Su quello che ostinatamente i politici e i commentatori continuano a chiamare “lodo Alfano costituzionale”, ma potrebbero chiamare, molto più realisticamente per il cittadino distratto “lodo Berlusconi c.” o “lodo Silvio c.” o “lodo Fini c.” o, perché no, “lodo Casini c.”, ho già scritto, ma voglio fare qualche integrazione.
Innanzitutto, molti l’hanno già detto e scritto, ma voglio ripeterlo, repetita iuvant, il termine lodo è usato molto scorrettamente … in modo approssimativo, come approssimativa è la politica finora espressa dal governo in carica.
Lodo (dal dizionario Garzanti): “Decisione emessa collegialmente e per iscritto da arbitri di una vertenza, che diventa esecutiva per decreto del pretore”.
La definizione è fin troppo chiara.
Degli “arbitri” sono chiamati a dirimere una vertenza.
Quale vertenza e tra chi?
La vertenza la conosciamo abbastanza bene, quindici anni di discussioni e di litigi istituzionali: il presidente del consiglio ha, per essere più uguale del resto dei cittadini italiani, bisogno di uno scudo dalla giustizia (e le leggi ad personam? … lasciamo perdere!), insomma non può essere giudicato nemmeno per i reati commessi ante, cioè prima della sua discesa in politica, e che tuttora sono in attesa di sentenza o … di prescrizione.
Il mio amico mi fa n0tare che sarebbe più semplice per Berlusconi andare in Tribunale e farsi giudicare, visto che si proclama innocente.
- Vuol dire, rispondo, che il “nostro” presidente ama il percorso più lungo e più irto di ostacoli. Risultare vincitore, combattendo e coinvolgendo parlamento e Paese, gli dà più soddisfazione.
Conosciuto l’oggetto della vertenza, ora occorre conoscere “tra chi”. Le parti in causa sono Silvio Berlusconi, ma questo lo sanno anche i bambini, e lo Stato. Si! Proprio lo Stato, anche se lo stesso Berlusconi e i suoi “bravi (Manzoni non c’entra)” legali, affermano che la controparte sono i giudici, meglio le toghe colorate di rosso, che qualche volta sono indicati come sovversivi.
Niente di strano, ognuno può avere le sue ragioni. Basta dimostrarle nelle sedi istituzionali competenti.
Abbiamo individuato l’oggetto della vertenza e le parti in causa, ora tocca solo agli arbitri, perché la decisione ancora non è stata presa … almeno ufficialmente (lodo Alfano 1, quello bocciato dalla Consulta, e l’attuale legittimo impedimento, sono stati il primo bocciato e il secondo è in scadenza), cioè con legge costituzionale.
Gli arbitri scelti dall’equipe difensiva del presidente del Consiglio sono il ministro della giustizia Alfano e il parlamento, ma solo una parte, la maggioranza e l’Udc di Casini.
Ora si entra in confusione e in evidente conflitto d’interesse. Una parte del parlamento diventa controparte del ministro Alfano ed entrambi sono alla ricerca del giusto (?) giudizio. Alfano fa la proposta e il loro parlamento l’approva. E l’opposizione, che ci sta a fare? Meglio l’altra parte del parlamento quale ruolo è chiamata ad assumere?
Penso che il parlamento non sia abilitato a giudicare nessuno, né tantomeno può emettere delle leggi anticostituzionali, né delegittimare la magistratura, né evitare il giudizio della legge a un cittadino italiano, solo per il fatto di essere il presidente del Consiglio.
Il lodo, dunque, lodo non è. È un passapartout che umilia la giustizia e i cittadini rispettosi della Costituzione. Invece di ricorrere a elucubrazioni puerili, la maggioranza farebbe più bella figura se dichiarasse che il “lodo” serve al loro presidente che non deve essere giudicato, assumendosi tutte le responsabilità del caso.
24 ottobre 2010
20 ottobre 2010
UNA POLITICA PICCOLA PICCOLA n° 5
Non sono né un giurista né un costituzionalista, ma un cittadino che crede nell’uguaglianza di tutti i cittadini come sancisce l’art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. L’emendamento al cosiddetto “Lodo (?) Alfano Costituzionale” approvato alla Commissione affari costituzionali del Senato col voto favorevole di tutta la maggioranza, Fini e Lombardo compresi, non va in questa direzione, ma rende il cittadino Berlusconi più uguale degli altri, mortificando la Costituzione ma, soprattutto, tutti i cittadini che rispettano la legge.
