14 agosto 2010

Chissà cosa può succedere a don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana
12-08-2010 di Ippolito Mauri

Avevamo immaginato che nel cuore delle vacanze la scrittura potesse inventare realtà diverse dalla politica avvelenata che sfinisce le nostre speranze. Ecco i racconti di viaggio di chi sta viaggiando non pensando al ritorno. Ci siamo illusi di liberare la fantasia allontanando, per un attimo, i problemi della realtà perché la vacanza è una dimensione dello spirito: di chi guarda e racconta e di chi ascolta, aspettando. Insomma, un ferragosto così. Ma ecco che il grande corruttore, i suoi giornali e le sue tv, mobilitano le piazze, raccolgono firme contro l’avversario interno del libero partito, colpevole di una colpa privata. Non ha rubato soldi di stato. Non ha truffato la comunità distribuendo appalti agli amici. Non ha sovrapposto l’egoismo delle aziende (che non ha) agli interessi degli elettori. È protagonista di una storia opaca che ne avvilisce l’immagine, ma è una storia privata, estranea alle storie nere di chi ha corrotto il paese. Per non arrendersi ai numeri del Parlamento, il padrino-padrone fa strisciare un colpo di stato al momento sotterraneo, ricatto nelle mani di giornalisti-killer e politici dalla cortigianeria ben renumerata. Raccontare terre lontane quando la terra vicina è in fiamme è il paradosso di questa vacanza paradossale. La serenità del mare e della montagna o delle città vuote per chi non può partire, è la felicità a ore di un futuro prossimo minacciato da chi non ha ormai futuro politico ed è spaventatissimo del possibile futuro giudiziario. Nodi dopo anni al pettine e gioca la carte della disperazione che è anche la disperazione dei «collaborazionisti» che lo aiutano a galleggiare.

L’informazione normale subito la prima vittima. Racconta Mario Giordano, direttore de Il Giornale, costretto alle dimissioni per far posto a Vittorio Feltri; racconta del disgusto nello sfogliare dossier killer, più o meno veri, che mani neanche tanto misteriose (lui sa quali mani) facevano arrivare sul suo tavolo. Storie private da ingigantire, piccoli peccati da far scoppiare; insomma, pistole puntate su obbedienti tiepidi davanti ai dogmi del padrone unico del partito unico. Fare il giornalista vuol dire testimoniare la realtà non esasperarla nella falsificazione per gli ordini di qualcuno. Ecco perché chi racconta che il re é nudo e il re non vuol farlo sapere, può finire male.

Sono sicuro che don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia Cristiana, non nasconda altre vite nei cassetti, ma la minaccia resta. Spiegare da un pulpito trasparente che la «concezione padronale dello Stato ha ridotto ministri e politici a “servitori”. Semplici esecutori dei voleri del capo. Quali che siano. Poco importa che il paese vada allo sfascio. Non si ammettono repliche al pensiero unico. Guai a chi osa sfiorare il potere assoluto»; spiegare che i cortigiani esaltano lo splendore degli abiti di un sovrano che non li indossa; insomma, mentire ed essere smascherati da un prete che fa il giornalista, diventa insopportabile per il signore degli anelli. Ecco la rabbia di chi lo protegge incollato alla sua poltrona. Come è successo al povero direttore dell’Avvenire, si possono inventare tante cose e poi chiedere scusa, appena diventa impossibile andare avanti con l’imbroglio. Ma il risultato è quello sperato: fargli perdere il posto mentre la minaccia mafiosa lampeggia nell’aria: chi tocca il capo muore. Don Sciortino deve fare l’esame di coscienza: se ha dimenticato di pagare una multa, la paghi. Non si sa mai. Nel Brasile anni ’70, la dittatura militare nascondeva la violenza dietro il paravento del «Dio, patria e famiglia», che nelle abitudini di leader politici cattolici italiani può essere moltiplicato in tante «famiglie». E quando vescovi e preti del Brasile non sopportavano l’imbroglio finivano in galera con l’aiuto o il silenzio di giornali e tv, editori compiacenti dalla fede milionaria. Coyotes in doppiopetto, ma coyote senza incarichi politici. Il dramma Italia è questa differenza.

