11 giugno 2009

FINE DI UN IDILLIO ?

Il Cavaliere, il padrone delle ferriere, l’ottimista forzato perché privo di progettualità (la crisi economica si risolve profondendo ottimismo, quando il companatico manca speriamo che la “provvidenza” ci soccorra), il presunto corruttore di Mills (ahi, ahi, toghe rosse! Lasciatelo in pace, il giudizio su di lui non è di questo mondo!), il più amato leader in circolazione nel globo terraqueo nonostante abbia strapazzato il Pd, ha fatto il primo flop.
Il Pdl rispetto alle politiche (si prendono sempre le ultime elezioni per un confronto serio) ha perso il 2,1%, circa 2,9 milioni di voti, che, in un anno di governo incontrastato non sono pochi.
Ad onor del vero, dobbiamo dire che ha conquistato parecchie province e disputerà dei ballottaggi, ma le funeste previsioni per la democrazia, che sempre asmatica rimane, si sono alquanto diradate.
Anche il suo rapporto personale, d’amore, con gli italiani sembra declinare. Le sue preferenze, infatti, rappresentano appena il 25% ( il 35% nel 2004) rispetto ai voti del partito, solo 2.705.791.
Per la prima volta ha pure sbagliato le previsioni, non raggiungendo il Pdl il risultato più volte gridato nelle piazze e nelle reti Media-Rai: è stato raggiunto il 35,3% rispetto alle attese che andavano dal 40 al 46%. Un buon risultato, certamente, ma lontano dalle altrettanto certe potenzialità del Cavaliere.
Ma a molti italiani oggi va bene così, in attesa di tempi migliori per il nostro Paese.
Ci contentiamo di poco, purché il Pd riparta, dandosi una struttura in grado di penetrare nell’opinione pubblica in modo capillare, facendo proposte serie perché possibili e smascherando con forza, senza mai abbassare la guardia, la politica degli annunci che sta impoverendo le famiglie al di là della crisi mondiale che ci avviluppa; soprattutto, bandendo le guerre interne per la gestione dello stesso, occorre che i “vecchi” dirigenti lascino il passo alle nuove generazioni.
Queste elezioni mettono in evidenza almeno due problemi politici fondamentali per le future dissertazioni sul bipolarismo, su cui Veltroni si è giocata la carriera politica e per il quale ha contribuito all’esclusione della sinistra antagonista dal parlamento.
Il bipartitismo non è cosa compiuta. Esaminando, infatti, i risultati delle Europee è facile vedere come ben tre forze politiche sono in grado di determinare il governo del Paese: la Lega, l’Idv e l’Udc hanno raggiunto buone percentuali di consenso, rispettivamente il 10,2, l’8 il 6,5.
I due più grandi partiti, nati comunque da due fusioni, non sono in grado di governare da soli. Così il Pd, se vuole pensare ad un ritorno al governo, deve lasciare la solitudine in cui l’ha cacciato Veltroni e riprendere i contatti almeno con Sl e trovare punti d’incontro programmatici con la sinistra di Diliberto e Ferrero. Lasciare questi voti, il 6,5, in libertà sarebbe un delitto politico e detonerebbe superficialità e arroganza e lascerebbe insoluto il secondo problema.
Infine, rivestirà grande importanza la questione morale. Il Pd deve dare al cittadino la certezza che governerà l’Italia nel rispetto delle regole costituzionali e degli avversari politici, nella convinzione della precarietà del suo mandato che non sarà mai definitivo.
Deve dire chiaramente che casserà tutte le leggi ad personam, la più odiosa delle quali e il lodo Alfano, tutte le leggi vergogna, che riprenderà la lotta all’evasione, che ogni riforma sarà fatta nel rispetto delle minoranze che hanno uguale diritto di rappresentanza e, soprattutto deve ricordarsi che l’Italia è uno stato laico.

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