Come il condono, poi scudo fiscale, che dà il diritto di evadere le tasse, permettendo agli evasori di, allo stesso modo il “lodo” dà il diritto a un’unica persona, anche se votato (o indicato, come si compiace lo stesso Berlusconi di dire) dal popolo di essere più uguale egli altri.
L’emendamento afferma che “i processi nei confronti del presidente della Repubblica o del presidente del Consiglio, anche relativi a fatti antecedenti all’assunzione della carica, possono essere sospesi con deliberazione parlamentare”.
Risulta evidente una prima anomalia grande come una casa: il coinvolgimento del presidente della Repubblica, per rendere il “lodo” più credibile e pubblicizzarlo meglio in tutte le sedi Media-rai e nella stampa amica come al di sopra della disputa su Berlusconi. A tal proposito è bene, però, puntualizzare che il presidente della Repubblica non ha bisogno di nessun lodo, poiché l’art. 90 della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”.
Il voler coinvolgere il presidente della Repubblica potrebbe nascondere l’elezione di Berlusconi a tale carica senza dover rispondere ad accuse d’incompatibilità: nessuna condanna peserebbe sulla sua persona. Le condizioni alla scadenza del mandato di Napolitano ci sono tutte. Altri sette anni d’immunità! Poi si vedrà!
L’altra anomalia truffaldina riguarda la retroattività del “lodo”. I reati che riguardano il presidente del Consiglio sono stati commessi da questi prima che ricoprisse questa carica e non nell’esercizio delle sue funzioni. Se sono stati commessi prima, non riguardano l’esercizio delle sue funzioni, ergo: dovrebbe essere giudicato come ogni cittadino in base al principio di uguaglianza e non sfuggire al giudizio. Dare l’esempio e fare emergere l’infondatezza delle accuse, considerando che si proclama innocente e vittima, porterebbe a far ricredere i cittadini nei suoi riguardi e alla valorizzazione della sua immagine.
Dichiara la finiana Bongiorno, paladina della legalità assieme a Fini e alla Fel, che “la finalità (della retroattività) è quella di salvaguardare la serenità nello svolgimento delle funzioni […] che, ovviamente, potrebbe essere compromessa nel caso in cui non fossero sospesi i processi per fatti antecedenti all’assunzione della carica”.
Berlusconi non è stato obbligato, onorevole Bongiorno a scendere in politica né a fare il presidente del Consiglio. Se l’ha fatto, era cosciente delle regole della Repubblica o non conosceva, fatto grave, la Costituzione. Sia coerente col principio di legalità sbandierato ai quattro venti da lei, da Fini e dalla Fel! Ma la ragion di partito, lo sappiamo, è più forte … i cittadini capiranno … Così, non è cambiato – ha dato solo l’impressione – nulla: un altro gruppo di potere, altri dipendenti pubblici che giocano con i cittadini!
Casini, altro paladino della legalità che indica Di Pietro come giustizialista, ha dato la sua disponibilità a votare il lodo e, come facevano i democristiani, che a tanto mai arrivarono, fa precedere il suo assenso da una circonlocuzione che sembra uscire dalla bocca di Crozza (mi scusi il comico): “Anomalia, accettabile soluzione sui generis […] perché nostra intenzione è dare un segnale di stabilità e tentare di rimuovere il macigno (!) dei processi del premier una volta per tutte.”. Questo è parlar chiaro!
Per Bersani “è una vergogna, faremo le barricate”. Penso che questa sia un’occasione unica per l’opposizione di scendere in piazza … in tutte le piazze d’Italia e sottolineare lo scempio che questa maggioranza vuole fare della legalità. Deve scendere tra i cittadini e incazzarsi, civilmente, ma incazzarsi e non permettere il vilipendio delle istituzioni. Troveranno tanta gente dalla loro parte.
Come il condono, poi scudo fiscale, che dà il diritto di evadere le tasse, permettendo agli evasori di, allo stesso modo il “lodo” dà il diritto a un’unica persona, anche se votato (o indicato, come si compiace lo stesso Berlusconi di dire) dal popolo di essere più uguale egli altri.
L’emendamento afferma che “i processi nei confronti del presidente della Repubblica o del presidente del Consiglio, anche relativi a fatti antecedenti all’assunzione della carica, possono essere sospesi con deliberazione parlamentare”.