Un’estate fa, il ritorno di Feltri nel Giornale inventato da Montanelli doveva far capire cosa stava per succedere. Era rientrato nelle grazie del Cavaliere sbattendo sulla prima pagina di ‘Libero’ i seni nudi di Veronica Lario, signora Berlusconi, madre di tre ragazzi Berlusconi, moglie avvilita che raccomanda al marito di smetterla con le ragazze più giovani delle figlie. Fulmineo il soccorso di Feltri: signora desnuda: “Veronica velina pentita”. E il difensore della famiglia e dell’Italia cristiana capisce di aver bisogno di un tipo così. Non vuol tornare ai dolori del giovane Berlusconi primo ministro, Bossi che gli dà del mafioso in Parlamento e lo fa cadere. Chi attraversa la sua strada deve sapere cosa lo aspetta.

Prende forma l’operazione giornalisti Kgb. Qualche giorno fa, quando il governo si ferma a 299 voti, lontano dai 316 necessari alla maggioranza, Il Giornale di Feltri e Sallusti ha già in canna la prima, la seconda, la terza, la quarta e la quinta pagina dedicate al Fini traditore con casa sospetta a Montecarlo. L’agonia dell’egemonia di Arcore si nasconde attorno a pagina 9. Giornali e tv, Mediaset e fedeli Rai, non molleranno fino a quando Fini si nasconderà a Canossa. L’altro giornalista Kgb è il Belpietro ridens, devoto a Berlusconi nell’inventare lo scandalo Telekom Serbia nel quale ha coinvolto Prodi, Fassino e i protagonisti scomodi della sinistra. Per tre mesi, ogni mattina, Il Gionale-Belpietro pubblicava dossier giurati da un testimone finito in galera per simulazione: imbroglio gigantesco che ha avvilito la dignità di una commissione parlamentare. All’improvviso ogni notizia scompare. Chissà cos’hanno pensato i lettori.

Feltri aveva lasciato Il Giornale nel 1997 sbattendo la porta “quando ho capito che la famiglia Berlusconi aveva bisogno di un foglio di partito. È un mestiere che non so fare. Impossibile mettermi al servizio di qualcuno diverso dai lettori. Metà Forza Italia mi odiava. A Silvio stavo sulle palle perché una volta lo difendo e una volta lo punzecchio. Ma se il Giornale non andava male una ragione ci sarà e ne ho tenuto conto nella parcella”. Soldi, soldi. In realtà è andato via per aver ammesso sulle carte bollate che le inchieste che infangavano Di Pietro erano inventate di sana pianta. Confessione in prima pagina, campagna berlusconiana sbriciolata. Disinvoltura che lo accompagna da una poltrona all’altra. Quando era direttore dell’Indipendente esaltava quel Di Pietro che subito copre d’infamia appena arriva la chiamata di Berlusconi. Scriveva sull’Indipendente, anni Mani Pulite: “Ammesso che un magistrato abbia sbagliato, ecceduto, ciò non deve autorizzare i ladri e i tifosi dei ladri, gli avvoltoi del garantismo, a gettare anche la più piccola ombra sulla lodevole e non sufficientemente apprezzata attività di Borrelli e Di Pietro…Di Pietro non si è lasciato condizionare da critiche e minacce di mezzo mondo (diciamo dal regime del quale l’appesantito Bettino è campione suonato). Ha colpito senza fretta, nessuna impazienza di finire sui grandi giornali. Craxi ha commesso l’errore di spacciare i compagni suicidi come vittime di un complotto antisocialista. È una menzogna, onorevole”. Con quale imbarazzo può adesso guidare l’ammiraglia di Berlusconi con Stefania Craxi pilastro del governo? Tranquilli: un professionista così non trema mai. E non si imbarazza se Chiara Moroni, figlia del suicida di Craxi, con ingratitudine eroica, esce dalla file del partito della libertà «dove non si può aprire bocca» per cercare la libertà nelle truppe finiane. Il Giornale si indigna. Ed è solo l’inizio dell’Italia che ritroveremo dopo viaggi, racconti, vacanze. Se Chiara resiste sulla barricata può venir fuori di tutto. Vero o falso, cosa importa. Il mostro in prima pagina funziona sempre.

Ecco perché don Antonio Sciortino dovrebbe misurare le parole. Non sa com’è pericoloso ripetere che «se qualcosa è bianco dirò sempre bianco» e che non «mi arrampicherò sugli specchi per dimostrare che, guardando meglio, è grigio se non addirittura nero. Perché così vuole il capo. E così i servili replicanti devono ripetere». Gli agenti Betulla sono forse già al lavoro. Dalla vita di don Antonio ai bilanci delle Edizioni San Paolo, il linciaggio non può attendere. Auguri.

tratto da "domani"/arcoiris.tv

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