborare assieme ai Paesi arabi coinvolti un piano reale e sostenibile per la riappacificazione dell’Iraq e non solo, vista l’attuale grave situazione medio-orientale.
Leggo su “La Repubblica” del 24 Luglio 2006: ”Il martirio dell’Iraq si approfondisce: 100 è la media dei morti al giorno secondo le Nazioni Unite….Mai tanti attentati come all’inizio dello scorso Giugno, a dimostrazione che la guerra civile, anche se non dichiarata, è nei fatti innescata”.
Caro generale, di quale Iraq parla? In quale Iraq vivono i suoi soldati? Quale Iraq visita il segretario si stato Con dolenza Rice?Borgetto 12,08,06
13 agosto 2006
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