Risulta evidente una prima anomalia grande come una casa: il coinvolgimento del presidente della Repubblica, per rendere il “lodo” più credibile e pubblicizzarlo meglio in tutte le sedi Media-rai e nella stampa amica come al di sopra della disputa su Berlusconi. A tal proposito è bene, però, puntualizzare che il presidente della Repubblica non ha bisogno di nessun lodo, poiché l’art. 90 della Costituzione recita: “Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”.
Il voler coinvolgere il presidente della Repubblica potrebbe nascondere l’elezione di Berlusconi a tale carica senza dover rispondere ad accuse d’incompatibilità: nessuna condanna peserebbe sulla sua persona. Le condizioni alla scadenza del mandato di Napolitano ci sono tutte. Altri sette anni d’immunità! Poi si vedrà!
L’altra anomalia truffaldina riguarda la retroattività del “lodo”. I reati che riguardano il presidente del Consiglio sono stati commessi da questi prima che ricoprisse questa carica e non nell’esercizio delle sue funzioni. Se sono stati commessi prima, non riguardano l’esercizio delle sue funzioni, ergo: dovrebbe essere giudicato come ogni cittadino in base al principio di uguaglianza e non sfuggire al giudizio. Dare l’esempio e fare emergere l’infondatezza delle accuse, considerando che si proclama innocente e vittima, porterebbe a far ricredere i cittadini nei suoi riguardi e alla valorizzazione della sua immagine.
Dichiara la finiana Bongiorno, paladina della legalità assieme a Fini e alla Fel, che “la finalità (della retroattività) è quella di salvaguardare la serenità nello svolgimento delle funzioni […] che, ovviamente, potrebbe essere compromessa nel caso in cui non fossero sospesi i processi per fatti antecedenti all’assunzione della carica”.
Berlusconi non è stato obbligato, onorevole Bongiorno a scendere in politica né a fare il presidente del Consiglio. Se l’ha fatto, era cosciente delle regole della Repubblica o non conosceva, fatto grave, la Costituzione. Sia coerente col principio di legalità sbandierato ai quattro venti da lei, da Fini e dalla Fel! Ma la ragion di partito, lo sappiamo, è più forte … i cittadini capiranno … Così, non è cambiato – ha dato solo l’impressione – nulla: un altro gruppo di potere, altri dipendenti pubblici che giocano con i cittadini!
Casini, altro paladino della legalità che indica Di Pietro come giustizialista, ha dato la sua disponibilità a votare il lodo e, come facevano i democristiani, che a tanto mai arrivarono, fa precedere il suo assenso da una circonlocuzione che sembra uscire dalla bocca di Crozza (mi scusi il comico): “Anomalia, accettabile soluzione sui generis […] perché nostra intenzione è dare un segnale di stabilità e tentare di rimuovere il macigno (!) dei processi del premier una volta per tutte.”. Questo è parlar chiaro!
Per Bersani “è una vergogna, faremo le barricate”. Penso che questa sia un’occasione unica per l’opposizione di scendere in piazza … in tutte le piazze d’Italia e sottolineare lo scempio che questa maggioranza vuole fare della legalità. Deve scendere tra i cittadini e incazzarsi, civilmente, ma incazzarsi e non permettere il vilipendio delle istituzioni. Troveranno tanta gente dalla loro parte.
15 ottobre 2010
UNA POLITICA PICCOLA PICCOLA n°4
Il direttore generale della Tv Ma … si è sospeso il conduttore Michele Santoro per dieci giorni, tanto quanto basta, sarà stato sicuramente un caso, per non mandare in onda ben due puntate di “Anno zero”, la trasmissione notoriamente invisa al Pdl.
Santoro ha offeso masi che, detto per inciso, ricava il suo ... scarso stipendio (a proposito, a quanto ammonta?) dal canone … ergo, è un nostro dipendente che, con la sua decisione paradossale, “ha offeso” tutti gli abbonati. Quale colpa hanno gli abbonati se non quella di dare a “Anno zero” uno share tanto elevato?
Ma il compito di un dg non è quello di trovare misure atte a fare aumentare l’ascolto e, quindi, con la pubblicità, aumentare gli introiti?
La punizione non è rivolta, quindi a Santoro, che poteva essere punito diversamente, per esempio con una trattenuta sullo stipendio, ma all’azienda e agli utenti.
