13 marzo 2007

SULLA LEGGE ELETTORALE

Sembra che tutti, a partire dal presidente della Repubblica, vogliono cambiare l’attuale legge elettorale, il porcellum, il mostro che ha partorito l’ingovernabilità e ha trasformato i partiti in SpA.
Sembra che nessun partito parli con lingua biforcuta, ma di fatto, come era prevedibile, si sono creati due schieramenti, prima ancora che sul principio fondamentale di restituire la sovranità al popolo, sulla questione dello sbarramento.
Nessuno, infatti, tra i tanti partiti compresi tra uno risicato 4% e lo 0,6 presenti in parlamento, pare sia disposto ad accettare uno sbarramento alto che li eliminerebbe dall’agone politico, in altre parole nessuno vuole rinunciare al suo ben coltivato orticello.
D’altro canto un’aggregazione tra simili non è vista con simpatia perché sarebbero troppi i galli, o presunti tali, a dover ruspare nell’unico orticello. Il loro potere contrattuale (di ricatto?) verrebbe a mancare e si troverebbero lontani dalle poltrone. E’ vero che da noi tutti hanno un alto senso civico e facilmente si riciclano…ma non è la stessa cosa di rimanere in proprio.
Senza di loro, oggi, non si fa una vera riforma, perché le loro sparute pattuglie hanno una potenza di fuoco così devastante da condizionare l’esistenza stessa dei governi.
Ma c’è sempre la possibilità di un accordo bipartisan tra i grandi partiti che, sordi al grido di dolore…, votino una legge che elimini l’egemonia dei piccoli.
Ma non è facile arrivarci sia per le forti divisioni tra le coalizioni sia per quelle interne alle coalizioni stesse (anche se l’UDC potrebbe ritornare all’ovile e ricomporre l’unità della CdL), pronti a dispute retoriche su quale sistema adottare , se il tedesco o i, francese, lo spagnolo o quello del Madagascar.
Alla fine verrà prodotto il solito topolino che presto ci si accorgerà essere un altro porcellum.
Non si capisce perché non si possa trovare un sistema all’italiana, invece di ricorrere a sistemi che dove vengono utilizzati funzionano bene mentre da noi verrebbero naturalizzati perché adattati.
Insomma, i popoli non solo hanno un lingua diversa, ma anche cultura economica, scientifica, sociologica e politica da cui scaturisce un sistema elettorale unico che mal si adatta ad altre realtà.
Se i grandi partiti riuscissero ad approvare una legge elettorale con uno sbarramento alto, il governo sarebbe immediatamente sfiduciato. Ciò non sarebbe la fine del mondo in quanto ci sarebbe pronto un governo istituzionale, presieduto dalla seconda carica dello Stato, a traghettare il Paese verso le elezioni anticipate.
“Ma questa è fantapolitica!”, interviene il Mio.
“Fino ad un certo punto. L’Italia, lo sai bene, è il paese del possibile e del virtuale reale”, rispondo.
Alla nuova legge si chiedono pochi punti fermi: venga ridata al popolo la sovranità scippata ripristinando la preferenza e i partiti ritornino alla loro funzione primitiva di raccogliere le istanze dei cittadini cedendo la funzione impropria di nominare i parlamentari attraverso la lista bloccata .
Il resto (l’età minima di voto al senato, il premio di maggioranza, lo sbarramento, quali funzioni delle camere…) è solo una questione tecnica.
Un’ultima riflessione: se optare per il sistema proporzionale e per il maggioritario (o bipolare).
L’Italia, proprio per quanto sopradetto, non ha cultura anglosassone e, quindi, è più portata verso un sistema proporzionale. Ecco, bisogna vedere tecnicamente come organizzarlo.
Il sistema bipolare, checché ne dicano politici travagliati e i media in genere, dopo anni di incubazione (dal 1993) è stato un fallimento.
Non ha portato a nessuna forma di aggregazione, anzi i partitini sono prosperati, infarcendo le due coalizioni e condizionando le scelte di governo (niente sarebbe cambiato con la Vittoria della CdL).
La scelta del nuovo sistema elettorale, quindi, dovrebbe cadere sul proporzionale con uno sbarramento basso, attorno al 2% che preveda soprattutto le preferenze.
I partiti minori alla prima elezione sarebbero dimezzati se non addirittura eliminati e i loro proprietari per continuare a fare politica dovrebbero trovare altre collocazioni.
Ma ciò è troppo semplice e come le cose semplici non sono comprensibili dai nostri “dipendenti” onorevoli e leader di partito.
“I cittadini devono essere tenuti lontani dalla politica…non devono capire”, sentenzia il Mio.
“Spes ultima dea” dicevano i Romani, quelli dell’impero…