Chi si avvantaggerà di una tale scellerata decisione, se non la concorrenza che potrà usufruire della pubblicità in libera uscita?
Sospendere “Anno zero” per due puntate, perché di questo si tratta, secondo me è un atto politico e non aziendale, perché, se così non fosse, il dg Masi, nominato dal governo, dovrebbe prendere provvedimenti anche nei confronti del direttore dl tg1 Minzolin, con i suoi editoriali di parte o le informazioni non corrette (ricordo ancora l’assoluzione di Mills). Se non l’ha fatto è perché Masi è travolto da un dubbio atroce: non è che sospendendo Minzolin, non andrà in onda per la durata della sospensione il tg1?
Intanto il tg1 ci pensa da sé (?) ad autopunirsi, perdendo un consistente numero di ascoltatori.
Quando finirà, mi chiedo, questo regime soft, che ormai ha espanso i suoi tentacoli su ogni aspetto della vita pubblica? Quando i cittadini ritroveranno la forza d’indignarsi? Quando i politici che si dicono d’opposizione smetteranno di proporre uno spezzatino di proposte e si uniranno proponendo al Paese un sogno da realizzare?
Speriamo che, allora, n sia troppo tardi!
Distruggere qualcosa, diceva mio nonno, è semplice, si fa presto, ricostruire è faticoso e lungo.
Santoro ha offeso masi che, detto per inciso, ricava il suo ... scarso stipendio (a proposito, a quanto ammonta?) dal canone … ergo, è un nostro dipendente che, con la sua decisione paradossale, “ha offeso” tutti gli abbonati. Quale colpa hanno gli abbonati se non quella di dare a “Anno zero” uno share tanto elevato?
Ma il compito di un dg non è quello di trovare misure atte a fare aumentare l’ascolto e, quindi, con la pubblicità, aumentare gli introiti?
La punizione non è rivolta, quindi a Santoro, che poteva essere punito diversamente, per esempio con una trattenuta sullo stipendio, ma all’azienda e agli utenti.
Chi si avvantaggerà di una tale scellerata decisione, se non la concorrenza che potrà usufruire della pubblicità in libera uscita?
Sospendere “Anno zero” per due puntate, perché di questo si tratta, secondo me è un atto politico e non aziendale, perché, se così non fosse, il dg Masi, nominato dal governo, dovrebbe prendere provvedimenti anche nei confronti del direttore dl tg1 Minzolin, con i suoi editoriali di parte o le informazioni non corrette (ricordo ancora l’assoluzione di Mills). Se non l’ha fatto è perché Masi è travolto da un dubbio atroce: non è che sospendendo Minzolin, non andrà in onda per la durata della sospensione il tg1?
Intanto il tg1 ci pensa da sé (?) ad autopunirsi, perdendo un consistente numero di ascoltatori.
Quando finirà, mi chiedo, questo regime soft, che ormai ha espanso i suoi tentacoli su ogni aspetto della vita pubblica? Quando i cittadini ritroveranno la forza d’indignarsi? Quando i politici che si dicono d’opposizione smetteranno di proporre uno spezzatino di proposte e si uniranno proponendo al Paese un sogno da realizzare?
Speriamo che, allora, n sia troppo tardi!
Distruggere qualcosa, diceva mio nonno, è semplice, si fa presto, ricostruire è faticoso e lungo.
14 ottobre 2010
UNA POLITICA PICCOLA PICCOLA n° 3
L’ex ministro dell’interno del precedente governo Berlusconi, nella sua attuale veste di presidente della Commissione Antimafia ha lanciato un allarme: “Alle ultime amministrative emerge una certa disinvoltura nella formazione delle liste, gremite di persone che non sono certo degne di rappresentare nessuno”.
In numero esatto degli “indegni” non è dato sapere perché ben trenta prefetture, incaricate di mandare le informazioni relative, non hanno risposto o l’hanno fatto in maniera non adeguata.
Pisanu afferma che i prefetti saranno chiamati a dare “una risposta entro una settimana”. In caso contrario saranno i prefetti a presentarsi in commissione.
Le prefetture che non hanno risposto, per amor di verità, sono Agrigento, Bolzano, Catania Mantova e Messina. Questo, tuttavia, non significa che le tutte le altre siano esenti da colpe gravi.
Sarà l’inizio del balletto: ogni soggetto darà ad altri la colpa del ritardo o della mancata di sufficienti dati. I prefetti hanno fatto già pervenire una nota ufficiale nella quale sostengono di aver chiesto chiarimenti al ministro Maroni e di aver tenuto conto di una circolare dello stesso nel rispondere alla Commissione.
La situazione resa nota dalla Commissione è inquietante.
Le elezioni amministrative sono il primo gradino della scala della politica, dove gli amministratori sono conosciuti nella loro attività e moralità e la formazione delle liste dovrebbe essere fondata sulla trasparenza.
Un governo responsabile e ligio al rispetto della legalità dovrebbe avere il compito di fare pulizia, senza infingimenti e con estrema sollecitudine senza tener conto dell’appartenenza politica degli indegni. Saranno poi i cittadini a non votarli.
Che cosa possiamo aspettarci da un governo che ha alcuni ministri indagati, come anche alcuni parlamentari?
L’altro giorno in TV, non ricordo in quale trasmissione, un sottosegretario del Pdl si appellava al garantismo, sostenendo che esiste la presunzione d’innocenza fino a prova contraria. In parole povere, fino al terzo grado di giudizio nessuno è colpevole e, quindi, può partecipare al governo delle istituzioni, siano esse comunali no nazionali.
Certo, nessuno vuole cancellare le garanzie di legge per gli imputati. Ma il presunto innocente, alla fine potrà rivelarsi un colpevole. E a questo “ex presunto” noi abbiamo affidato l’amministrazione della cosa pubblica. Questo non è giustizialismo ma buon senso. Nessuno vuol giudicare colpevole un indagato, ma per eliminare ogni sospetto, i partiti politici dovrebbero dotarsi di un codice etico (sarebbe meglio una legge) che vieti agli indagati un momentaneo, fino alla dimostrazione dell’innocenza, allontanamento dalla vita politica istituzionale.
Il garantismo spesso nasconde l’impunità.
Non ci resta che sperare in un ritrovato senso dello Stato.
In numero esatto degli “indegni” non è dato sapere perché ben trenta prefetture, incaricate di mandare le informazioni relative, non hanno risposto o l’hanno fatto in maniera non adeguata.
Pisanu afferma che i prefetti saranno chiamati a dare “una risposta entro una settimana”. In caso contrario saranno i prefetti a presentarsi in commissione.
Le prefetture che non hanno risposto, per amor di verità, sono Agrigento, Bolzano, Catania Mantova e Messina. Questo, tuttavia, non significa che le tutte le altre siano esenti da colpe gravi.
Sarà l’inizio del balletto: ogni soggetto darà ad altri la colpa del ritardo o della mancata di sufficienti dati. I prefetti hanno fatto già pervenire una nota ufficiale nella quale sostengono di aver chiesto chiarimenti al ministro Maroni e di aver tenuto conto di una circolare dello stesso nel rispondere alla Commissione.
La situazione resa nota dalla Commissione è inquietante.
Le elezioni amministrative sono il primo gradino della scala della politica, dove gli amministratori sono conosciuti nella loro attività e moralità e la formazione delle liste dovrebbe essere fondata sulla trasparenza.
Un governo responsabile e ligio al rispetto della legalità dovrebbe avere il compito di fare pulizia, senza infingimenti e con estrema sollecitudine senza tener conto dell’appartenenza politica degli indegni. Saranno poi i cittadini a non votarli.
Che cosa possiamo aspettarci da un governo che ha alcuni ministri indagati, come anche alcuni parlamentari?
L’altro giorno in TV, non ricordo in quale trasmissione, un sottosegretario del Pdl si appellava al garantismo, sostenendo che esiste la presunzione d’innocenza fino a prova contraria. In parole povere, fino al terzo grado di giudizio nessuno è colpevole e, quindi, può partecipare al governo delle istituzioni, siano esse comunali no nazionali.
Certo, nessuno vuole cancellare le garanzie di legge per gli imputati. Ma il presunto innocente, alla fine potrà rivelarsi un colpevole. E a questo “ex presunto” noi abbiamo affidato l’amministrazione della cosa pubblica. Questo non è giustizialismo ma buon senso. Nessuno vuol giudicare colpevole un indagato, ma per eliminare ogni sospetto, i partiti politici dovrebbero dotarsi di un codice etico (sarebbe meglio una legge) che vieti agli indagati un momentaneo, fino alla dimostrazione dell’innocenza, allontanamento dalla vita politica istituzionale.