06 marzo 2007

LA SOLITA PILOTATA CRISI DI GOVERNO

Il mio amico Michele mi ha chiesto come mai ho taciuto sulla passata crisi di governo.
Non ho avuto voglia: troppo banale nelle cause e prevedibile nelle conclusioni.
Ora, fermo restando che siamo governati da una classe politica mediocre per non dire incapace, provo a fare qualche riflessione.
Di chi la colpa della crisi?
Non certo dei senatori Rossi e Turigliatto (sicuramente non tutta) che altro non sono stati che il capro espiatorio di una crisi latente allora come adesso.
Il governo è caduto sulla politica estera, hanno convenuto giornalisti e commentatori politici ufficiali (o sodali?). Ma a lor signori sono sfuggiti, come mai?, due fatti di politica interna:
- il pellegrinaggio di Prodi e compagni in Vaticano per l’anniversario dei Patti Lateranensi (anche questo è un segnale verso chi, e sono tra questi, vorrebbe un rapporto diverso tra lo Stato e la Chiesa, meno invasivo da parte di quest’ultima e più determinato il primo nel perseguire la sua laicità);
- la strana astensione, che al senato vale voto contrario (un’altra grave anomalia della democrazia italiana), del senatore Andreotti sulla politica estera prima condivisa; l’astensione, guarda caso, si è trasformata in “non partecipazione al voto” sulla fiducia, sottolineando che non accetta la posizione del governo si DICO. Come volevasi dimostrare!
A ciò occorre aggiungere la posizione del vice premier Rutelli, che ancora ieri ha dichiarato che altre sono le priorità e “non certo i DICO”, e quella del ministro Mastella che non perde occasione di minacciare che non voterà mai i DICO come non li avrebbe votati prima (ergo, se si fosse votato sui DICO e non sulla politica estera il governo si sarebbe inabissato).
Allora, meglio che il governo cadesse sulla politica estera e non sui DICO, che così si possono lentamente dimenticare perché in agenda ci saranno problemi più gravi ed urgenti come la riforma delle pensioni o quella della legge elettorale con discussioni infinite (alleluia!).
Pertanto, si deduce che i due voti mancanti della sinistra radicale e la partecipazione alla manifestazione di Vicenza dei segretari dei partiti che la compongono sono stati marginali e non determinanti per la debacle al senato (fiat voluta Dei…).
Con questo non voglio giustificare la sinistra radicale che ha la gravissima colpa di aver dato occasione e giustificazione all’evento e, poi, non si può essere contemporaneamente al governo e all’opposizione. Sono due ruoli distinti e opposti.
Siccome l’Afghanistan e Vicenza non sono stati episodi contingenti ma risaputi, bisognava protestare a tempo debito e tracciare linee chiare e condivise nel traboccante programma dell’Unione.
Ma , insomma, chi ha portato (non eletto) al parlamento i due fedifraghi?
Grazie alla legge elettorale detta“porcellum” sono state le Direzioni dei partiti a inserirli nella posizione giusta per essere sicuri parlamentari. Non ci sono giustificazioni che tengano perché detta legge, orba del voto di preferenza, con qualche lieve protesta retorica e propagandistica, fu accettata da tutti i partiti anche se la responsabilità maggiore cadde sulla CdL. L’opposizione di strumenti per evitarla ne aveva a iosa, ma non li ha utilizzati.
“Faceva comodo a tutti i partiti, ormai vere e proprie SpA”, suggerisce il mio amico.
Quindi, tutto preordinato, tutto guidato, tutto risaputo, tutto rimandato col fumo dei dodici punti di Prodi, che tutto assopisce.
“Tra i dodici punti non ci sono né la legge sul conflitto d’interesse né quella per l’eliminazione delle leggi ad personam, su cui si era incentrata la campagna dell’Unione!” nota il Mio.
Italiani brava gente!