Il garantismo spesso nasconde l’impunità.
Non ci resta che sperare in un ritrovato senso dello Stato.
13 ottobre 2010
UNA POLITICA PICOLA PICCOLA n°2
Il presidente della Repubblica ha esternato … ancora. Intervenendo al Forum internazionale per lo sviluppo della giustizia elettronica (di certo il forum è tenuto in Italia ma non riguarda l’Italia, visto che da noi mancano perfino i soldi per i toner o per le fotocopie) ha detto che “occorrono scelte coraggiose che semplifichino le procedure […], che diano piena attuazione ai principi del giusto processo e riducano la durata dei procedimenti”. Concetti così semplici da sembrare retorici, ma che mettono il dito sulla piaga, in un Paese che di piaghe aperte ne ha tante.
Che la giustizia nel nostro Paese somigli a un pachiderma vecchio e stanco è evidente, com’è evidente che tutte le volte che i politici vi mettono mano combinano guai peggiori. Il paradosso è che il parlamento è sovente investito da leggi che riguardano la giustizia … non degli italiani ma di “un italiano”, quello che è più eguale di tutti.
Prendiamo il cosiddetto processo breve. Non entro nei particolari tecnici di equità costituzionale perché e materia dei tecnici e del parlamento nella sua totalità e non di una parte, pur maggioritaria, in quanto la giustizia interessa tutti gli italiani e, quindi, deve essere aperto al contributo anche delle opposizioni, attraverso un vero dibattito, senza voti di fiducia o decreti di necessità.
Non c’è nessun italiano che sia contrario ad accorciare i tempi della politica, ma senza che ciò renda, sembra un gioco di parole, giustizia a un innocente, riducendo, invece dei tempi, la prescrizione che riguarda esclusivamente il colpevole. Ma per rendere efficiente la giustizia occorrono investimenti e una riorganizzazione dei Tribunali. Tremonti, il deus dell’economia italiana, fiscalista di successo e ministro dell’economia, troverà i soldi o, come il solito, inventerà un più facile slogan, per dire e non fare?
Il governo dichiara in ogni occasione che il testo della legge del processo breve è fermo in parlamento, riversando la colpa sulle opposizioni e su parte della maggioranza (i finiani). Ma non è così. Il contendere riguarda la norma transitoria, fatta apposta per salvare dai processi il presidente del consiglio, mettendo fine a centinaia di migliaia di processi tuttora in corso dai quali le parti lese attendono “giustizia”.
E se fosse il presidente del consiglio a fare un passo indietro, recandosi in tribunale a dimostrare la sua innocenza e il fumus persecutionis?
Taglieremmo la testa al toro e ci allineeremmo alle vere democrazie occidentali, dove i premier e i ministri non godono di nessun salvacondotto giudiziario.
Che la giustizia nel nostro Paese somigli a un pachiderma vecchio e stanco è evidente, com’è evidente che tutte le volte che i politici vi mettono mano combinano guai peggiori. Il paradosso è che il parlamento è sovente investito da leggi che riguardano la giustizia … non degli italiani ma di “un italiano”, quello che è più eguale di tutti.
Prendiamo il cosiddetto processo breve. Non entro nei particolari tecnici di equità costituzionale perché e materia dei tecnici e del parlamento nella sua totalità e non di una parte, pur maggioritaria, in quanto la giustizia interessa tutti gli italiani e, quindi, deve essere aperto al contributo anche delle opposizioni, attraverso un vero dibattito, senza voti di fiducia o decreti di necessità.
Non c’è nessun italiano che sia contrario ad accorciare i tempi della politica, ma senza che ciò renda, sembra un gioco di parole, giustizia a un innocente, riducendo, invece dei tempi, la prescrizione che riguarda esclusivamente il colpevole. Ma per rendere efficiente la giustizia occorrono investimenti e una riorganizzazione dei Tribunali. Tremonti, il deus dell’economia italiana, fiscalista di successo e ministro dell’economia, troverà i soldi o, come il solito, inventerà un più facile slogan, per dire e non fare?
Il governo dichiara in ogni occasione che il testo della legge del processo breve è fermo in parlamento, riversando la colpa sulle opposizioni e su parte della maggioranza (i finiani). Ma non è così. Il contendere riguarda la norma transitoria, fatta apposta per salvare dai processi il presidente del consiglio, mettendo fine a centinaia di migliaia di processi tuttora in corso dai quali le parti lese attendono “giustizia”.
E se fosse il presidente del consiglio a fare un passo indietro, recandosi in tribunale a dimostrare la sua innocenza e il fumus persecutionis?
Taglieremmo la testa al toro e ci allineeremmo alle vere democrazie occidentali, dove i premier e i ministri non godono di nessun salvacondotto giudiziario.
03 ottobre 2010
UNA POLITICA PICCOLA PICCOLA
Ormai è da più di un mese che non scrivo sul blog. Mi scuso con i miei lettori, augurandomi che ritornino.
La ragione è la mediocrità della politica come conseguenza dell’insufficienza culturale e morale dei politici, dei tuttologi del “fare” che mancano di competenze di base specifiche, che, proprio come certi alunni, prediligono una sola “materia”: l’esercizio del potere incontrollato e non punibile. Per realizzare ciò si esercitano nell’arte della retorica relativistica, cambiando il significato della terminologia.
Il termine “giustizia” è inteso non più come “valore etico-sociale in base al quale si riconoscono e si rispettano i diritti altrui come si vuole che siano riconosciuti e rispettati i propri”, ma come una strada per disporre della propria impunità infinita in barba a leggi già esistenti (ne possono fare di nuove, abbassando i tempi della prescrizione, riducendo, ma di fatto, eliminando le intercettazioni, introducendo il processo breve, nel suo valore assoluto accettabile, ma facendolo precedere da una “nota transitoria” che esaurisce i processi cui è coinvolto il presidente del consiglio, ricorrendo il legittimo impedimento per la “casta“ del Cda dello stato e del suo ad …) e alla legge fondamentale che è la “Costituzione”. Il termine “giustizialismo” è usato dal potere per indicare quanti chiedono il rispetto della “giustizia” e delle regole uguali per tutti, è diventato, quindi, moralismo forcaiolo (!). Il mercato dei parlamentari, non tenendo conto delle dichiarazioni di quanti hanno rifiutato di prostituirsi, una normale e giusta riconsiderazione delle convinzioni ideologiche.
Così, le necessità della casta nel creare quella rete legislativa che la metta al riparo da ogni intervento della giustizia, legittimando abusi e prevaricazioni, distruggendo il rapporto consolidato tra i vari ordini dello Stato, diventa necessità dei cittadini … come, per esempio, fossero sempre intercettati, come in un grande fratello e giustamente chiedessero il rispetto della privacy.
Solo mistificazioni e furberie da ragazzini capricciosi, ma che stanno procurando disastri al vivere assieme con la “furbizia” innalzata a dea nostra.
Speriamo che il popolo italiano si svegli in tempo e ponga fine a questa marcia verso la rovina, perché è facile distruggere una costruzione, mentre è più difficile ricostruirla.
La deriva leghista
Uil sindaco leghista di Adro ha inaugurato una scuola dedicandola all’ideologo Miglio e marchiandola con centinaia di simboli della Lega. Le autorità locali e nazionali hanno tardato non molto a obbligare il sindaco a rimuovere detti simboli.
“Se me lo chiede Bossi, assicura, si farà”.
Mi ricordo che Bossi è il ministro della Repubblica Italiana, quello dal pollice diritto e dalla traduzione dell’acronimo SPQR, un’autorità etica … un padre della patria … padania … un altro acronimo intraducibile ancorché inesistente.
Polemica dopo polemica, talk show dopo talk show, il Consiglio comunale, riunito a porte chiuse delibera che i simboli saranno tolti, quando si sarà appurato chi pagherà la somme occorrente, ben trentamila euro.
La domanda, quindi è la seguente: Chi pagherà la rimozione dei simboli, che nel frattempo continueranno a fare bella mostra di sé?
La risposta è, se non fossimo in Italia, molto semplice: il sindaco e la giunta, in quanto loro è stata la decisione.
Ma siamo in Italia, dove è impossibile individuare responsabilità e colpe dei pubblici amministratori, specie se al governo nazionale siedono i compagni del sindaco.
Il guaio è che ai leghisti e al suo massimo rappresentante in questi ultimi anni è stato permesso di tutto e tutto è stato perdonato come espressione folkloristica, mentre le istituzione venivano vilipese, a partire dalla bandiera, e indebolite.
Bossi è stato costretto, da un sommovimento nazionale (molti ministri e uomini politici e di cultura, hanno fatto finta di non sentire, considerando le dichiarazioni, una gag, come nel caso della ministra per/della gioventù Meloni) e da una mozione di sfiducia presentata dal Pd a chiedere scusa (finalmente qualcuno si è svegliato da un lungo torpore!).
La ragione è la mediocrità della politica come conseguenza dell’insufficienza culturale e morale dei politici, dei tuttologi del “fare” che mancano di competenze di base specifiche, che, proprio come certi alunni, prediligono una sola “materia”: l’esercizio del potere incontrollato e non punibile. Per realizzare ciò si esercitano nell’arte della retorica relativistica, cambiando il significato della terminologia.
Il termine “giustizia” è inteso non più come “valore etico-sociale in base al quale si riconoscono e si rispettano i diritti altrui come si vuole che siano riconosciuti e rispettati i propri”, ma come una strada per disporre della propria impunità infinita in barba a leggi già esistenti (ne possono fare di nuove, abbassando i tempi della prescrizione, riducendo, ma di fatto, eliminando le intercettazioni, introducendo il processo breve, nel suo valore assoluto accettabile, ma facendolo precedere da una “nota transitoria” che esaurisce i processi cui è coinvolto il presidente del consiglio, ricorrendo il legittimo impedimento per la “casta“ del Cda dello stato e del suo ad …) e alla legge fondamentale che è la “Costituzione”. Il termine “giustizialismo” è usato dal potere per indicare quanti chiedono il rispetto della “giustizia” e delle regole uguali per tutti, è diventato, quindi, moralismo forcaiolo (!). Il mercato dei parlamentari, non tenendo conto delle dichiarazioni di quanti hanno rifiutato di prostituirsi, una normale e giusta riconsiderazione delle convinzioni ideologiche.
Così, le necessità della casta nel creare quella rete legislativa che la metta al riparo da ogni intervento della giustizia, legittimando abusi e prevaricazioni, distruggendo il rapporto consolidato tra i vari ordini dello Stato, diventa necessità dei cittadini … come, per esempio, fossero sempre intercettati, come in un grande fratello e giustamente chiedessero il rispetto della privacy.
Solo mistificazioni e furberie da ragazzini capricciosi, ma che stanno procurando disastri al vivere assieme con la “furbizia” innalzata a dea nostra.
Speriamo che il popolo italiano si svegli in tempo e ponga fine a questa marcia verso la rovina, perché è facile distruggere una costruzione, mentre è più difficile ricostruirla.
La deriva leghista
Uil sindaco leghista di Adro ha inaugurato una scuola dedicandola all’ideologo Miglio e marchiandola con centinaia di simboli della Lega. Le autorità locali e nazionali hanno tardato non molto a obbligare il sindaco a rimuovere detti simboli.
“Se me lo chiede Bossi, assicura, si farà”.
Mi ricordo che Bossi è il ministro della Repubblica Italiana, quello dal pollice diritto e dalla traduzione dell’acronimo SPQR, un’autorità etica … un padre della patria … padania … un altro acronimo intraducibile ancorché inesistente.
Polemica dopo polemica, talk show dopo talk show, il Consiglio comunale, riunito a porte chiuse delibera che i simboli saranno tolti, quando si sarà appurato chi pagherà la somme occorrente, ben trentamila euro.
La domanda, quindi è la seguente: Chi pagherà la rimozione dei simboli, che nel frattempo continueranno a fare bella mostra di sé?
La risposta è, se non fossimo in Italia, molto semplice: il sindaco e la giunta, in quanto loro è stata la decisione.
Ma siamo in Italia, dove è impossibile individuare responsabilità e colpe dei pubblici amministratori, specie se al governo nazionale siedono i compagni del sindaco.
Il guaio è che ai leghisti e al suo massimo rappresentante in questi ultimi anni è stato permesso di tutto e tutto è stato perdonato come espressione folkloristica, mentre le istituzione venivano vilipese, a partire dalla bandiera, e indebolite.
Bossi è stato costretto, da un sommovimento nazionale (molti ministri e uomini politici e di cultura, hanno fatto finta di non sentire, considerando le dichiarazioni, una gag, come nel caso della ministra per/della gioventù Meloni) e da una mozione di sfiducia presentata dal Pd a chiedere scusa (finalmente qualcuno si è svegliato da un lungo torpore!).
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